Le prime viole sull'acqua

Le prime viole sull'acqua Le prime viole sull'acqua 1 fiori della casa rossa -- Gli amori di Federico Eden -Vita e morte di quattro levrieri -- Primavera che si rinnova VENEZIA, aprile, jOgni giorno qualcuno racconta che Gabriele d'Annunzio tornerà a Venezia, ogni giorno qualcuno lo cerca fra la casa rossa in calle del Doxe a San Maurizio dove fu preparata, animata, condotta la « mirabile congiura di Ronchi » e il Palazzo Barbarigo della Terrazza, che il pittore Massone aveva destinato per il Poeta. Non è vero. Ma forse è soltanto un annuncio della primavera, quando d'Annunzio arrivava al cader della stagione per tuffarsi nel sole di quei giardini — alla Giudecca o a San Simeone, all'ombra del Redentore o a quella più vasta di « una cupola gonfia di preghiera » — o forse è soltanto un presagio o un presentimento, perchè qualche cosa di lui — fra i ciuffi delle erbe e la selce quadrata — è pur viva e presente come una reliquia incancellabile; le strade per le quali passò prima della guerra e le chiese e i portici e le altane e gli orti dove apparve « durante la battaglia», quando tornava dal mare di Fola o dall'arco di Medeazza, dal litorale Adriatico o dal cielo di ddf,.. dVienna, dalle ansiose e tormentate tre- i mgue della Comina alle eroiche audacie Jdelle Bocche di Cattare Allora la città : aveva il « suo vestito di guerra » e, adagio adagio, lo perdeva. Ventinove dicembre del 1918. Gabriele d'Annunzio mi scriveva così: « io non posso ancora superare la tristezza d'essere stato deluso dalla bella morte, ma forse anche in porto deve compiersi quel che m'apparve nel maggio 1917 alla quota 12. La nostra Venezia è in un momento «: ingrato ». Ha perduto la sua bellezza di guerra e non ha riacquistata la sua seduzione consueta. Tutta questa gente che torna sembra intrusa. E tutta la quarta sponda soffre in me, ogni ora. Questa, piccola casa è una, stazione nella via crucia dei redenti redenti. Forse bisognerà ancora osare Il giardino di D'Annunzio La casa rossa sul Canal Grande, fra San Gregorio e Santa Maria del Giglio, di fronte al palazzetto che « si piega », fra la Salute e la Carità, è forse l'ultimo piccolo giardino di Gabriele d'Annunzio che di queste brevi terre serrate che buttan lente piove di glicini sull'acqua dei rii calmi e tortuosi senti, assai più che ogni altro, la profonda poesia e la tranquilla armonia. Il giorno che in un albergo lì vicino, di fronte alla chiesa della Salute, io m'incontrai la prima volta con Bernard Shaw, gli dissi che nessun amante più che D'Annunzio comprese la più umile più semplice più raccolta bellezza della meravigliosa città, non soltanto per quello che vi è di vivo nelle pagine del «Fuoco», dall'Allegoria dell'autunno al vaticinio glorioso della città che « chiuse fra le sue braccia di marmo il più ricco sogno dell'anima latina », ma per una devozione profonda che sembra ancor ardere da tutte le strade che il Poeta percorse o per trovarvi il suo « sogno più solitario », fra le Zattere e lo Spirito Santo, fra arzeri e squeri, fra vigne e « campielì », per scoprirvi 11 magico filtro d'uno del suoi profumi più taglienti. Allora Bernard Shaw volle che gli mostrassi « l'ultimo giardino * di D'Annunzio. Dalla ringhiera dell'hotel egli vide le prime viole sull'acqua; il giardino piccolo, di fronte alla casetta rossa del Principe Fritz Hohenlohe, i balconi spalancati, le salette del settecento. Gli ripetei i nomi dei soldati dei musici dei cantori degli indovini delle bellissime donne che v'eran passate una volta. Ultima, forse, la figliuola Renata che sul legno plinto i tremila cartigli sui quali D'Annunzio, con un occhio bendato e uno « pieno di fiamme », scrisse il i Notturno ». — Io torno dal mare — esclamò Shaw — ed ho visto le vostre isole più belle, le Vignolo Torcello Burano, i grandi giardini che son distesi sull'acqua a guisa di lunghi tappeti di giunchiglie, ma volevo vedere anche questo che sembra di