L'Everest inviolato e il Tibet impenetrabile

L'Everest inviolato e il Tibet impenetrabile "VIA. GGIO I IN" I 3ST 3D I -A. L'Everest inviolato e il Tibet impenetrabile (DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE); DARJEELING, febbraio. Ho concluso l'ultima corrispondenza dicendo che l'Everest resiste agli assalti dell'uomo. Ma se le ultime centinaia di metri della montagna eccelsa fra le eccelse non sono stati ancora superati, quale meravigliosa messe di novità hanno offerto i risultati della spedizione Bury e delle due spedizioni Bruce! (della seconda parlerò più innanzi). Una regione completamente sconosciuta è stata esplorata e quasi 40.000 chilometri quadrati di territorio himalayense formarono l'oggetto di studi topografici e cartografici completi. La geologia di alcuni fra i maggiori massicci montagnosi del gloì5o venne meticolosamente messa in luce e la fotografia e la cinematografia hanno diffuso le visioni di paesaggi che non hanno gli eguali in grandiosità. Furono scoperti sterminati ghiacciai come quello dì Kombu, al paragone dei quali i ghiacciai alpini sembrano irrisori. Numerosi monasteri tibetani di insospettata esistenza vennero visitati rivelando la certezza che essi contengono documenti scritti dell'umanità dei tempi dell'Atlantide... Paesaggi himalayensi! Quel che sì vede da Darjeeling e dintorni sta essenzialmente racchiuso nello staterello del Sikkim che in tibetano significa « paese del riso ». Ho detto che il Kinchinjanga è di trecento metri soltanto inferiore all'Everest. La sua cima, a cinquanta chilometri in linea d'aria dalle finestre del « Mount Everest Hotel », sembra con la coorte di picchi che la circondano assai più grandiosa dell'Everest medesimo che si vede troppo da lontano. Per dare una idea dell'impressione prodotta dal Kinchinjanga si può ricordare che Darjeeling e Chamonix sono alla stessa altezza sul mare (2200 metri). Ma la china del Monte Bianco visibile da Chamonix è appena un terzo dell'altezza del le pareti del Kinchinjanga contemplate da Darjeeling. L'ultima scalata Ma eccomi a rievocare a grandi linee l'ultimo tentativo della conquista dell'Everest, quello del 1924. Lo comanda ancora il generale Bruce e vi partecipano in gran parte gli stessi himalayisti delle spedizioni precedenti, un totale di 12 inglesi. Parte da Darjeeling nella medesima epoca del '22, in marzo, e raggiunge rapidamente il campo base di Rongbuk. La fortuna non sembra favorire i propositi degli esploratori che veggono il loro capo costretto a ritornare in India per motivi di salute. Il comando della spedizione passa at ten. col. Norton. I tentativi suoi e dei compagni per stabilire in maggio una linea di campi intermedii fra il campo base e il campo n. 3, vengono frustrati da una serie di uragani inattesi, da formidabili valanghe, da tempei-ature assai ■più basse di quelle riscontrate nel '22, da venti più violenti, infine da una folla di inconvenienti imprevisti che demoliscono la resistenza fisica degli europei e degli indigeni. Per raggiungere il Colle del Nord ovvero la depressione di Chang-la, si sceglie un cammino più arduo dei precedenti ma più sottratto alle valanghe. Infine il 22 maggio U campo è stabilito al colle, ma un seguito di altri incidenti disgraziati obbliga i quattro europei che l'avevano raggiunto fra i quali Norton, a lottare per la salvezza dei loro portatori dispersi lungo la pista o trascinati hi posizioni pericolose. Di modo che, dopo parecchi giorni dì andirivieni per l'immane montagna battuta dalla tormenta, Norton e i tre inglesi sono costretti a ritornare