Sessanta ore di volo sui grandi fiumi dell'Asia

Sessanta ore di volo sui grandi fiumi dell'Asia Da Napoli a Sciangai in aeroplano Sessanta ore di volo sui grandi fiumi dell'Asia gIl drammatico diario di bordo da Karaci all'Indocina - Dall'Eufrate al Mekong ~ Momenti di ansia verso i quattromila metri - Lo spaventoso spettacolo dei monti di Tenasserim in fiamme Le impressioni per il «raid» nei commenti della stampa di Saigon (Per cablogramma dal nostro inaiato speciale) Karaci, 15 marzo. ]poAncora appunti dal mio quaderno: trAll'arrivo a Guadur abbiamo la sor- Jopresa di essere circondati da un gran lanumero di indigeni. Begli «omini, i questi Belucistani, dagli occhi di /ito-.peco e dalle barbe nerissìme. Montano mcammelli monumentali e fanno la ceguardia con,gravità. Sono sìidditi ndell'Emiro del Belucistan, protetto \Sìmstdall'Inghilterra. Finalmente una notte di riposo. Non ci sono grandi alberghi e nemmeno alberghi di second'ordine: bisogna contentarsi di quello che offre il paese; ma confesso che dopo quattro giorni di fatica, dopo aver dor•mito, in tutto, quanto basta forse per ventiquattro ore soltanto, non si guarda per il sottile; ci si butta giù alla meglio e si dorme. Come riparo per la notte non c'è che una casa cantoniera, per fortuna fornita di telefono. Così riesco a parlare all'impiegato del Telegrafo di Guadur, a circa venti chilometri. La cena clic arriva in cammello — Alloo! Avrei un dispaccio da trasmettere, per favore, e poi, se possibile, avrei ancora bisogno di un letto e di una cena. — Ali riglit! — mi risponde l'impiegato dall'altro capo del filo: — se avete da trasmettere un dispaccio, venite pure. — Cornei — In cammello. Riesco a convincerlo che quattro ore di marcia a dorso di cammello sarebbero eccessiva per chi con. tu di ripartire l'indomani all'alba. — Bene — mi risponde mister Thompson — allora contentatevi della cena. Ve la manderò per mezzo di idi cammelliere. — E il letto? — Vi manderò anche il letto, o meglio alcuna coperte da buttare a terra per passarci su la notte. Ve ne manderò quattro: dormirete benissimo. E vi manderò anche una bottiglia di vvisky. Cosa si può pretendere dippiù? Rispondo assicurando mister Thompson che serberò verso di lui eterna gratitudine e lo prego, dal momento che è così gentile, dì far presto. Quattro minuti dopo, altra scampanellata a! telefono. E' Thompson che nii chiuma: — Alloo ! Vi ho spedito tutto. — Benissimo, grazie. — Aspettate un momento: voi non andate in Cina, per caso? -- Infatti, vado in Cina. — Per vedere la guerra? — Per la guerra! ■— E, ditemi un po', cosa ne pensate del conflitto cino-giapponese? So già che siete un giornalista: ho avuto un'ora fa la segnalazione telegrafica del vostro passaggio. Ditemi, per favore, il vostro parere sulla questione della Manciuria... Fatico cinque minuti per spiegare hi sintesi cosa ne pensi della Manciuria. Il mìo carissimo amico fa altre domande. Rispondo più brevemente. Insiste. Alla fine gli dico chiaro e netto, a costo di apparire scortese, che casco dal sonno e che se le coperte ritardano, mi addormento in piedi sul telefono. Così smette e mi dice di dormire bene. Una bottiglia di <c wisky » Più tardi viene la cena e il resto. E' un alto solenne cammelliere che mi consegna tutto e mi augura, in cambio di una moneta d'argento, buon appetito e buon sonno. Non manca nò l'uno uè l'altro. Ci mettiamo a cena: il pilota, il meccanico, il radiotelegrafista ed io. Sono due piatti freddi e noti manca U wisky. L'allegria prende i commensali. Si brinda un'aeronautica francese, poi all'aeronautica italiana, poi a quella britannica. Alla fine ci si scambia la buona notte. La bottiglia del wisky è, vuota. i Intanto, il nostro grande trimotore riposa argenteo sotto le costellazioni brillanti sul deserto del Belucislan. Tutto intorno alla cantoniera