pietre c di onde, prima di recarmi in Palestina. Questi giardini misteriosi hanno l'odore della città... Il Casino degli Spirili Forse gli stessi giardini che fioriscono adesso con un incanto segreto e stupendo sono la gioia degli occhi per chi arriva a Venezia quando l'inverno declina o si spegne nelle acque corrusche del bacino di San Marco, della Giudecca, di San Giorgio Maggiore, più avanti, dove il deserto liquido perde il ritmo e la canzono, e San Giorgio in Allegiie 3ilmlnpcd| scrsmnsembra un eremo suscitato dai flutti. ' Qui tutti ripetono i nomi dei giardini [che furono o che sono fastosi, da quelli dei Gradenigo a quelli Albrizzi, dai Wan Axel, ai Corner, ai Vendramin, a quello più silenzioso e profondo di Palazzo Foscarini a Santa Maria dei Carmini — rivestito di licheni e di muschi — con tutti i veroni chiusi sui cristalli delle serre, eppur ogni notte, qualcuno, più in alto, da un'altana pensile fra terra e cielo non ricanta la sua vecchia canzone d'amore? Chi ha più rivista la corrida dei tori o la fuga dei veltri? Chi ha osato rinnovare il suo giuramento sull'acqua tremante del canale? Il giardino Foscarini che ospitò Enrico II Re di Francia e di Polonia, ebbe « un ruolo importantissimo » nella festa data da Elisabetta Corner vedova del Procuratore di San Marco in onore dei Duchi di Modena, il giardino di Simon Santo, cavaliere e segretario della Repubblica, a San Gregorio, un « tetto con rare piante », il Casino degli Spiriti, che riunì l'Aretino al Tiziano al Tintoretto, ma se, adesso, la primavera soffia la sua ala odorosa sui pollini più teneri, quanti sono i giardini «miracolosi» della città? Se dovessi scegliere un arbitro non saprei decidere fra Sansovino e Damerini; Dorsoduro 28. San Polo 29, San Marco 39, Cannaregio 46, Santa Croce 50, Castello 50... Alcuni serbarono il battesimo antico, alcuni lo perdettero con gli anni; i giardini di Gaspare Rizzo, di Andrea Michele, di Francesco Bono, di Francesco Testa, di Tomaso Contarini, di Santo Moro, di Grimani, di Vendramin, di Corner, di Alessandro Vittoria, o quelli lontani, sull'arco dell'isola che si piega come la molle carezza di un'amante lasciva, i giardini incantati e stu- di Federico Eden che li tenne per se quarant'anni e che oggi appartengono alla Principessa Aspasia di Grecia? Il paradiso delle rose I « fiori di Venezia i> furono la vita— morale intellettuale sentimentale affettiva — di Federico Eden; alto, tutto bianco, il cappello, la barba, il vestito, appoggiato ad un grosso bastone, questo gentiluomo inglese amò la città come la sua patria adottiva. Egli è se polto a Venezia. Sua moglie Carolina, morta qualche anno dopo, è sepolta iniDffhilterra. Al giardino si arriva dalle jzattero o da San Marco, per via d'ac- e , e o r i a a a qua, per il ponte della Croce, attraverso una chiara « fondamenta » passando un ponto di legno; questo è il paradiso di tutte le rose, rosse, bianche, gialle, del bengala, a tralci a viluppi a pergole, giù dai muretti sbrecciati, fra i cipressi che ghirlandano la passeggiata stilla laguna. Quanta gente illustre non volle vederlo? Dal Re del Siam alia Regina Margherita, dalla Regina Alessandra d'Inghilterra alla Principessa Letizia, dal Duca di Connaught all'Imperatrice Eugenia, dalla Regina Sofia di Grecia alle Principesse di Casa Savoia, da Eleonora Duse che vi colse «: mazzi di giacinti e di narcisi » a Lord Kitchener; una piccola casa rossa di costruzione recente — due bagni due salotti due terrazze — qualche piccola costruzione lontana, dei portici chiari, da una parte e dall'altra, l'acqua immobile di Venezia, l'anfiteatro della città bianca e, accosto, la chiesa del Redentore; una gran pace diffusa, ferita, a quando a quando, dal tonfo . del remo o dalla stanca canzone delle i maestranze e dei calafati. Le donne? JMr. Eden giurava «che le donne più : belle d'Europa » eran passate per i via- r l i o a . i e o e li del paradiso delie rose. « Fra le no 3tre graziose