esausti con tutti i loro uomini al campo base di Rongbuk, dove il gran lama del monastero buddista celebra una solenne funzione per placare gli elementi avversi e incoraggia personalmente i tibetani a perseverare nello sforzo. Questo esempio di solidarietà dei lama in prò della spedizione, che denota l'alto spirito di civiltà che li anima, permette a Norton di riorganizzarla e di riportarla un'altra volta al campo n. 3. Il tempo è divenuto magnifico e le speranze di successo rinascono. Al primo giugno il campo n. 4, a 7620 metri, è ristabilito su basi maggiori che per il passato. Da questo campo una pattuglia di scalatori parte per l'effettivo assalto del colosso. E' composta dal capitano Bruce e da Mallory con pochi portatori che raggiungono il campo n. 5, a 7780 metri. Ma l'esaurimento dei tibetani è tale che i due ardimentosi inglesi sono obbligati a ritornare in basso. Li sostituiscono il 3 giugno Norton e Sommervell, i quali riescono a sorpassare il campo N. 5 e gli 8000 metri senza adoperar l'ossigeno. Passano la notte a quell'altezza, e il giorno dopo continuano con indicibile pena l'ascensione sino a raggiungere una quota inferiore di qualche decina di metri a quella estrema toccata da Bruce e Finck nel 1922 (8290). Non possono oltrepassarla e litomano al colle del Nord in pessime condizioni. Norton è completamente accecato dal riflesso delle nevi. E' trasportato a Rongbuk in condizioni pietose. L'ultimo assalto, il più tragico, è compiuto da Mallory ed Irvine. Gli apparati per la, respiratone dell'ossige¬ no sono mezzo guasti, tuttavia i due, assistiti da Odell e da Hazard salgono senza gravi inconvenienti sino al campo u. 5. Di qui, il 6 giugno, con pochi portatori superano anch'essi gli 8000 metri (campo N. 6) e l'8 giugno lasciano alle spalle anche quello, dove rimane Odell a sorvegliare l'ascensione per riferirne e in caso per organizzare gli eventuali soccorsi dal campo più vicino alla cima. Odell vede i due compagni salire per un poco, poi la nebbia sopraggiunta li nasconde al suo sguardo. Ritorna allora al campo n. 4 per attenderne il ritorno, ma al mattino seguente dinanzi all'Everest muto e formidabile nel suo splendore cerca con lampi di magnesio di ricevere un segnale che dissipi l'angoscioso dubbio della loro perdita. Scomparsi nel mistero Nessuna risposta dette la montagna, per cui il 10 giugno, per la terza volta, Odell, risale l'erto, ghiacciato pendio, ritornando al campo n. 6 dove arrivò sfinito e dove non trovò nessuna traccia di Mallory e di Irvine. Essi sono scomparsi nel mistero delle ultime centinaia di metri verso la cima dell'Everest e riessano può dire se riuscirono a sorpassare gli 8290 metri di Bruce e Finck toccati nel 1922, o se invece siano stati uccisi dal gelo o da altra causa dopo aver trionfato dell'Everest. Alla base di tutti questi titanici sforzi per scalarlo, dinanzi al convento dì Rongbuk, sotto la sorveglianza e fra le preci senza fine dei pietosi monaci buddisti, è stato elevato un monumentino clie ricorda ì nomi delle nobili vittime. I numerosi pellegrini che da ogni valle dell'altipiano tibetano arrivano a Rongbuk, piantano, da cinque anni oramai, le alte e bianche bandiere di Bndda dinanzi al monumejito di coloro che hanno per mausoleo l'intero Everest a dormono il sonno eterno al disoiira degli 8000 metri d'altezza. Ho compiuto un certo sforzo per distaccarmi dulia •.' Tigcr hill » e dalla veduta dell'Everest, poiché infine, il « polo in prossimità dell'equatore » è uno di quei cardini del mondo che per una folla di ragioni non bastano spesso nè la volontà, uè