Da Napoli a Sciangai in aeroplano

Da Napoli a Sciangai in aeroplano Da Napoli a Sciangai in aeroplano Cento ore di volo in otto giorni » Dall'Italia al Belucistan - La catena del Libano superata di notte - Viaggio senza soste : dal deserto sanguigno ai paesaggi lunari Un pericoloso incidente al motore alla partenza da Buscir. - L'arrivo a Karaci (Per cablogramma dal nostro inviato speciale) Arnaldo Cipolla, clip circa, Wmese fa era tornato dal può viaspio in India, l'il marzo 6 partito da Napoli in idroplano per raggiungere,, sempre in volo, Seianpallì' In, prima volta che un inviato spedale! di giornale compie cento ore di volo in otto giorni por ragioni di servizio. Arnaldo Cipolla, inviato do «La Stampa» nell'Estremo Oriente, ha compiuto un raid di eccezionale importanza. Di questo Interessante viaggio aereo egli cIta mandato, da ogni tappa, le suimpressioni. Per ragioni di spazione pubblichiamo soltanto una parte: completeremo domani l'interessante narrazione. Corfù, 11 marzo. Mi sono impegnato di raggiungere la Cina per via aerea attraversando il Mediterraneo e tutta l'Asia fino a Saigon (Indocina francese) in soli otto giorni. La prima tappa di questo volo è Corfù, dove sono arrivato verso le ore diciassette, essendo partito da Napoli alle tredici. Tappa brevequesta, perchè l'idro della Compagnia Air Orient era partito da Marsiglia stamane e, favorito dal Libeccio, era giunto a Napoli in sole quattro ore. L'itinerario e gli apparecchi Ecco, in breve, il mio itinerarioquale sarà compiuto se i motori la fortuna mi assisteranno: domattina un altro apparecchio mi porterà sino a Damasco; quindi un Fokker mi farà sorvolare il deserto della Siria fino a Bagdad per proseguire subito verso Bassora e la penisola indiana. Un nuovo cambiamento di apparecchio, il quarto, avverrà a Caraci, da dove non compirò trasbordi fino a Saigon sorvolandper intero VIndostan e la. Birmania e finalmente il Siam e l'IndocinaDa Saigon a Sciangai volerò a bordo di un idroplano americano. La mia trasvolata non è, quindiun raid personale ma effettuato con gli apparecchi di una Compagnia che sinora detiene la più lunga linea aerea del mondo. Gli « idra » sui quali sto attraversando il Mediterraneo non sono affatto lussuosi ma hanno — sugli apparecchi più confortevoli e di maggior mole inglesi ed olandesi che raggiungono Dchli e Batavia, centri delle Colonie della Gran Bretagna e dell'Olanda — il vantaggio di una velocità maggiore e di una più grande sicurezza. Si tratta di biplani Dornier d1600 cavalli di forza con quattro posti solamente per i passeggeri oltrenaturalmente, quelli per i due pilotc per il radiotelegrafista. Lo scafo è costruito per resistere a qualunqumare in maniera da garantire la salvezza dei volatori anche nel caso dun incidente o di un forzato ammaraggio. Il personale di guida e dì manovra è eccellente: piloti espertissimi nelle grandi trasvolate, scelti fra mille, ottimi tecnici e capaci manovratori in ogni tempo, con ogni cielodi tempra fisica eccezionale, con un sistema nervoso, una prontezza eccezionali. Ho constatato ciò durante il mio volo odierno, fatto quasi interamentsotto un ciclo burrascoso e pure compiuto con regolarità perfetta. Ad ogni remour, il primo pilota mi faceva passare un biglietto chiedendomi quasi scusa per gli inevitabili movimenti dell'apparecchio: poche parole segnate a lapis sui fogli del sutaccuino in cui mi si djiva spiegazione di una virata brusca, di un colpdi timone che faceva improvvisamente sbandare gli uomini a bordo pel'inatteso scarto sulla rotta o per ifulmineo mutamento di quota. Abbiamo dovuto rinunciare, partendo da Napoli, a passare direttamente sull'Appennino per raggiungere