montano la guardia i semiselvaggi Belucistani Ancora dei minuti rubati al sonno. Scorro i fogli del mio diario. Sempre a Guadur: Quella di domani sarà una tappa meno lunga, otto ore di volo. Come potete constatare, però, ricevendo i miei dispacci, la rapidità di questa trasvolata è sorprendente: un vero « tour de force ». La tappa di ieri si è svolta lungo la costa che è ritenuta la più torrida del mondo. Fra poche settimane a Buscir, a Hyoska, a Guadur la temperatura normale diurna sarà di 68 gradi al sole. L'anno scorso, a Mohammerrah, a Nord di Buscir, la temperatura al sole raggiunse ali ottanta gradi... Ho sorvolato dunque la micidiale Gedrosia di Alessandro Magno e la mia ammirazione per il grande capitano che seppe attraversare con un intero esercito, dall'Indo a Babilonia, l'inferno gedrosiano, diventa superlativa ora che ho veduto di che cosa si tratta. Calcutta, 17 marzo. Undici ore di volo senza scalo. Alle sedici ho atterrato a Calcutta do- spseCgidmmnleaacgnstcndlal'cMsfstpAmscrndmpdppalmcisArztsaslptCupc■iitsisnldptmgiCra po un percorso di duemila chilome-'otri, essendo partito stamane da vJodhpur, dove avevamo trascorsa tla notte. u Non ho telegrafalo da Jodhpur lperchè quella città maragiale ai lì- sm*ti del deserto *di Rajputana — ocentro essenziale delle comunicazio- bni aerce attraverso l'India — pos- pSìede sol° un ufficio telegrafico te- gmito da indigeni. Questi sono rima- rsti esterrefatti dinanzi al mio di-,c. i o , è a ù a o i e a n i - eaiCnsspaccio scritto in lingua non inglese e si sono rifiutati di inoltrarlo. Così c'è un salto apparente di un giorno, nel mio diario. Il (( Maragià » albergatore A Jodhpur, a seicento chilometri da Karaci, eravamo arrivati nel pomeriggio di ieri proprio nel momento in cui il Maragià faceva tuonare dal forte i suoi cannoni per celebrare l'apertura di un sontuoso albergo di sua proprietà, dedicato ai turisti di lusso. L'episodio sì, è risolto assai comicamente per noi che ' siamo stati guardati in cagnesco a eausa della nostra tenuta che denunciava le soste nei deserti siriani, mesopotamici, persiani e belucistani. Infatti, il nostro abbigliamento era in stridente contrasto con lo sfarzo della Corte maragiale che. festeggiava l'apertura del nuovo albergo. Ma chi avrebbe inai pensato che un Maragià — il Sovrano, il sublime signore dello Stato, l'uomo delle fiabe e dei romanzi — si abbassasse a far l'albergatore, sia pure sot-\to la forma, molto elegante, di pro-\prictario dell'albergo? Un Maragìà.ìAncora dieci anni addietro ci surem-\mo rifiutati di crederlo. Ma i tempi j sono mutali anche nell'India e la j crisi non ha lispanniato questa Pe- n'isola, carica di millenni di splen- dore e in cui si agitano ora, in tu- multo, le più grandi ricchezze e le\più giandi miserie del mondo. I Maragià non sono più quelli dei racconti d'avventure e delle operette, carichi di diamanti, capricciosi, prodighi. Pensano ai loro affari con una serietà da far impallidire, se possibile, i più consumati mercanti giudei. In India si comincia a comprendere il significato esatto del business anglo-sassone. Altro die tesori nascosti, milioni regalati agli amici, sovrano disprezzo del denaro. Il Maragià impianta un albergo e vuole guadagnarci subito. Ce ne accorgiamo dai conti. Oro e sterline-carta Se continua così, in due anni avrà ammortizzato il capitale. Questi sono affari. Duro contrasto fra la realtà che si fa strada e le apparenze che rimangono quelle di tanti secoli addietro. La Corte, la Corte magnìfica è quella di cento unni fa, stracarica di ori e di sete preziose, di piume e di gemine; il cerimoniale è immutato, ì costumi ■identici. Balordo colossale palazzo in cui le tappezzerie resistono meli¬ tre le mura sono già crollate. Sistenta a descrivere questa festa inaugurale. Tutti sono intorno alsovrano, i cannoni tuonano