Mammiferi in mare e quadrupedi a bordo

Mammiferi in mare e quadrupedi a bordo VIAGGIO NEL SUD AMERICA Mammiferi in mare e quadrupedi a bordo q(Dal nostro inviato speciale 1 r a — e e l o o l a r e a i e i a e l o i o n o a e ; a a i e o a i o e n l ù a l n o n e i o e i i r o e a o i e i i GUAYAQUIL (Ecuador), marzo. Dopo tre giorni di navigazione da Puerto IAmones, e diciannove da Buenaventura, l'« Olmedo » ha dato fondo stamani nette gialle acque del Guayas, davanti a questa città sibilante, fumante, indaffarata, che è la sola porta d'accesso alla capitale dell' Ecuador. Quito se ne sta, come sapete, tutta sola, a molte e motte miglia dalla costa, su in alto, in grembo a quattro vulcani. Ogni altra via per la quale si potrebbe giungere fino a lei è problema, da esploratori. Oliando siamo arrivati a Guayaquil dormivo, steso per terra, ai piedi del timoniere, nella cabina di comando. Nella improvvisa bonaccia del fiume, tutta la stanchezza e la tensione nervosa di tre giorni e due notti di tempesta erano venute a ricomporsi in una specie di letargo che Dio sa quanto sarebbe durato se Parodi non fosse venuto a gridarmi la inaudita novella: — Siamo a Guayaquil! — Veramente? — Come no? Guardi. Allungo U collo, e vedo, sulla grande arteria che costeggia il Guayas, un imponente schieramento edilizio contro il quale si pigiano, a perdita d'occhio, vapori, vaporetti, barche, da non lasciar libero nemmeno un metro di riva. Con un salto esco dalla cabina timoniera, e mi butto giù per la scaletta che unisce il ponte di comando alla coperta; e troppo tardi mi ricordo che questa, scaletta è a piombo, a piòli aderenti alla parete, e che si può soltanto scenderla all'indietro, adoperando) piedi e mani. Così, invece di scendervi, precipito al piano di sotto. Batto un picchio e mi ferisco leggermente a uno stinco. Parodi, mi guarda con occhi pieni di accorata deplorazione. Poi mi medica, sempre senza parlarmi. — Mi perdoni, — gli dico. — Lei lo sa. Qualche volta, la gioia uccide. Io mi sono soltanto ferito... Don Enrico si mette a ridere, ed ha la bontà di riconoscere che quest'ultima tappa sul Pacifico è stata « veramente un po' mossa ». La suora c il nàufrago Ecco, ora, attraverso la scarna documentazione delle mie note di bordo, il significato che il caro Parodi dà al verbo « muovere ». Puerto Limones. A bordo, gente nuova. Una donna sulla quarantina, meticcia, che va a farsi monaca a Guayaquil. Ha con sè una negretta di sette o otto anni: la sua serva. Domando alla donna se porterà in convento anche la bimba. Mi risponde di no. « E allora? ». Molto semplice: la lascierà fuori della porta del convento. Anche a Puerto IAmones', prima di essere presa come servetta, viveva per la strada. La futura monaca soffre molto il mal di mare; anche a vapore fermo. Per questo, non ha osato mettersi in viaggio da sola. Un altro viaggiatore è il naufrago di una piccola -nave cilena, incendiatasi qualche mese fa al largo di Panama. Di tutto l'equipaggio riuscì a salvarsi lui solo. Ferito gravemente, fu ricoverato nell'ospedale di Colon; e ora rifa la strada di casa sua, nel Cile, a tappe. In ogni porto trova qualche pietoso naviglio che, gratuitamente, lo spinge sempre più verso sud. Questa è la sua terza tappa. A bordo si presta come può; e in tal modo la caritfl die gli fanno non è più carità sola. Così, un giorno o l'altro, spera di arrivare anche lui a rivedere la sua famiglia. Non ha un soldo, non un bagaglio, non il più minuscolo fagottino. Nulla. Gli abiti che indossa sono quelli stessi che aveva la notte della catastrofe. Infatti, la giacca, dietro le spalle, è tutta abbronzata; e una manica è d'un altro colore. La faccia di quest'uomo fa pensare alla improvvisa follia di uno scultore che abbia preso a pugni furiosi la propria opera modellata di fresco. Nulla su questo volto è regolare. .Naso, mento, zigomi, fronte, ogni cosa va per conto proprio, con curve e fitte assolutamente non consentite da nessun figurino di plastica umana. Per di più, non possiede nemmeno un capello. Dico: nemmeno uno. Questa calvizie, veramente impresentabile, è