I "primitivi,, francesi

I "primitivi,, francesi I "primitivi,, francesi pLa pittura italiana, anche primitiva, anzi, proprio la primitiva, nasce dall'affresco, specialmente nelle regioni centrali d'Italia — Toscana e Umbria — che prime si risvegliarono, dall'intorpidimento bizantino alla soave e commossa primavera della libertà verista nell'arte. E l'affresco è una scuola di necessaria plasticità architetturale, quasi da quanto il bassorilievo, al quale si imparenta. Il fatto stesso del colore che s'incorpora all'intonaco, al muro, all'architettura, obbliga a figurazioni prevalentemente scultoree, come lo definirà più tardi con eccesso d'intransigenza paradossale il principe di tutti gli affreschisti, Michelangelo : « la pittura è di tanto migliore, quanto più le figure che essa rappresenta si avvicinano alla scultura ». Questo è palese nella tradizione italo-romana dell'affresco murario a Pompei. L'affresco sul muro obbliga la pittura a divenire, insieme, e scultorea, e spaziale : a creare, dalle due dimensioni reali di lunghezza e larghezza, la terza dimensione imaginaria, la profondità: a creare, insieme, il rilievo e il tutto tondo delle figure, e il luogo, lo spazio in cui esse sono comprese, in cui si atteggiano e si muovono. Solo nelle provincie e nelle regioni Timaste vicine a Bisanzio — Venezia e la costa adriatica in genere — la pittura non nasce dall'affresco, bensì dal mosaico; arte non architettonica e non statica, arte di ricopritura, di decorazione e, in certo senso, di mascheratura del muro; arte, inoltre, non di espressione immediata e diretta da parte dell'artista, ma di traduzione laboriosa e mediata, dalla pittura, attraverso una tecnica complicata, con una lunga collaborazione di maestranza anonima. Bisogna preparare il vetro, dosare i colori per la cottura, cuocere e tagliare le tessere, disporle a disegno tra loro, unirle con l'intonaco. E questo spiega forse come a Venezia, città di temperamento conservatore, ma dove l'architettura e le altre arti dell'ornato vivere si affermano precocemente floride, la pittura si spigrisca tardi. Bisogna che Giotto e Andrea dal Castagno, fiorentini, vengano a insegnare la pittura di affresco all'Arena di Padova e a San Zaccaria di Venezia. E ancora non basta ; perchè la bella sonnacchiosa si svegli all'intera vocazione della sua grandezza, ancora conviene che lo Squarcione, dalle sue peregrinazioni classiche ritorni a insegnare in Padova, con l'animo tumultuante romanità umanista; e che Antonello da Messina rechi dalle Fiandre il segreto della pittura a olio. La pittura francese non nasce dall'affresco, ma sì dalla miniatura e dall'arazzo. E questa evidenza salta agli occhia come già ebbi a dire, dalla viva esposizione di Londra. Mentre da noi « il quadro » — pala d'altare, tavola su fondo oro, tela di cavalletto — è un rimpicciolimento o quasi un frammento della grande •composizione architettonica dell'affresco ; mentre da noi è un « di meno » che conserva l'indole e lo stile del « di più » ; per i francesi esso è Un ingrandimento, dalla miniatura o dal disegno decorativo di fregio, di particolare architettonico, di ricamo o di arazzo. E conserva l'indole e lo stile minuzioso, analitico e leggiadro di quel « di meno ». La tappezzeria e il ricamo rimangono disegno e stoffa. La miniatura rimane grafìa. La pittura francese non sa distaccarsi da questo elemento analitico, decorativo e descrittivo, se non assai tardi, quando le influene settentrionali del realismo, venute e mantenute vive anche dalla Fian dra, sono vinte e sopraffatte dall'eie mento classico, venuto e mantenuto vivo anche dall'influenza italiana. Per