l'Adriatico, appunto per le condizioni meteorologiche avverse. L'apparecchio ha filato rapidissimo verso Sud, lungo la costa celata da densi vapori sorvolando a media quotaQuesto piccolo ma fulmineo cabotaggio aereo è durato qualche ora. Allaltezza di Sant'Eufemia e Policastroabbiamo sorvolato la Calabria a trecento metri di quota tagliando in lnea retta la strozzatura di quell'estremo lembo della Penisola. Un compagno eccezionale Il mare, nel golfo di Taranto, ci apparso meno burrascoso che sullcosta del Tirreno. Passata Leuca, lcondizioni atmosferiche sono andatmigliorando rapidamente e l'Adriatico in breve è diventato quasi calmoLa molle Corfù ci è venuta incontro rapidissima benché ammantatanch'essa di nebbie. L'ammaraggisi è compiuto perfettamente in quepiccolo porto naturale che è compreso nel canale tra Corfù e l'Epirochiamato Gavino. Cielo lievementoffuscato ma non tanto da impedirla vista delle pendici deZZ'Achilleioche si stendono a breve distanza. Pilontano, a nove chilometri circa, è città. Ho sinora un solo compagno viaggio che merita di essere segnlato. E' un vecchietto francese chmai era uscito sinora dal suo paese mai aveva compiuto un viaggio aeroplano; un modesto negozianche sul declino della vita è stato prso dal ghiribizzo dì attraversare Mediterraneo in volo e che un'ora fè rimasto estatico dinanzi alle siedi fichi d'India dell'Isola confessadomi di non averne mai veduti. L'aviazione ha di questi stra (Per cabWneofiti i "'-il è una passione che prende talvolta all'improvviso anche coloroche mai hanno pensato alla possibilità di impiegare i mezzi più moderni di comunicazione. Un piccolo capitalista, un modesto rentier, un possidente di provincia si sente affascinato un giorno dall'idea del volo; resiste un po', tentenna, riflette e a un certo punto — quando si pensa che non ne farà nulla — compra un biglietto e si lascia trasportare per migliaia di chilometri fra cielo e mare con una letizia timida e insieme esuberante, con un'ansia curiosa che lo fa sembrare un bambino. Così è questo vecchietto che ha lasciato da mezza giornata il suo paese di Francia e gode a pieni polmoni, nell'aria della costa ellenica, forse la gioia più grande della sua vita. Sarà ancora al suo paese, fra una settimana, il mio simpatico compagno di viaggio e guarderà il mondo che lo l , e e n ù a i e e n e l a i i circonda con occhi nuovi. Ha volato: ha aggiunto alle tante sensazioni della sua lunga vita l'ultima è — perchè no? — Za più bella. Non commetterò l'ingenuità di raccontarvi le mie impressioni intorno a questo inizio del grande viaggio aereo in cieli e su mari tanto familiari. Desidero sólo chiamare in anticipo il pensiero dei nostri lettori sulla fulminea corsa che ho appena iniziata verso l'Oriente Estremo, dove due immensi popoli si combattono. Beyruth, 12 marzo. La partenza stamane da Corfù è avvenuta un'ora prima del giorno perchè la tappa di oggi supera i 1800 chilometri. Infatti, questa notte dovrei trascorrerla a ,Damasco; dico « dovrei » e non « dovremmo » perchè tutto quanto è sull'apparecchio e l'idroplano*, stesso, rimane a Beyrut. Io solo proseguirò la corsa verso Oriente con i mezzi più celeri che sono disponibili. Mentre l'apparecchio e i miei primi compagni di viaggio riposeranno, durante la notte, scavalcherò da solo, in automobile la catena del Libano, ora coperta di neve, per raggiungere Damasco prima dell'alba e raggiungere lì il mio Fokker che domani stesso mi deporrà almeno per qualche minuto a Bagdad. Ogni sosta soppressa Vi dò questi particolari perchè traducono esattamente il carattere di inesorabilità del mio volo e spiegano pure come io sia solo a compierlo su tutto il percorso. In altre parole, ogni