stata quella che, per poco, noti ha fatto inabissare anche lui con tutti i suoi compagni. Quando U fuoco divampò, e il naufragio fu sicuro, egli che stava a prua, a capo scoperto, si ricordò della sua lucida calotta, dello risa che aveva sempre suscitato dovunque s'era azzardata a risplendere nuda nel sole, e, mettendo fra le eventualità anche quella dì poter raggiungere una riva, corse nella sua cuccia sotto il cassero per prendere il bel i . a eo s, ua r. oa, a, l l . , a n o o, a. a a e o i, n o di a, o o a o, al e le ri roa di eo o aalu ra a eo a efl oaiao. lalè ela lè e, n na mo. no, n o li si o oe egcel berrettone di panno che gli calza esattamente come mia parrucca. All'uscita si trovò la strada sbarrata dalle fiamme e fu giocoforza attraversarle dì corsa. Quello che avvenne in seguito non lo sa. Sì ritrovò in acqua, eppoi sentì qualcuno che lo afferrava. Fu salvato da una barca peschereccia a sei o sette miglia da Colon. Ora, il nàufrago è qui. Di me non si vergogna. Il suo bel bai-rettone l'ha riposto in mezzo al mucchio di cordame che Parodi gli ha assegnato come « cuccia ». Delle novità, poi, ce n'è un'altra: non proprio nuovissima. Neanche questa volta, si può filare direttamente per Guayaquil. Parodi ha assoluto bisogno di ri fermarsi a Esmeraldas per caricare alcune tonnellate di « tagua », e ventiquattro vacche. La, « tagua », naturalmente, va nella stiva. Le vacche su coperta. « C'entrano'! » chiedo. «Si. Un po' pigiate, ma c'enrano... ». Alle nove si leva l'ancora. Pioggia e vento che non vi dico. « Le lampadine viventi In navigazione. — Sarà che tutto vada a finir bene. Ma ci ho i miei dubbi. Parodi, il nostromo, il capitano, sono tutti e tre in permanenza intorno al timone e alla bùssola, come llustri clinici al capezzale d'un moribondo. A giudicare dagli occhi che fanno i dottori, non mi pare che per l'ammalata si preparino cose allegre. Non si naviga. Si va ruzzolando su fitte, e sempre nuove, catene dì liquide montagne dove non so uè come nò perchè dovrebbe esservi una strada buona per noi. Con la notte, il vento raddoppia di intensità. Fischia, fra le sartie in modo tale che bisogna tapparsi gli orecchi. Il nostromo dice che ciò è bene. E' un vento amico: viene da nord e ci aiuterà a raggiungere Es.neraldas. Dm-mire è impossibile. Vado in giro per la coperta. L'equatoriana, che va a farsi monaca geme sotto un mucchio di cenci, al riparo della sgangherata tettoia del «quadrato di mensa». La I - . ìnegretta è raggomitolata sotto il tavo lo, abbracciata alle proprie ginocchia. Le chiedo se ha paura. Mi risponde di sì. Il naufrago non riesco a trovarlo. Ne chiedo al cuoco centenario, che fuma seduto fra i due fornelli nel baracchino di poppa. Me lo indica. Eccolo là, nella cabina delle ferramenta, a prua. Legge. Ha trovato chissà dove un pezzo ^dì giornale risecchito e giallo, e si métte al corrente delle cose del giorno. Mi sono accorto di lui, a di quello che stava facendo, a causa d'un filo di luce azzui-ra che scorreva appunto sopra un po' di carta stampata. Poi, ho intravisto le mani e il resto. Non è, dunque, nemmeno lui, un nullatenente puro? Possiede una lampadina elettrica tascabile? Pare. Pare ma non è così. Ora annoto una cosa che troverà increduli parecchi lettori (se, come non è proprio escluso possa accadere, queste noterelle, in busta o in bottiglia, avranno la fortuna di arrivare sino alla terza pagina d'un giornale). Dunque: il nàufrago sta leggendo non al lume di una lampadina tascabile, ma bensì di un animaletto, tascabilissimo, con gli occhi a luce fissa. E che luce! Una piccola locomotiva coi fari azzurri. Due proiettori che non illuminano solo una parola, ma tutto un buon palmo di carta stampata: un'intera pagina di libro. A Palmas me ne avevano parlato; ma non ci avevo creduto. Ora mi debbo arrendere alla evidenza. Questo animaletto con gli occhifaro sì chiama, pare, « chancha »; — leggi : « ciancia ». La boscaglia equatoriale n'è piena. (O non mi ricordo dunque più detta fitta trama di luce azzurra scoperta intorno a me nella notte di Punta de Venado?). Gli indigeni adoperano questi insetti, che non seno più grandi di un grillo, per illuminare i propri passi, quand'è buio, nei sentieri del bosco. I mercanti europei che vivono, come Yannuzzclli, sui limiti della boscaglia vergine, o in mezzo ad essa, tengono quasi tutti qualche « chancha », la notte, sotto un bicchiere; e, lì, accosto l'orologio. Il naufrago ne possiede sei o sette di queste lampadine. Me ne regala una. « Vivrà molto? ». <■: Cinque o sei giorni ». ..