i mezzi per riuscire a vederlo. Le nostre guide ci assicurano che erano parecchi mesi che non mostrava la sua punta nell'azzurro e che dovevamo considerare il fatto di averlo potuto ammirare a lungo come un dono eccezionale della fortuna. Dovrei ora accennare agli altri prodigiosi sforzi di europei per scalare il Kinchinjanga, che sotto molti riguardi sembra ancora più difficile dell'Everest a causa soprattutto della sua relativa vicinanza alle roventi pianure indiane, vicinanza che durante i mes-i più propizi ai tentativi di ascensione (maggio e giugno, cioè immediatamente prima del monsone) rende a 7000 metri d'altezza la neve simile a quella che si potrebbe trovar da noi a 3000. Quindi assenza, di temperature bassissime e per contro valanghe ad ogni passo. Questa è la conclusione alla quale è giunto Paul Bauer con il suo gruppo di scalatori bavaresi negli ultimi assalti dati alla montagna l'anno scorso. Bauer è arrivato ad oltrepassare i 7600 metri d'altezza, partendo da 5000 metri, ai piedi del ghiacciaio Zemu che sale per 2500 metri sino contro l'estrema parete granitica del Kinchinjanga. Non ha potuto proseguire poiché la stagione era troppo inoltrata (settembre) c perchè i bavaresi giunti a meno j di mille metri dalla sommità del Kinchinjanga, si sono trovati sotto ad un ininterrotto bombardamento dì valanghe. I tedeschi rimasero sul ghiacciaio quasi due mesi di seguito, dal 15 luglio al 15 settembre perdendo parecchi portatori e dando una prova di resistenza che ha fatto classificare «ufficialmente» il loro sforzo dall'Himalaya Club (è il Club Alpino d'India) come il secondo per importanza dell'annata compiuto sulla muraglia, mentre il primo è ritenuto quello della spedizione Sniythe al Kamet. Il Marajà del Sikkim Una conoscenza singolare che ho fatto a Darjeeling è quella di Sir Tashi Namgyal, Maragià del Sikkim, cioè il re di uno staterello il quale benché non conti che 80 mila sudditi ha l'orgoglio di avere sul suo territorio il più formidabile gruppo di montagne della terra. Tuttavia il suo paese ù chiamato « del riso » perchè le valli che discendono dal massiccio del Kiiichinjanga e dalle montagne pur esse enormi che dividono il Sikkim dai Tibet, so» tutte coltivate a riso g ci si prende persia la malaria. Il Maragià mi ha perù osservato che il suo paese, mela naturale di tutti gli europei che arrivano a Darjeeling con scopi scientìfici o alpinistici, dovrebbe esser chiamato il paradiso dei botanici e sopratutto degli entomologisti. I primi vi hanno trovato quattromila specie di fioriture diverse ed i secondi nientemeno che settemila di farfalle. Le più variate c colorate farfalle del mondo hanno la loro sede naturale nel Sikkim, con una flora fantastica di varietà poiché comprendo le tre. zone: la sub tropicale sino a, 1300 metri, la temperata dai 1300 ai ,3300 e l'alpina dai 3300 ai 6000. Tutto questo sotto ai ghiacciai e fra una fungaia di monasteri tibetani buddisti che sono i più accessibili dell'Himalaya. E' in cotesti monasteri e specialmente in quello di Rhumtek, vicino alla minuscola capitale del Sikkim, Gangtok, che hanno fatto il loro tirocinio quei pochissimi europei riusciti a penetrare poi nel Tibet e a raggiungerne la quasi inaccessibile capitale Lhassa, intrattenendosi con ì lama letterati, i mìstici, gli iniziati alla magia tibetana e alle dottrini esoteriche e imparando da loro la misteriosa scienza di saper vivere e viaggiare alle grandi altitudini e trarre dalle nostre sole risorse corporali la forza necessaria per non essere uccisi dal gelo. In compagnia di quegli asceti, dei maghi