sosta è praticamente soppressa ed ogni possibilità di riposo anche. Da parte mia non sarà trascurata alcuna risorsa perchè il viaggio si compia interamente nel tempo previsto e con i mezzi già calcolati: tempo di record pei' un viaggiatore ordinario; tempo eccezionale anche per un pilota. Fino a questo momento la stanchezza non si fa sentire; forse ciò dipende dall'eccitazione nervosa del lungo volo, dall'ansia delle tappe che ancora restano da compiere, dal timore che un elemento imprevisto — uno di quei fatti imponderabili che gravano su ogni azione umana — possa sopraggiungere e troncare o ritardare la trasvolata dell'Asia, questo continente immenso dal quale è scaturita l'umanità e che ai suoi lembi estremi è acceso oggi da un incendio senza confini che minaccia l'esistenza di centinaia di milioni di uomini. Con questo quadro lontano, con le immagini che affiorano dalla memoria e dalla fantasia, col pensiero e il ritmo del polso che il lungo volo accelera con ritmo più nervoso, prosegue il mio viaggio verso l'Estremo Oriente. In quanto al racconto quotidiano della trasvolata, esso sarà necessariamente limitato alle parole che potrò riuscire a scrivere durante il volo, rannicchiato sulla mia sedia di vimini tra una coperta, una valigetta e una bottiglia thermos, tenendo i fogli del mio quaderno di viaggio sulle ginocchia. Conscio ormai delle funzioni di pacco postale espresso che la mia persona rappresenta, rinuncio ad insistere sulla organizzazione interna del nostro idroplano che, al secondo giorno di viaggio e dopo dodici ore di volo, sì rileva meravigliosa come rapidità ed esattezza ma. terribile per la macchina umana, voglio dire per il pacco postale animato che è destinato ad arrivare in cento ore di volo da Napoli a Saigon. Ecco i miei appunti di volo, quello che può considerarsi il giornale di bordo della seconda tappa. Torniamo indietro di qualche foglio : « Fra ven- ge o i n e e o a i a à i o ti minuti ammareremo a Castelrosso ». Quattro ore fa avevamo sostato in una piccola rada a trenta chilometri da Atene: « Tappa brevissima, quindici minuti per rifornire l'apparecchio di carburante, lasciare la posta in arrivo e raccogliere quella che proseguirà con noi verso Oriente ». Scorro rapidamente il quaderno di\appunti che ho segnati con parole staccate a lapis ora per ora : « La giornata sinora è nuvolosa ma abbastanza calma. Sorvoliamo l'arcipelago dell'Egeo ». Qui si verifica un brusco salto di quota — un balzo di circa mille metri — che provoca nell'apparecchio quei movimenti di beccheggio e di improvvisa discesa ben noti ai navigatori dell'aria. Sull'immenso mare Ecco ancora i miei appunti: « Anche Castelrosso è indietro. La sosta è durata esattamente venti minuti : lrco o inri a oo. è o 0 oo r e t. so oo o aa ea kà d. adi o u ni d a um e di o; iniò el he i— he — o e è mnsioon ero lo omo no aoodi eto i uldi ia nna do re me ile re de di llo di mo en- fra il trasporto dall'« idro » alla banchina di sbarco, una rapida corsa per le casette colorate di questo estremo centro italiano nel Levante fino a un'osteria che appare poco lontano. Scambiamo qualche parola col carabiniere di servizio. Avanti: puntiamo ora su Cipro volando in pieno Mediterraneo verso la Capitale della Siria. Siamo costantemente legati con la radio alle stazioni della Compagnia di partenza e di arrivo. E' l'unica voce che ci unisca alla terra. Si parla contemporaneamente con gli uomini che abbiamo appena lasciati, e che di minuto in minuto sono di alcuni chilometri più lontani, e con gli uomini della stazione prossima, cui ci avviciniamo con eguale rapidità! Le stazioni della Compagnia aerea ci seguono durante tutto il volo. Basta riflettere su