< E noi? ». Il cileno ride, e mi rassicura. Lui lo sa. Infatti, è in zucca. Vo a sdraiarmi. Ho rinchiusa la < okancha » in una scatola vuota di\fUcmmiferi svedesi; e, nel buio, disti»-!guo benìssimo il piccolo rettangolo cir-\ condato da ini tenue alóne di luce ci-\testi-ina. L'apro, e rido hi libertà alla] prigioniera. Non scappa. Si mette a camminare lentamente su per la pare-ìte, allungando % raggi azzurri ora a de- n e . o i e r i . i o a o a stra ora a sinistra, ora in giù, ora in su, proprio come un minuscolo proiettore antiaereo alla ricerca d'un microscopico velivolo su di un cielo da teatro di marionette. Balene innamorate Rada di Esmeraldas. Siamo giunti. Mare pessimo ancora, ma cielo chiaro. Piovaschi d'ora in ora. Stamani all'alba ho visto due balene fare all'amore. Nulla di nuovo, >o di veramente eccezionale, sotto la cappa del cielo. Le solite cose: un po' più buffe per via delle dimensioni. Un'altra balena è passata a duecento metri da noi, sola sola. Passeggiava, con in testa il suo bell'aspri intermittente, niente affatto preoccupata di chi stava a guardarla, nò dei commenti che si potevano fare intorno alla sua umiliante solitudine nel tempo degli amori. Poco dopo, quasi di faccia a Esmeraldas, dove le onde, a riparo della rada, incominciavano già ad avere un po' di requie, l'acqua, ad un tratto, s'è messa a rabbrividire tutta, su di uno spazio di almeno un chilometro quadro. L'« Olmedo » era entrato in mezzo a un banco di sardelle, sicuramente incalzate da qualche avido mostro sottomarino. Centinaia e centinaia di pesciolini volanti saltavano sulla massa fuggiasca; e cosi alti che qualcuno è venuto a ricadere stili'«Olmedo». I « tripulanti » hanno allora incominciato a gridare: «El dorado! El dorado! »; e tre 0 quatro grossi arpioni, con brandelli di cencio bianco per esca, sotto stati buttati subito in acqua, a prua, e strascicati così per oltre un'ora. Il « dorado » è un pesce enorme e saporitissimo. Quando accadono sull'Oceano certe scene di panico fra le sardelle e i pesciolini volanti vuol dire che il «dorado» s'aggira nei dintorni. Ma non l'abbiamo nè preso, ne visto. Ho visto invece, quando siamo stati un po' p-iù vicini a terra, e le sardelle con noi, levarsi in volo dalla costa gabbiani e pellicani a centinaia; e, fra cca I SJf P}tì altissimi,bnttìirsì golosamente ì.viil hrtMnr, ri oli a fu ri nirr*ifto T4r\ . e e a , . i o i o , e a o a n o E i n e — o i o e , i . i . a sul banco delle fuggitive. Ho sparato e ne ho abbattuto uno. Di più non potevo fare. Ventiquattro vacche Ecco. Le ventiquattro vacche sono sistemate a bordo. Dodici da una parte e dodici dall'altra. Anche la « tagua » è già nella stiva. La linea d'immersione, diciamo così, legale, segnata in bianco, è parecchi palmi sott'acqua. Ma non fa nulla. Dice Parodi che, in tal modo, balleremo meno. Le vacche sono tutte affacciate sul mare, col musi fitti fitti, legate per il collo alle para-pettate. Se le teste guardano l'acqua non ci sarà bisogno di precisare quali sieno gli ulteriori sviluppi d'una simile posizione. Le nuove ospiti sono a bordo appena da due ore, e già la copertura del boccaporto è colma della loro fumante inquietudine. Parodi ci fa gettare attraverso un' asse, a guisa di ponticello. Per andare da prua al «quadrato» di mensa, bisognerà passare su quest'asse, arrampicarsi sul tetto detta cabina del motore e calarsi dall'altra parte, stando bene attenti a non montare addosso alla creola che va a farsi monaca. Si ripiglia la rotta ai buio. In navigazione, l'indomani. Stanotte abbiamo rasentato l'epopea. Non so a che ora, ma in un' ora lunghissima (questo lo so e non me lo