tibetani che passan la vita na scosti nelle pieghe della montagna fra le cime inaccessibili, si apprende pure che è un errore credere che il Tibet sia sempre stata la terra interdetta e strettamente sorvegliata dei nostri giorni. Benché il fatto possa sembrare incredibile e soprattutto smentito dalle recenti spedizioni di cui ho parlato, la zona inaccessibile è aumentataLe strade attraverso l'Himalaya, facilmente accessibili prima della guerra malgrado l'esistenza della convenzione anglo-russa per il Tibet che vietava le penetrazioni importanti, ma trascurava quelle individuali, sono sorvegliate da posti che sbarrano non solo la frontiera tibetana, ma gli approcci a più di cinquanta chilometri dì distanza. E gli europei che vogliono visitare il Sikkim, che è a qualche ora di strada a cavallo da Darjeeling, devono ottenere un permesso sul quale è scritto che il viaggiatore non è autorizzato a penetrare nel Nepal, nel Bhutan e nel Tibet, che non deve visitare nessun luogo, nè percorrere, nè tentare di percorrere nessuna strada alVinfuori di quella indicata nel suo permesso. Tutto questo per concludere che non sono i tibetani che vietano l'ingresso agli europei nel loro paese, ma glinglesi, i quali lungi dal confessarlolasciano credere che gli ostacoli derivino dal fanatismo lamaistico. Senza enumerare la lunga serie dei viaggiatori e dei missionari che a cominciare da Odorìco da Pordenone nel 1325 per finire ad Enrico d'Orléans nel 1893, viaggiarono e soggiornarono liberamente nel Tibet; basta ricordare che dopo la repressione dei boxers, nel 1901, molti editti furon pubblicati a Lliassa nei quali il governo ci nese dichiarava il Tibet aperto agli stranieri ed imponeva ai tibetani di accoglierli. Difatti ancor oggi tutte le parti del territorio tibetano rimaste sotto il controllo della Cina sono accessibili agli europei. L'avventura di un'ebrea francese La persona che ha giocato agli inglesi in questi ultimi anni la più meravigliosa beffa contro i loro divieti di penetrazione nel Tibet è la signora Alessandra David Neel, una israelita francese di Parigi, orientalista insigne, riuscita a rimanere a varie riprese quindici anni nell'Himalaya e nel Tibet ad apprenderne a perfezione la lingua e da ultimo ad attraversarlo durante otto mesi di avventurosissime peregrinazioni a piedi dalla Cina per Lhassa al Sikkim, camuffata da mendicante tibetana ed accompagnata dal suo figlio adottivo il giovane lama Jorghen. La francese ha narrato la sua inimitabile avventura in due splendidi libri che sono ì più completi e recenti sul Tibet. Qui a Darjeeling, al « Mount Everest Hotel » sì ricorda V energica esploratrice proveniente da Gyantsé, la terza città del Tibet, nella valle del Bramaputra, situata sulla grande strada dall'India a Lhassa e dove gli inglesi hanno stabilito un posto avanzato. Essa diceva: « Quando arrivai a Gyantsé e raccontai agli inglesi del posto che arrivavo dalla Cina a piedi e che avevo viaggiato durante otto mesi nel Tibet avvicinandone, vivendone tutti i segreti, compreso quello del moììastero dì Samiè, residenza del maggiore oracolo ufficiale del Tibet, nell'appartamento sigillato che serra le lotte macabre dei demoni che si nutrono dei «soffi vitali» appena esalati dui morti; nessuno seppe dapprincipio trovare una parola per rispondermi... Mi restava ancora da compiere il lungo tragitto da Gyantsé alla frontiera indo-tibetana attraverso gli altissimi colli e gli altipiani aridi spazzati dal vento ghiacciato, ma t'avventura era finita e il divieto inglese di accedere al Tibet vinto!... ». ARNALDO CIPOLLA.