molti secoli, il genio del popolo francese non affronta la sintesi di « realtà più creazione » cioè verità sintetica della composizione plastica, che è indispensabile alla pittura. In questo, la pittura francese, per via della miniatura e dell'arazzo, arti nordiche, è tarda quanto e più della pittura veneziana inceppata dal mosaico, arte orientale. Vi è fra le due scuole artistiche, in questo almeno, una forma di curioso parallelismo. Le prime opere di vera e propria pittura, esposte a Londra,_ risalgono appena agli ultimi decenni del secolo XIV Cimabue e Duccio avevano lavorato nel Duecento, Giotto era morto da cinquantanni ; nel 1345 era già morto ad Avignone Simone Martini, che insieme con molti altri tofcani e italiani i papi avevan chiamato in Francia a miracol mostrare ; già maturava il clima e tremava l'aria per la folgorante apparizione di Masaccio. Da noi, soltanto tardi si sviluppa un'arte autonoma del ritratto. In parte, dipende anche dal reggimento de: timocratico del tempo, dove noi soli non avevamo nè corte, nè signorìa permanente, bensì magistrature po molari di breve e contrastata autorità. Nei primitivi, tutt'al più accaio che un piccolo donatore, sperduto tra le pieghe della tonaca del santo, .eli si prostri appiede in qualche anrqlo della predella. Ma la tavola o la'tcla celebra antiche istorie o antica santità, e se persone reali ispirino movenze o fattezze, la ricordanza si trasforma in astrazione. Il ritratto — immediato richiamo alla realtà contingente — è invece tra i primissimi esercizii della pittura francese, sintomo caratteristico del la sua aulica eleganza. E' del 1360 circa il Ritratto di Gio vanni il Buono, probabilmente dipinto da Girardo di Orléans, che divise con il re la cattività in Inghilterra. E formava parte di un polittico eminentemente aulico, rappresentante Eduardo III d'Inghilterra, Carlo IV, imperatore di Germania, e il Delfino che fu poi Carlo V. E' preciso, inciwvb e armonioso : una splendida mi namtCtpardglalaEscTsattpsrmqaGaèzCttmlèncpmpmlatsbpspFdFlzrc1nmtcmcpidicciqcLvalapmnnpAdEtsesapA a i o e e è o i o o o a e , e o o i à , n a i a e , a o o a a à a a : i a o , o Il a i a l matura ingrandita. Più maestoso, il ritratto di Riccardo II d'Inghilterra, con la barba bionda a punta, la bionda cesarie inanellata e cinta di corona, l'orbe e lo scettro in mano, grave, augusto e mistico, pare derivato dai mosaici cristiani o dalle antiche vetrate che raffigurano il Re dei Re, Cristo giudicante. Bisogna varcare la metà del quat trecento per incontrane un grande pittore francese: e manco a dirlo, è anche lui primieramente c originariamente miniaturista, smaltista, medaglista, e, insomma, artefice-artigiano, più che pittore. Jehan Fouquet, nato nel cuore della Francia, a Tours, patria di Rabelais, di Balzac e del bel parlare, per Etienne Chevalier, tesoriere del re, suo protettore e mecenate, allumina con dilettosa e paziente genialità il Très riche livre dheures, i cui sparsi fogli formano tesoro a Chantilly, a Parigi, a Londra. Poi, passa a ritrarre il suo benefattore in un dittico, dove la Madonna ha il volto puro e soave e la squisita sottile persona di Agnes Sorel, dolce amica del re. E, infine, ritrae lo stesso re, « il molto vittorioso Carlo, settimo di questo nome », colui che fu lunghi anni Delfino, prima che la spada di Giovanna d'Arco gli facesse strada alla corona. Ognuno di questi ritratti è un capolavoro di quieta introspezione psicologica,, sopratutto quello di Carlo VII, tormentato volto di contadino avaro e sempliciotto, diffidente e irrimediabilmente cupo, furbo, ma senza luce d'ingegno o di regalità. Alla fine del secolo