per annunziare l'evento lietissimo, la folla è in festa: E' nato forse l'erede al trono? E' stata conclusa la pace? Il Maragià ha vinto una battaglia? No, no, no, più semplicemente, più prosaicamente sì inaugura un grande albergo, dalle decorazioni indostane, dalle diciture inglesi e dai camerieri in frack. Che delusione per chi cerca il colora locale. Pazienza: gli affari sono affari. Viva il Maragià! La' figura peggiore fra tanto sfarzo l'abbiamo fatta noi, poveri quattro europei che viaggiamo a rotta di collo attraverso l'Asia senza abito da società e senza decorazioni, anzi con dei vestiti sportivi die tradiscono il loro intenso impiego degli ultimi giorni. Ci mettiamo da parte, tranquilli, e godiamo la festa. Siamo intrusi? No, siamo proprio gli ospiti: quei famosi europei che il Maragià attende e che gli permetteranno di aggiungere al fantastico cumulo d'oro e di gemme dei suoi antenati un mucchietto delle più moderne, svalutate ma sempre ricercatissime sterline britanniche. Non ho altro denaro, in tasca e sono costretto a pagare sopportando uno scandaloso sovrapprezzo per il cambio delle Rupìe. — La sterlina vale poco — mi dice il Maitre. — A causa della svalutazione siamo stati costretti adaumentare i prezzi. L'albergo èstato costruito qua«doja sterlinaera poggiata sul Gold-standard. Cosa volete? E' la crisi... Una limonata da pagare Non ce verso che qualcuno si.. .. ; - , „ ■ ■ t. -,dimentichi della crisi, anche nelcuore dell'India. Si brontola qui coma in Europa e in America. Anche in queste piccole cose si vsde che l'economia del mondo non è a compartimenti stagni. E' per questo, forse, che il Maragià si è dato agli affari. Ce ne ricordiamo ancora una volta il mattino dopo all'alba. Le eliche del nostro apparecchiougià turbinano; sÌk^"pe7d7co^arequando intravediamo nella semi gmoscurila il direttore dell'albergo divigersi di corsa verso di noi agiando un foglietto. Crediamo per un istante che si tratti di un genti- e pensiero del Maragià il quale, costretto ieri a trascurarci, ci manda oggi le sue scuse e gli auguri di buon viaggio. Macché ! Nemmeno per sogno! Il direttore dell'alber-\vgo ci porta una ricevuta da salda-\tre: "J*** «*> di una lvmonata\lc'-c avevamo dimenticato di pagare' ssrpte di cui egli reclama il prezzo Il volo da Karaci a Jodhpur è assai movimentato. Il rovente cielo ndiano è malagevole all'aviazione. Correnti di varia densità provocano negli apparecchi movimenti pazzeschi. Lasciata Karaci, si punta ver¬ sEmentl so U fiume Indo e, sorvolandólo,]ms% ammira l'immensa rete delle nuo-\gve irrigazioni derivanti dallo sbar ramento di Nagpur che sta conver tendo la provincia — fino a qualche tempo fa tutta desertica — in una nerie di fertilissimi campi, Dopo l'Indo seguiamo la lìnea fer roviwrìa per Dehli, lungo la quale è collocata Jodhpur e si ha sotto gli occhi la infinita monotonia del l'India riarsa in attesa del Monsone. Viceversa, la trasvolata da Jodhpur a Calcutta permette di raccogliere la visione fantastica del massiccio indiano che comprende essenzialmente gli infiniti affluenti del Gange e poi il colossale padre dei fiumi indiani sino al Delta. Vista in volo, l'India appare quella che effettivamente è, cioè un paese ricco di mezzi moderni — ferrovie, strade, canali — ma scarso di centri notevoli e formato da migliaia e migliaia di villaggi dì paglia costellanti il tappeto infinito delle risaie. Unica nota degna di rilievo è la sorprendente visione di Benares, rivolta al sole levante. Anche il volatore ignaro di ciò che la città rappresenta nella vita mistica degli Indù, intuisce come essa esprima qualche cosa di indicibilmente strano e affascinante. Sotto il morso del sole Impressionanti, per l'ampiezza dei loro letti ora in magra, sono i fiumi -La famosa confluenza del Gange, che \ dà luogo all'adunata di milioni dì