dimentiche'rò facilmente) vento, mare, pioggia, fulmini, hanno fatto complotto contro l'« Olmedo », e se lo sono preso in mezzo col più evidente proposito di ricacciarlo nel porto da cui era uscito, di farlo a pezzi, di cancellarlo dalla superficie del mare. In nessun punto della mine è possibile tenersi in piedi. Le raffiche di pioggia e le ondate sono una cosa sola; e raggiungono fino il più riposto dei nascondigli. Le voragini che si aprono nel mare sono così larghe che l'« Olmedo », abbandonato da un'onda, non riesce mai ad appoggiarsi sidla successiva, come fanno le navi più lunghe. Ogni volta che un abisso si apre, Z'< Olmedo » ci casca dentro, e va a sbattere sul fondo come un cassone buttato da un quarto piano sul selciato della vita. Per ognuna di queste cadute, uno scricchiolìo: e l'ansia che è facile immaginare. Esco a tentoni. Mi trovo viso a viso con una vacca. S'è sciolta, e corre, in- i\ciampica, casca, si rialza, cercando an -!che Ici "n rifugio, -\ Le altre scalpitano e muggiscono, -\che è un inferno, a] Aggrappato all'uscio detta mia scà a tutu, sotto il ponte di romando, aspct-ìto gli eventi: che vii pare proprio non - abbiano ormai più nulla di misterioso. i((I n La quasi monaca che farà? E il cuo co? e il nàufrago col cranio lustro? A un tratto intravedo il cileno che s'affanna, con altre ombre, per riacchiappare la vacca ribelle. Pover'nomo! Sta pagando il suo biglietto di passaggio, secondo i soliti patti. E dire che, probabilmente, non arriverà più a casa nemmeno lui. Ma morirà senza debiti. Sparisce. Riappare. Me lo ritrovo davanti, silenzioso, braccia conserte, appoggiato atta cabina delle ferramenta. S'è rimesso il suo bel berrettone di panno. Ahi! E' finita! — Come si concluderà questa faccenda, amico? — gli urlo. Non mi risponde. Mi ributto sul pancaccio, con pensieri tutti miei. La « chancha » va e viene sulla parete e illumina, a turno, due immagini; una della Vergine dei Sette Dolori,- col cuore trafìtto, e l'altra d'una ignota peccatrice che più nuda non potrebbe essere. Nulla di male Ma a un certo momento, ecco, torna a farsi giorno. E non è sucesso nulla Caduto il vento, il mare s'è un po' abbonacciato. Parodi mi viene a trovare, e sorride. Il nàufrago è ritornato in zucca. La terra è vicina, e v'è un chiaro segno di vita civile. E' Manta, piccolo emporio commerciale, che de ve la maggior parte detta sua importanza al paesino dì Montecristì: dove si fabbricano i soli autentici cappelli di pànama. Manta —■ Abbiamo scaricato le vacche. Il sistema, sempre il solito. A forr.a di spintoni la bestia vien buttata in mare; e a cercare la riva ci pensa da sè. Tre ore dopo, alleggeriti anche della « tagua », si ripiglia la rotta per Guayaquil. A mezza strada, nuova emozione. Il motore si ferma; e il vento ripiglia furioso. Mentre si sta cercando la causa di questo incidente, l'« Olmedo » viene a trovarsi nella condizione che è facile immaginare. Piroetta, sbanda e va alla deriva. Al largo passa uno dei vapori che fanno il servizio regolare fra Guayaquil e Buenaventura. Si accorge che qua da noi dev'essere successo qualcosa d'irregolare, e viene ad offrirci aiuto. E' il « Cali ». Parodi e il capitano si conoscono. «Come va?». «Bene ». « Ma perchè siete fermi? ». « lì motore ha fatto un po' di melma ». «Volete qualcosa?». «Si. Olio». Con difficile manovra, un bariletto d'olio passa dal « Cali » all'i. Olmedo ». Il motore riattacca. « Ciao. Grazie ». « Niente. Buon viaggio ». Ma Parodi, gran cuore, trova che un grazie è poco per ripagare la cortesia ricevuta. Quando il «Cali» passa rasente al nostro bordo, don Enrico acchiappa un galletto vivo che gli razzola fra i piedi, e lo butta verso il « Cali ». Naturalmente, il galletto, impreparato a questa prova, va a finire nell'acqua. Di qua e di là si ride. L'« Olmedo » e il « Cali » si distaccano rapidamente; e il povero pollo resta tutto solo, accoccolato sulle onde, a fare il gabbiano. Guayaquil. — Siamo arrivati. Parodi dice che quest'ultima tappa è stata « un po' mossa ». RENZO MARTINELLI. uc

Luoghi citati: Cile, Olmedo, Panama, Quito, Sud America