questo particolare, mettendolo in relazione con l'enorme lunghezza dell'aerolinea ed integrandolo con tutta l'organizzazione dei rifornimenti, per misurare l'importanza delle aero-comunicazioni esistenti tra la Francia e le sue grandi Colonie asiatiche, in primo luogo l'Indo dna. Il mio pilota odierno, Leclair, come quello di ieri, Pichadeau, sono splendidi volatori marini. Non voglio ripeterne l'elogio: la loro abilità, il loro coraggio sono superiori a ogni lode. Conoscono il Mediterraneo e i mari del Levante a menadito. Ieri, a Napoli, il mio unico figlio, che è allievo all'Accademia Aeronautica di Caserta, venuto a salutarmi sulla carlinga dell'aeroplano, veden do Pichadeau, mi ha detto : « Sfai sicuro, papà: il tuo pilota ha gli occhi del vero pilota! ». Il mio « aquilotto » era assai coni mosso dinanzi a suo padre che si ac cingeva a questo grande volo. Gli sembrava illogico che — fra me e lui — fosse il padre designato dalla sorte a volare di seguito per un tempo così lungo. Gli basterebbe la metà si pensi — a conseguire il brevetto di pilota. Non voglio accentuare questo intimo episodio ma non posso im pedirmi di dire che ieri l'aquilotto e il suo genitore hanno dimostrato di essere molto italiani e molto moderni, italiani di oggi, animati dallo spìrito nuovo che ha sì salde radici nel cuore di tutti noi. Sono le quindici. Il Mediterraneo ci prende in pieno: rolliamo, beccheggiamo con grandi volate ma, se dal punto del mal di mare stiamo assai peggio che su di una nave, abbiamo l'inestimabile vantaggio non dì raggiungere la terra ma di vedercela correre incontro. Ecco quella di Melusina che smania di gettarci le sue diafane braccia al collo sotto forma di nuvole. Passiamo inafferrabili siamo nuovamente sull'alto mare: ne abbiamo ancora per settecento chilo metri. La velocità oraria del nostro ap parecchio — che si chiama Provenza mentre quello di ieri si chiamava Savoy — è di duecento chilometri all'ora. L'ultimo tratto del Mediterraneo promette di essere limpido e calmo. Scorro ancora gli appunti del mio giornale di bordo : « Fra mezz'ora- dovremmo avvistare il Libano ». Leclair mi fa cenno di passare al suo fianco, al posto del secondo pilota. Voliamo a ottocento metri sulla immensità delle acque. Sono le ore diciassette. I punti nei quali abbiamo sostato lì abbiamo dimenticati perchè ogni sosta ci sembra unicamente connessa alla nostra resistenza fisica, alla possibilità di riposo, alle esigenze fisiologiche. In questa chiusa cassa vo-rzcnmsbz nostro ato splaute d/acciaio ci sentiamo padroni dello spaziò ma esausti da dodici ore di volo sul mare. Agogniamo la terra. Eccola: appare la Siria! Siamo sui rossi tetti di Beyrut. Ammariamo. Sul deserto della Siria Buscir (Golfo Persico), 13 marzo. Ho iniziato il mio volo odierno sul- ia faccia sanguigna del deserto della Siria partendo da Damasco alle quat tro e mezza ed arrivando a Buscir (Golfo Persico) alle sedici, con una sola sosta, e breve, a Bagdad. Ho interrotto il mio dispaccio di ieri con l'arrivo a Beyrut dove il Comandante Miroir, della stazione base della Compagnia Air Orient, aveva preparato — come ho detto — il prosieguo del mio viaggio per auto attraverso il Libano sino a Damasco. Tuttavia sono rimasto a Beyrut fino a notte inoltrata, sedotto dalle cortesie del personale dell'Air Orient nonché dalle premure del Console gene- a , e i l i i i i i i o o e i l o e ì a e a e a a l . o a. o ni a soo- rale d'Italia Decicco e dei suoi funzionari. Come mi ero proposto, ho scavalcato la catena del Libano durante la notte. Tre ore di corsa per la gelida montagna chiazzata di neve; la corsa è stata faticosa per le mie membra già stanche. Ho il corpo indolenzito: stati di sonnolenza si alternano ad altri di nervoso risveglio. Il freddo sembra più pungente per la fatica sopportata in precedenza; il ronzio del motore sembra a tratti che mi faccia assopire ma le scosse della macchina mi risvegliano bruscamente. Quando potrò riposare? A Damasco, finalmente: due ore di sonno illusorio.. Dopo tanto spreco di.enerr già, ho-fatto fatica ad addormentarmi. Il riposo, turbato da sogni e dall'indolenzimento della schiena, è trascorso affannoso e rapido. Al termine della seconda ora, la sveglia. E' ancora buio. Si parte di notte. Il decollaggio è illuminato da razzi accesi sotto l'ala del Fokker. Un saluto alla immensa distesa scintillante della leggendaria metropoli siriana e siamo nel nulla. L'aurora è Imita. Rosseggerà poi repentino il sole conquistando, abbacinante, le dune, le sabbie, le rocce. Ho dunque cambiato aeroplano. Contrariamente alle informazioni precedenti, che avevano formato la base del mio itinerario, l'apparecchio sarà lo stesso clic mi porterà fino a Saigon: un Fokker trimotore di 750 cavalli con una comoda cabina che finalmente mi ripaga delle pene sofferte a bordo degli idrovolanti nella trasvolata marina dì cui ho parlato nei primi dispacci. Sono unico passeggero a bordo, cosicché posso suppormi padrone esclusivo dell'aereo che mi farà attraversare tutta l'Asia. I miei compagni di viaggio? L'equipaggio. Esso è composto del pilota, Camoin, un uomo di quarant'anni, massiccio e taciturno; di un meccanico e di un radiotelegrafista. Quest'ultimo mi comunica le segnalazioni dei centri meteorologici sulla nostra rotta. Secondo le previsioni delle stazioni meteorologiche, si annunzia una tempesta di sabbia lungo il Tigri e l'Eufrate. Le prime due ore di volo, tuttavia, trascorrono calme e mi permettono di rievocare le mie antiche traversate in automobile del deserto siriano. Dure traversate, quelle in automobile! Oggi, invece, mentre scrivo queste note, con quattro ore e mezzo di volo dovremmo arrivare a Bagdad. Tempesta di sabbia La terra scivola sotto la carlinga come in una visione cinematografica. Forse è la stanchezza che il breve sonno di qualche ora fa non è riuscito a dissipare ma mi accorgo, a fissare lo sguardo sulla campagna, di soffrire lievi capogiri, attimi di smarrimento subito fugati da un gèsto nervoso. Il volo prosegue regolare. Tagliamo a media quota il nastro sinuoso dell'Eufrate dopo essere passati sui laghi scaricatovi delle sue piene. Cielo sereno, ancora. E la tempesta annunciata dalle stazioni meteorologiche? All'apparire del Tigri, dopo cento chilometri, vediamo improvviso pmmil mmcocoBsosuaistmimmcodipdmMtudchquafredprGdfetaddosmtrladdtrglocztfcvfadaszvntlMtsetecdcltcgali'orizzonte, verso Sud, un enormeìtsipario candido: è la tempesta diìssabbia. 'sPunto lo sguardo in quella direttzione: è una fascia bianca che chiù- ! Nde l'orizzonte. Ma la tempesta non1 cdeve farci paura: è destinata ad oc-! compagnare la nostra rotta da Bag-'pdad verso il Golfo Persico senza rag- sgiungerci. Il nostro apparecchio fidat i . a r a i e a l o . o - sulle sue forze, sulla potenza dei suoi I qmotori veloci e non si lascia agguan-{plare. Avanti: non preoccupiamoci. La nostra attenzione è piuttosto attirata dall'ingrato aspetto della terra di Re Feysal. Visto dall'alto, questo Regno sembra esausto dal passaggio millenario delle generazioni. Non un albero, non una chiazza laaspsadi verde: i villaggi si confondono col\mcolore del deserto, sembrano annega- \ nre nella distesa gialliccia della terraI sche li circonda. Spettrale, bianca-imstro, il territorio è solcato da una fit-1 mla rete di canali, dimostrando che,\ca a o a o i a r rlaiE' è a a a a. eio. ni a o a 0 e fa o o, e