uo^nini appartenenti al mondo indui- i , e i e e n d sta.e bramanico, sembra un deserto per la sua ampiezza. Le foreste e ì territori disabitati sono rari; montagne di poco rilievo segnano appena gli spartiacque fra le innumerevoli amplissime vallate dell'Indostan. Sotto la canicola che tutto incendia è l'impero del sole e dell'acqua sulla terra che alberga moltitudini, per compensare forse la scarsezza di uomini che vivono negli immensi deserti compresi fra il Mediterraneo e Mndia. Volando dal Rajputana all'India centrale, di qui al Behar, dal Behar al Bengala, ondeggiamo nell'aria ab bacinante come un uccello folle condannato a mai posarsi. Quando ci fermeremo? Il ronzìo alle orecchie a tratti si fa stordente e non so se attribuirlo al frastuono dei motori o alla mia stanchezza; mi pare di volare da anni senza posa, senza sonno e invece sono in viaggio solamente da sci giorni. La pena maggiore mi è data dall'indolenzimento delle ossa, prodotto dalle lunghe ore trascorse semi-assopito in posizione disagevole a bordo d.ell'ìdro prima e del trimotore poi. L'apparecchio è comodo — non c'è che dire — offre quanto può chiedersi a un aeromezzo, ed anche più, forse, ma sei giorni ininterrotti dì volo col massacro delle prime due tappe, senza un minuto di sonno, si devono pure scontare. Se non mi animasse il pensiero della mèta da è iungers in questo tempo da re. a cmAi credo che abbandonerei l'impresa. Le ore trascorrono veloci e in- . terminabili insieme, come per un paradosso del tempo. Quando ci fermeremo? Quando toccheremo terra? i _ , Quando potremo dormire? l ^ " ■ _ „ ,_„,,,,_ „ i e a o o Scorgiamo a un tratto gli asili degli uomini infittirsi all'inverosìmile. Chundernagor! La città appare'eome una immensa distesa di stabilimenti industriali. Siamo alle porte di Calcutta. La metropoli si stende sormontata da una folla di ponti. Fi- dregmpvraacbspgtlcldtsdvsctpnpmlrmthdvgldnnietbpFr\Bnalmente il volo ha termine ed io, ubriaco di quella danza infernale nelì u firmamento, assordato da undici or« e,\di frastuono dei motori, passando -.dalla fresca atmosfera delle regioni. \vre quello. Dall'aerodromo a Calcut\ta ci sono venti chilometri, venti chi\lomeM di fU aria f den. ' superiori all'afa della bassura, penso all' opportunità di riprendere il racconto del dramma indiano nel punto in cui un mese fa dovetti interromperlo proprio da Calcutta. Da Calcutta a Pi'ngoom Ma il dramma non cambia: è seni- sa degli odori più pesanti ed ingrati. E poi la metropoli indigena dal movimento vertiginoso e infine la città europea aperta sul vastissimo polmone di Meidan, meraviglioso campo di tiro per il forte William che dominò la turbolenza inguaribile di ciuesto ptgsninosgd milione e mezzo di Indù fraì più progrediti dell'India. i - Bangkok, 19 notte. Abbiamo spiccato U volo stamane da Calcutta verso Pingoon in un mare di nubi basse sulla foce del Gange. Dobbiamo superare tutto l'immenso delta vasto come la pianura padana, passare sopra le innumerevoli bocche ampie come bracci di mare, sino a quelle estreme che ricevono anche le acque del Bramaputra, fino alla costa di Chittagong, al confine con la? Birmania. Dopo quasi un'ora di vólo, le nubi aprono vasti squarci lasciandoci scorgere il terreno del delta, ora coperto da una fitta foresta, nido di tigri del Bengala. Più «vanti, zone coltivate a risaie e disseminate di villaggi anfibi. ì bracci del fiume e i canali formano una rete inestriedbì le di superbo aspetto sotto i giuochi di luce dell'aurora e le ombre proiettate dalle nubi. Tutta l'India, quella superpopolaìa delle pianure e l'altra della barriera dell'Hìmalaia, si risolve nel delta dando la medesima sensazione base del misticismo indù che al Gange ed al Bramaputra get ta da millenni le ceneri dei suoi morti perchè vadano a confondersi all'oceanica materia universale. Ma