XIV, Fouquet, è vero, serba ancora il fascino di minuzioso candore e di obbiettività incisiva di un primitivo. Ma a quell'epoca, se vi possono essere temperamenti di ingenuità primitiva, non è piùlecito parlare di una pittura primitiva francese di gruppo e di scuola. L'arte primitiva francese conta fra le più ricche, delicate, originali ed amabili del nostro occidente; è di tutte la più precoce, quella che prima segna la fine dell'alto medioevo, elaborando i germi che si svolgeranno poi in Italia, sino al fiore del rinascimento. Ma non esiste una pittura primi tiva francese. La pittura in Francia si sviluppa tardi, quando già dalle due finitime frontiere — le Fiandre da una parte, l'Italia dall'altra — giungono opere di tradizione e di carattere stilistico maturo e completo, ed opposte fra loro. Ecco per esempio il Sogno di Giacobbe, della scuola di Avignone, del 1480 circa: così fortemente italianizzante, così mantegnesco nell'insieme della composizione e sin nei particolari della chiara gamma coloristica, del disegno incisivo, dell'imprimitura bianca, nella forma delle rocce e nello stile delle figure, che ben pochi avrebbero esitato a trovarlo italiano, e ad attribuirlo alla scuola di Mantegna, se lo si fosse trovato in Italia. Nel 1516, invece, è Jean Clouet che dai Paesi Bassi viene in Francia, e vi dipinge il suo capolavoro, il magnifico Ritratto di Francesco I : quel re, alla cui corte e quasi fra le cui braccia muore negli stessi anni Leonardo da Vinci ! Nè l'incontro è vano; che suo figlio, Francesco, si avvicina al padre nel Ritratto di Carlo IX, ma dipinge Diana di Poitiers al bagno tra particolari e in una composizione d'insieme di realismo fiammingo, con un delicato e splendente nudo idealizzato e divinizzato, italiano di forma e di spirito. Ancora più singolare è il fatto del trittico, il cui autore si chiama, appunto, maestro dell'Annunciazione di Aix. Sembra, a tutta prima, un'opera di inspirazione e di stile fiammingo. Ed è oramai attribuita quasi con certezza a un italiano, Colantonio, vissuto e morto giovane in Napoli, ed eccellente nell'imitare la maniera fiamminga, a quanto assicurano suoi tardi biografi. La leggenda e il mistero si addensano intorno a Colantonio, maestro di Antonello da Messina, e intorno alla sua opera, nella maggior parte ignorata o perduta. Solo grazie alla esposizione si potè un istante ricom porre l'unità del trittico, disperso fra Aix, Amsterdam, Bruxelles, Londra. E lo si accusa ora nientedimeno che di stregoneria. La messa, che si officia nel fondo della chiesa gotica, sul cui primo piano appaiono la Vergine e l'Angelo, dovrebbe essere una messa nera, stando alla copia di particolari curiosi e demoniaci che si moltiplicano nel quadro : angeli con ali di falco, erbe maligne nel vaso coi gigli, pipistrelli e artigliati diavoli nelle bifore delle finestre, gesti strani dell'Angelo, strana benedizione, del Padre Eterno, le cui dita si compongono nel modo descritto da Dante. Capriccio, distrazione, o deliberata volontà perversa dell'artista? Colantonio, italiano fiammingheg giante in terra di Francia, _c.on.iunque rappresenta in modo singolare il convergere delle due opposte influenze tra le quali oscilla la pittura francese, in un'alternativa che dapprima è posizione di paralizzante incertezza, ma diviene più tardi, spe cialmente nel settecento e nell'otto cento, posizione di equilibrio privilegiato e fecondo. Tradizione fiamminga; tradizione italiana; ad entrambi gli elementi la Francia potè richiamarsi con pieno diritto storico, di geografia, di cultura e di stirpe, per arricchire la tradizione sua propria. MARGHERITA 0. SARFATTI.