tmo n aaoenoa e. a, no ao. ite lo ga a. ve isdi di èaso ui enginso malgrado l'usura di secoli, alimenta ancora gli uomini. Ecco Bagdad, macchia immensa di colore più bruno sul deserto che la circonda. Ecco i molteplici bracci del grande Tigri, biondo come il Tevere. Ecco il bagliore delle cupole d'oro della moschea dì Kaziman. Vi ho tanto parlato, nel passato, della erede di Babilonia, che questa volta /ti limito a dirvi di averla vista verticalmente a causa dei vertiginosi viraggi compiuti dall'apparecchio sulle terrazze della Capitale dell'Irak per atterrare all'aerodromo. Nei pochi istanti di quei viraggi, ho raccolto, direi, una visione caricaturale di Bagdad — dalle rovine del palazzo dei Califfi alla tomb:. di Zobeida, dai ponti sul fiume alla statua del generale Kand, dal palazzo reale ai moli del Tigri — come mai avrei supposto di poterla vedere. Venti minuti di arresto nell'aerodromo, fulminato dal sole e percorso da un vento furioso, per una rapida consumazione di « sandwiches » che rappresentano il nostro pressoché unico alimento poiché manca il tempo per cibarsi altrimenti. In questi minuti si effettua il cambio delle candele ad uno dei motori che funzionava nervosamente e fra turbini di polvere decolliamo nuovamente seguendo il corso del Tigri. A Buscir Avremmo doyjito puntare su Bassora; viceversa, ci teniamo verso il confine tra l'irak e la Persia sulla paludosa, sterminata regione ai piedi delle montagne del Luristan e per quattro ore filate voliamo in un panorama evanescente, impossibile a determinarsi, i cui elementi principali sono paludi vaste come mari, il deserto chiazzato di distese bituminose e brevi oasi di palmizi. Si acuisce, in questo paesaggio, il desiderio di scorgere qualcuno almeno dei particolari biblici della Mesopotamia meridionale e sopratutto le sacre moschee, le tombe degli Alidi, ed il Paradiso terrestre che la leggenda islamica colloca in questa desolata parte della terra, alla congiunzione del Tigri con l'Eufrate nell'unico ramo dello Sciott el Arab. Ma nulla vediamo, a causa della foschia sabbiosa. A un certo punto, abbiamo l'illusione di avere raggiunto l'immensità marina del Golfo. Viceversa, si tratta ancora della palude senza fine. Finalmente, il corso del petroli fero Karun, che sbocca, preciso e tagliente, a Mohammerrah, ci ridona il senso dell'orientamento perduto, annunziandoci che il mare è a oriente della sua foce, e Buscir, no stra meta odierna, duecento chilo metri lontana, sulla costa setten trionale del Golfo. Per raggiungerla, voliamo in pieno mare, per più di un'ora e finalmente atterriamo dinanzi a Buscir, dove non piove da tre anni. Un attimo tragico Guadur (Belucistan), 14 marzo. Buscir, cittadina di qualche migliaio di abitanti, antico sbocco dello Shiraz, mostra — come tutte le città persiane — segni di vivo nazionalismo. Per via gli uomini portano un berrettino militare di foggia francese decretato dallo Scià come copricapo nazionale; le donne sono velatissime. I funzionari della Polizia erano, fino a ieri, il terrore dei viaggiatori aerei perchè esigevano per dieci ore di volo lungo le coste persiane, oltre al passaporto col « visto » di un. costo iperbolico, certificati di vaccinazioni antitifiche, anticoleriche, antivaiolose, antipestifere e dichiarazioni mediche attestanti che il viaggiatore era immune da una folla di malattie tra le quali persino l'epilessia. Ma ora sembra che qualcuno abbia trovato modo di persuadere i Persiani a dimostrarsi meno «xenofobi» e meno gelosi del loro Paese che è rgCmcpg«SmvmfimivcpsccLunbfèatOpDdccBdaddtmKcssfrsltldmsftutto uno spaventevole deserto. Ne ero già convinto per la conoscenza che avevo dell'interno dell'altopiano