V India è finita: V ultima impressione mi è stata data stamane mentre dal Great Eastern Hotel salivo nell'auto per il lontanissimo aerodromo. Erano i giornali che esprimevano la loro soddisfazione per il trionfo delle misure poliziesche che hanno soffocato il movimento gandhista, sicché, Jn ultima analisi, la vita pubblica indiana si riassume oggi nella cronaca della lotta della polizia contro gli agitatori che vanno divenendo sempre, meno vivaci e meno fertili nelV'escogitare mezzi per tener viva la fiamma dell'indipendenza integrale. Comìzi sugli alberi Vi segnalo, a questo riguardo, un episodio amenissimo. L'ultima trovata dei nazionalisti indù consiste nel tenere meetings contro il Governo britannico incitando i comizianti a prendere posto sui colossali alberi di Ficus elastica. Ciò obbliga la Polizia a pene infinite per riuscire a sciogliere i partecipanti ai meetings stessi. Eccoci giunti in pieno golfo del \Bengala, diretti verso l'isoletta di Macai, sulla costa di Chittagong, località nella quale, secondo le segnalazioni della, radio, dovremo attraversare un fitto banco di nubi prima di raggiungere la costa. I servizi che ci rende la radio sono stupefacenti; la radio ci rimette persino automaticamente sulla giusta rotta per mezzo del radiogoniometro, avvertendoci subito delle deviazioni anche minime. Il banco di nubi è superato; la costa è raggiunta. La sorvoliamo a duemila metri; appare irrigatissima e fittamente abitata. A sinistra abbiamo il golfo del Bengala, a destra si profilano le alte dorsali della catena dell'Arakan che si spingono a più di tremila metri. Oltre di esse scorre l'Irawaddi. Fra tre mesi, quando imperverserà il Monsone e la rotta costiera diverrà impossibile a causa dell'estrema violenza del vento e delle piogge, l'aeroplano varcherà a cinquemila metri di altezza quelle montagne andando a cercare una maggiore calma negli strati più alti dell'atmosfera. Allora, la trasvolata dell'Asia diventa pericolosa. Un grande apparecchio, infatti, si è perduto, facendo quattro vittime, nell'estate tre torosepall'copto, scorsa. lì Chiedo al nostro pilota, l'abilissi« »«> Camoin, Cavaliere della Legion o d'Onore, caro a Painlevé che, quando i.era al Governo, lo richiedeva sempre RtadVcggnvdmloocdgcgsmtszClbscwddgidstdmslmIgmrrmc per i suoi, viaggi aerei, perchè queste trasvolate a ritmo di raid non ven- gono sospese nella stagione del Mon- sone. Egli mi spiega che ciò è impossi-bile per la concorrenza che si è ve-nuta creando fra Z'Air Orient — che intende presto prolungare le sue li- nee fino a Tokio — e l'aviazioneolandese che esercisce la linea Am sterdam-Batavìa e che sino a Rangoon segue presso a poco il nostro itinerario. Laviohnea ^sen^%dra-India si arresta a Dehh. Qmndiolandesi e francesi sono per ora soli in gara per i voli transasiatici e, a quanto constato, la lotta è accanita. Ecco anche spiegato perchè queste rasvolate hanno il carattere di veri e proprii raids. Tifiti ì grandi volaori ci hanno precedutilo su questa] rotta e noi abbiamo l'impressione d'idesfoalcponuDedeseguire la pista eroica dei pionieri per le vie dell'azzurro, dall'Europa all'Estremo Oriente e dall'Europa al'Australia. Ci empie di orgoglio il constatare che essi non hanno corso\ più di quanto corra il nostro trimo-\notore che si chiama arditamente ^\acResolue. Alla quarta ora di volo da Calcutta sorpassiamo Akiab, prima città della Birmania venendo dal Nord. Voliamo ora sull'arcipelago. Tanto la costa come le isole hanno aspetti magnifici: la vegetazione è lussureggiante; sulle montagne si arrampicano fitte foreste. La superficie coltivata si limita agli stretti e alla banda costiera. Il tempo è splendido, il mare calmissimo; di modo che il pilota decide di prolungare la tappa odierna fino a Bangkok. Saranno così in totale quasi quattordici ore di volo con