visitatrici ve ne sono alcune che vanno pazze per le more. Noi incitiamo le più belle a coglierle con le labbra. Ciò si può fare e si fa spesso con successo. Ma non sempre come dimostrano boccucce e nasetti capricciosi che restan tinti di rosso cupo... Vi sono mezzi semplici e antichi — è una galanteria di Mr. Eden e gli sia perdonata — antichi forse quanto Adamo per mondare dalle macchie le belle bocche, ma le vesti, è utile saperlo, riprendono il colore caro alla loro padrona | soltanto al fumo di zolfo bruciato ». Forse soltanto D'Annunzio, squisito amatore di cani levrieri, conobbe questi insigni rappresentanti di nobili razze che per anni ed anni apparvero d'improvviso fra le ajuole di uno dei più belli giardini del mondo e, a Hotte alta, spensero i loro latrati nelle verdi acque della laguna. Questi furono i cani fedeli di Mr. Eden e della signora Carolina Eden che Mrs. Alethea Wiel ci presenta cosi. « Era una donna dotata di un fascino particolare. Aveva uno strana facoltà di saper intuire la vita degli altri, una simpatia ugualmente cordiale ed aperta per i giovani e per i vecchi. Ella apparve come il genio del luogo, come la viva creatura che dava anima e splendore a tutte le cose belle che la circondavano ». Ogni giorno durante la lunga convalescenza Gabriele d'Annunzio toccò la riva remota della , Giudecca e cercò il giardino che fu più caro al suo cuore. Nessuno dei vecchi padroni c'era più. I sentieri erano abbandonati. I cani dormivano il lor sonno eterno sotto le zolle. Ieri — la città scintillava sotto una cupola d'oro — sono andato a cercare le piccole tombe dimenticate con Elisa ed Angelo Frassinelli, i custodi che « guardano il giardino » dalla terra e dall'acqua da mezzo secolo ed han visto passare tutta l'aristocrazia dai cancelli ^sbarrati sul rio che córre sotto il muro.'Dormono assieme com'eran assieme vissuti. Qualcuno ha la sua leggenda inglese. «Cooki, diletta Cooki, nata. Ah! che piccola carina, il 18 marzo 1897, oh! che cosa pietosa, morta il 26 dicembre 1908... Jerry, diletto Jerry, affettuoso leale galantuomo, egli nulla fece di male, né udì mai una dura parola... Biseita, piena di grazia e di leggiadria, di amorevolezza e di capriccio, ebbe la vita con la morte di sua madre, e morì, povera cara, a sei anni... Bisa che a maggio portò l'estate, col dicembre ci lasciò l'inverno »... Ma le parole delle pietre sono scolorite. Dietro la strada è lunga. Una siepe di rosmarino. Un effluvio tenace di lavanda. Aspasia di Grecia ■ Nell'Isola la bella signora dalle pupille nere e scintillanti è apparsa come una sovrana. Lo splendore del giardino era decaduto forse dal giorno che nella casa dirimpetto era stato commemorato John Ruskin. Poi era venuta la guerra. Qualcuno era arrivato con le mestiche e gli inchiostri per comporre nella tela il quadro malinconico della rovina. Il giardino devastato è stato riordinato con passione e con devozione dalla Principessa Aspasia, la giovane vedova del Re Alessandro di Grecia, che vi trascorre due mesi, ogni . ' anno, con la figliuola Alessandra. Le i [fontane hanno un gaudioso zampillo. i a i i , a a a ? l I n a n n i, Le serre sono aperte. Ieri tutte le aiuole orano in fiore: anemoni zagare vitalbe narcisi. Ieri era « il giardino di tutti » per chi entrava col suo desiderio, per chi usciva con una viola. Le prime viole, le più tenere — come un tempo, come altrove, in questa città magica — cadevano nell'acqua. « Un tale Marco Bragadin, ciprioto, splendidamente ospitato in casa Dandolo alla Giudecca, si apprestava a far i suol esperimenti di alchimia. Perfino re e principi invidiarono la città a cui era toccata la fortuna di accogliere un uomo che faceva d'argento vìvo oro finissimo ». Meno imaginoso e più realista, il giardino ch'ebbe una vita gagliarda e tormentata sulle vestigia di un passato indimenticabile, alle porte della primavera, offre agli innamorati e agli amanti il primo fiore di Venezia. 0. 0. GALLO.