dell'Iran, ma questo volo lungo le coste marine fra la Mesopotamia e l'India mi mostra una fra le terre più terrificanti del mondo. Se fossimo costretti ad atterrare in questi luoghi, sarebbe la morte certa. Sorvoliamo caotiche montagne fat¬ meìte di milioni di aculei, sabbie mobili diìsenza fine, spiagge sulle quali si 'scorge qualche raro selvaggio pesca- ettore accampato vicino alla sua canoa, ù- ! Nessuna vegetazione; non esistono on1 corsi d'acqua; deserto ovunque, oc-! g-'per poco non ci è stato fatale; ci ftog- salvati la consumata abilita del pi-datola, Camoin. Eravamo partiti alle^ uattro, mentre la notte era ancora rofonda, e contavamo, per il decol¬ aggio, sulle luci improvvisate che vevamo fatto accendere sul campo otto forvia di falò, perchè Buscir è riva di elettricità. Contavamo anche ui fusi luminosi collocati sotto le li e sul nostro faro anteriore. Il decollaggio si è iniziato regolar- menie_ L'apparecchio è passato dinanzi alla lìnea dei fuochi ma a sesanta metri di altezza, improvvisamente il motore di destra è venuto meno, mentre l'aeroplano, che pesa inque tonnellate, non aveva ancora aggiunto il suo equilibrio ed era per giunta ostacolato da un forte vento. Chi è pratioo d'aviazione sa che una manovra d'atterraggio, in queste cirostanze, di notte, su un camp» improvvisato e con terreno cattivo, significa, novanta volte su cento, il cappottamento » dell'apparecchio. Si aggiunga che gli altri due motori marciavano già in pieno e mostravano nell'oscurità i tubi di scappamento roventi ed una fuoruscita di iamma lunga un metro. Per un stante ci siamo visti a terra in un mucchio incandescente, col Fokker ncendiato. Come il pilota abbia potuto intravvedere la terra e con un tremendo olpo toccarla una prima volta e poi posarsi definitivamente senza catastrofi, non so. Posso soltanto dire che quando ci siamo visti.in faccia, ci siamo stretti assai forte la mano. L'incidente era stato provocato da un difetto al carburatore che è stato necessario smontare, di modo che abbiamo finito per ripartire a giorno fatto. La rotta fino a Diask ed oltre non è mai monotona. A un certo punto si abbandona la costa per il mare apero finché si passa sullo stretto di Oman e si scorge la costa dell'Arabia petrea. Dopo sei ore di volo, scendiamo a Diask per il rifornimento decidendo di continuare subito per altri 450 chilometri atterrando per la notte al campo di fortuna di Guadur, in pieno Belucistan, da dove trasmetto questo dispaccio. A Karaci Karaci, 15 marzo. Partiti all'alba di stamane dopo aver ricevuto l'omaggio di un gruppo di feroci Belucistani armati sino ai denti e rimasti di guardia durante tutta la notte non so contro quali minacce, puntiamo direttamente su Karaci entrando in un mare di nubi che a tratti ci nascondono la costa ed il mare. La terra non ha ancora perduti i suoi caratteristici aspetti lunari, ma siamo alle porte dell'India e qualche fiume solca il deserto. Presto entreremo nel dominio dei Monsoni. Il nostro apparato radiotelegrafico riceve l'avviso dalla stazione di Karaci che troveremo il cielo libero alla foce dell'Indo. Non è senza commozione che rivedrò in volo l'India, a meno di un mese di distanza da quando l'ho lasciata. Penso che domani, arrivando a Calcutta, i miei amici stenteranno a credere che soltanto quattro giorni fa respiravo l'atmosfera italiana. Alle dieci avvistiamo Karaci e passando sulla immensa distesa delle saline, del porto, dei caseggiati, delle ferrovie, dei giardini, delle caserme, della Torre del Silenzio, andiamo ad atterrare a venti chilometri dall'aerodromo. ARNALDO CIPOLLA. IT0dnK

Persone citate: Arab, Arnaldo Cipolla, Batavia, Feysal, Italia Decicco, Leclair, Savoy