una breve sosta a Rangoon che è a nove ore di volo da Calcutta. Domattina, quindi, dovremmo raggiungere la mèta: Saigon. Meno di sei giorni addietro partivamo da Damasco. Come si vede, è proprio un tour de force. Per taluni tratti, questa costa birmana ricorda la Dalmazia, il litorale fra il Carnaro e Cattaro. La forma delle isole e il colore del mare sono ineffabili. Ora abbandoniamo il mare per addentrarci sul territorio interno, cioè scavalchiamo i monti e sorvoliamo VIrawaddi. Oltre i 3700 metri E' qui che la trasvolata diventa drammatica per la grande altezza die occorre guadagnare sulle montagne ammantate dalla foresta vergine in cui crescono i legni più preziosi dell'Asia c si annida tutta la ricchissima fauna birmana. Si guadagna quota a larghe ondate: mille metri, mille e cinquecento, duemila. L'aria si fa più pura, l'atmosfera tersa come il cristallo, il sangue batte rapido alle tempie. Saliamo ancora: duemila e cinquecento metri, duemila e settecento, tremila. Il pilota si volge verso di me e mi guarda sorridendo come per chiedermi se resisto allo sbalzo rapido. Sì, resisto, ma è una fatica che non vorrei affrontare ogni giorno. L'apparecchio galoppa ora sui monti; la parete selvosa ci viene incontro come se precipiiassimo. An-{ cora più in allo. Dove arriveremo? Tremila e trecento metri, tremilacinquecento, tremilascttecento. Il cuore batte sussultando come dopo una lunga corsa; il ronzio alle orecchie cresce; un torpore insidioso scivola lungo le braccia, la sonnolenza fa le palpebre di piombo. Reagisco al malessere incipiente regolando la respì la MpaBufal'IenalcaraAscpemil avunlaLtescfoortunvinulemednmIluìnrUprlaMissspdrputmLrazione; bevo un sorso di lucuorc. mi, farà male? Non so. Stendo le »rac-|sda per equilibrare il ritmo dei poi-\vmoni e quello del sangue. Autnamo superato i tremilasettecento metri, dquota non certo spaventosa per un salpinista ma impressionante se si kpensa alla rapidità con laquale tao- Marno raggiunta. Il pilota s. voige ^ancora indietro e mi soi nat. • Il cuore accelera il suo battito; ho' l'impressione che un leggero sudore si sia steso sulla mia fronte; no, è soltanto il freddo che si insinua tra gli abiti. Mi riprendo, cerco di distrarmi, guardo il paesaggio che sfila sotto di noi. Nella distesa delle selve non si scorge la mìnima radura. Nella profondità dei valloni le acque azzurre incidono il verde. Nessun segno di vita umana. Siamo su ktdCcMcink a delle parti meno esplorale délAsia, anzi delle, più impenetrabili, rascichi di nubi trasvolano sotto carlinga: è un vero caos della na- ra vergine che non sarà mai doata. A un tratto, una nube più alta lle altre ci investe: l'aeroplano suslla e si abbassa repentinamente a un colpo di timone lo raddrizza. crefodoeddrpotingovemeNon immaginavo che la catena coiera della Birmania fosse tanto selggia ed alta e dovesse costituire il ofssaggio più arduo dell'intero viag-\noo Jm travermta dei monti duru\mezz'ora. Ecco la piana del Pegù e li'Iraw addi immenso. La Birmania della pianura, cioè le alli dei suoi tre grandi fiumi, è una dia raffinata. Il paesaggio è armo sast,siaoso, molle umido, tutto risaie: in- \ -eile, sue donne così piene di fascino. rvallate da brevi foreste. L'Iraaddici appare come uno sterminato astro azzurro, al contrario del Gane che è biondo. Sì vedono le navi e, risalgono la corrente compiendo più ameno viaggio fluviale della rra, fino alla deliziosa Mandalay. utti i villaggi sono all'ombra di teeri boschetti ed in tutti si distinuono le punte di innumerevoli paode. Il vento ci ha favorito; atterriamo l'aerodromo di Rangoon mezz'ora rima del previsto ma siamo così ditanti dalla metropoli che come tutta ensazione dei venti minuti di sosta accolgo quella del sole infernale che folgora sul capo insieme a quella di lcuni importuni agenti doganali e oliziotti. Della deliziosa Rangoon, ulla; neppure una rappresentante ecisamente, questo volo è l'antitesi el turismo. Verso la foresta in fiamme Levandoci di nuovo in volo, il paorama della magica città si dìspiec però per intero, signoreggiato dal- a piramide d'oro — aZta quanto la Mole Antoncllìana — della massima agoda del mondo. La metropoli del Burina è tutta adagiata nel verde e asciata da un ramo del delta delIraioaddi e dal Pegù, fiumi? enormi ntrambi. Seguiamo il secondo sino lla foce e quindi attraversiamo l'inantevole golfo di Martaban fino a aggiungere la costa della Malesia. Arrivati all'altezza delle isole Mocos, volgiamo decisamente ad Est per superare la selvaggia barriera montana fra il golfo del Bengala ed l Siam riprovando le impressioni avute al mattino sui monti Aracan ed un'altra più viva. I monti di Tenasserim, coperti dala foresta vergine, sono in fiamme. Lo spettacolo sotto i nostri occhi è errificante. Il fumo densissimo naconde quasi interamente quelle proonde montagne che richiedono due ore di volo per essere superate. E' utto un immenso braciere sotto la nostra carlinga; uno spettacolo spaventevole, infernale. Pare che l'alito nfocato ci raggiunga e ci attiri. Per un fronte di chilometri e chilometri e fiamme divorano la foresta. Il fumo denso e resinoso sale pigramente ed oscura ì lembi estremi della fornace. L'aeroplav.o, benché voli altissimo, procede su una scura caligine. Il fuoco divampa in mille punii. A un tratto il pilota mi grida: — On serait perdu à tout janais... Se avessimo bisogno di atterrare... — vuole certo aggiungere Distolgo lo sguardo dalle fiamme. Un brivido corre per la schiena. Chi pensa a una caduta in quel braciere? Proseguiamo. Questi incendi non sono rari nella stagione che precede quella del Monsone. E se non bastassero ali incendi, ci sono i deserti fra Bassora e Karaci che hanno fatto classificare questa linea aerea tra le più spaventevoli. Questa, almeno, è l'opinione dei piloti. All'aerodromo di Bangkok Finalmente usciamo dalla nube di fumo; la zona in fiamme è superata, voliamo verso il cielo puro. Allo sbocco delle montagne la piana del fiume Me Nan si stende ubertosa e tranquilla fino alla mèta: l'aerodromo della Capitale siamese, dove atterriamo al tramonto. L'aerodromo è lontanissimo dalla à cQn J(j comunica a mes, so jm tren-mo cJie impieaa un>ora ver coprìre n veTCOrso_ j/ok esisto s,radc rotabili e si ignora l'uso deWautomoh.;^ Non hQ fortma stasera L'ultimo treno per Bangkok è partjto. Bisoqna rassegnarsi, AcC£tnamQ CQSÌ Vospitalttàt in. ^ (mQ. qentUe dcqlì uffìrialì sia. g. deWaerodromo_ Bang kok resta quindi inaccessibile ai trasvolatorì. Rinuncio al desiderio di rivedere qualcuno dei miei amici. \ Come è avvenuto per Rangoon. Per consolarmi, chiamo al telefono il tacicisestgalalaorsoapa ogSSSfilelorolutrCpcz—labfuvbrdMslcgttdtCiisssuccpmgndturrslMinistro d'Italia al Siam, Cavic-lch'ioni, mio caro amico cui debbo indimenticabili giornate trascorse nella lontana Caracas venezuelana. Caricchioni è arrivato a Bang-\kok da pochi giorni e dapprima non crede assolutamente udendo al teleono la mia voce. — Sì, sono proprio io — rispondo. — Sette giorni fa ero a Napoli ed ora sono qui, bloccato all'aerodromo di Bangkok, desolato di non poterti riabbracciare perchè domatina riprenderò il volo verso Saigon: è la mia ultima tappa. Un quarto d'ora di affettuosa conversazione per telefono e poi, finalmente, il riposo sul tettuccio siamese offertoci dagli ufficiali. Viene il sonno nel silenzio del solitario aerodromo turbato soltanto dal grido delle salamandre che passeggiano indisturbate nel « bungalow ». Saigon, 19 marzo. Ho compiuto la traversata dell'A- sia in aeroplano giungendo a Saigon - quindìci dì oggì Aopo drca aet. . i l i ù e a e . a , a o a i, . . i o i. \ r l tanta ore di volo da Napoli; dodicimila chilometri di percorso, di cui cinquemila sul mare, tremila sul deserto e millecinquecento sulla foresta vergine; il resto su territori organizzati civilmente. Bilancio del « raid » La trasvolata, benché costituisca la comunicazione aerea postale tra la Francia e l'Indocina, stabilita ormai da un anno, è resa possibile solo per'la perfetta efficienza degli apparecchi e dei piloti. Sono stato a bordo l'unico passeggero e sono oggi il primo straniero che arrivi a Saigon dall'Europa per via aerea. Speravo dì continuare il volo fino a Sciangai ma la possibilità di approfittare di futuri servizi aerei lungo le coste del mare della Cina è assai lontana; proseguirò quindi per piroscafo. 1 giornali di Saigon commentano lungamente con entusiasmo la mia trasvolata dal Tirreno al Mar della Cina, facendo rilevare come per la prima volta l'Air Orient abbia accorciato di due giorni la comunicazione aerea Francia-Indocina. L'ultima tappa Bangkok-Saigon — ottocento chilometri — è stata la più breve dell'intero tragitto. Abbiamo seguito per il primo tratto la ferrovia siamese che incide come una interminabile ferita la foresta vergine fino alla frontiera col Cambodge. Abbiamo poi raggiunto la riva meridionale dal grande lago d'onde scaturisce una branchia- del Mekong lasciando a sinistra le misteriose rovine di Ayigkor nelle quali bassorilievi di epoca ignota alti cinque metri e lunghi un chilometro giacciono sotto il manto delle selve tropicali. Volando sulle propaggini settentrionali della formidabile catena dei monti Elefanti, salutiamo i tetti bicornuti della Capitale del Cambodge, Hnompeuh, per varcare il confine della Cocincina e passare in rivista i rettangoli infiniti delle sue risaie fino a Saigon. Panorama sempre eguale ma di bellezza inesauribile sotto un cielo terso come uno specchio. La natura appare qui con una verginità senza fini; anche le sterminate regioni coltivate paiono sbocciare dalla pianura come per un prodigio. Non vediamo gli «omini al lavoro; la quota tenuta dall'apparecchio ce lo impedisce, ma amiamo immaginarli intenti alla loro feconda fatica sugli umidi solchi in cui germoglia il riso. Quanti milioni di uomini trarranno vita da queste coltivazioni senza confine? In volo sulle risaie Millenni di storia, civiltà sconosciute, sfilano sotto la nostra carlinga e lo stordimento lieve che dà il vólo prolungato confonde i pensieri come in un sogno. Una settimana fa — penso — ero ancora in Italia; oggi sono alle soglie dello sterminato impero cinese. Il ronzio dell'apparecchio a tratti cede di intensità; pare che l'aeroplano scenda a motore spento. Perdiamo quota. Le risaie ci vengono incontro di cólpo con rapidità spaventosa. Mi ritraggo istintivamente, come a fugare un pericolo sovrumano. Un cólpo al timone di profondità; il pilota ha r'nncsso in linea il potente trimotore ed il volo prosegue eguale, perfetto, tranquillo. I campi scorrono ora più veloci sotto di noi; distìnguiamo qualche gruppo dì uomini; la terra sembra uno sterminato formicaio. Volteggiamo a lungo sulla Perla dell'Estremo Oriente annunciandole die rechiamo con noi la posta partita da Parigi otto giorni prima. Per l'ultima volta infine vediamo la mèta in senso verticale. Atterraggio felice, senza, scosse, impeccabile. Ho già date le cifre riassuntive del grande volo che aspetta il suo naturale prolungamento fino al territorio cinese e nipponico. Occorre considerare che la realizzazione attuale della Air Orient rappresenta una vittoria grandissima su' una vera folla di elementi avversi e c-lspesso immodificabili, come i deo serti, le foreste vergini, il mare e aperto, la violenza del Monsone a. Altri elementi potranno neiitralis- -\zarsi quando il senso del volo la n coscienza aeronautica — sarà mag-

Persone citate: Alessandro Magno, Behar, Bengala, Cornei, Elefanti, Gane, Thompson