La classicità all'Esposizione francese di Londra

La classicità all'Esposizione francese di Londra La classicità all'Esposizione francese di Londra Non senza' qualche punta di nostalgia, dolorosa come un rimpianto, ' quelli inglesi che sono rimasti i fedelissimi dell'arte italiana guardano oggi a Burlington House, l'accade- ■ mia che ingoia entro il severo e nerastro portico palladiano un flutto di equipaggi e pedoni, di ricca e piccola gente, in quotidiano pellegrinaggio verso la bellezza. Lo spettacolo di questi spettatori : è interessante. Moda, snobismo, cu- riosità, suggestione? Che importa; pure, attraverso questi mezzi, e con- solante che l'arte mantenga così sublime potere di consolazione. Ma fra gli inglesi sono molti — più di quanti si creda — per i quali la parola « arte » non si disgiunge dai sinonimi « sole » e « Italia ». E il loro istinto non è tutto erroneo. Che cosa è l'arte? L'arte è un'evasione verso la felicità, attraverso la bellezza. E chi vive in questa Inghilterra, di commovente e varia bellezza intima, non può imaginare evasione se non verso una bellezza tutta, diversa : solenne e maestosa e soprattutto circonfusa dalla gioia del sole. Per comprenderlo, basta che a Londra ci si sfoglino innanzi le pagine di un cinema-giornale : ìrnagrni di attualità d'Inghilterra e di America, labili e grigie sebbene nitidamente rappresentate, sotto la pioggia o nello scialbore delle << belle giornate» settentrionali. E poi d'un tratto vi batte il cuore: che cos'è questo bianco sfolgorante e questo nero intenso di gran luce, e di ombra corposa, inscritte entro definitivi contorni? E' la visita del Duce al Papa; oppure i nuovi scavi di Ercolano; o la battaglia di fiori a Nizza; cose di cieli nostri; altra cosa, persino in fotografia. Questo contrasto persin nella rappresentazione del cinematografo, meccanica, casuale e obbiettiva, molto può insegnare agli spiriti riflessivi. Lo ritroviamo, sublimato, fra le imagini che l'Accademia di Londra ospitava nel 1930, anno dell'esposizione di pittura italiana, e quelle che accoglie, nel 1932, anno della esposizione di pittura francese. «Ah! i nostri italiani! averli veduti scomparire, che tristezza! vederli ora sostituire, che indegnità» gemono alcuni fra i più accaniti italianisti d'Inghilterra. L'esposizione d'arte persiana del 1931 nel pensiero degli organizzatori era destinata a interporsi, anno e. mostra neutrale, come cuscinetto fra le due potenze maggiori. Ma quella raffinata e preziosa arte aulica orientale interessa un pubblico relativamente ristretto. Non ha il potere espansivo, la vitalità profonda o violenta dell'arte italiana o di quella francese. Nel ricordo del pubblico fu divorata come evanescente fantasma fra due travolgenti realtà. E rimangono di fronte le due protagoniste occidentali, la pittura italiana e la pittura francese, che insieme con la pittura fiamminga e neerlandese, costituiscono la tradizione pittorica continuativa della civiltà bianca, dalla Grecia in poi. * # Con acuta obbiettività, gli organizzatori francesi sentirono di potere sfuggire per un solo mezzo vittorioso all'accerchiamento egemonico dell'arte italiana. Lasciarono in relativo abbandono il «gran secolo» del re Sole e di Versailles; o piuttosto, ne limitarono la portata, circoscritta a non molte opere, ma tutte caratteristiche e significative. E per questa parte della Mostra, a differenza di quanto fecero per le altre, non si curarono d presentare opere già molto note. Per nessun altro secolo ricorsero così largamente al Louvre ed alle altre grandi collezioni dello Stato. E non fu piccola audacia il seguire questo criterio. , ... Il francese medio crede che ' lo splendore dell'epoca di Luigi XIV, grande per la politica, l'eleganza e le lettere, si rifletta anche nelle arti plastiche. Al Louvre e a Versailles scambia l'innegabile interesse storico e iconografico di quei ritratti e di quelle scene di battaglia e di cerimonia per un valore di nura arte Una profonda noia spira invece, pittoricamente parlando, da quelle tele fredde e compassate, seppur piene di magniloquenza e di fasto retorico. Poi vengono i professori d'arte, gli archeologi e i conservatori di musei, che in * Francia e fuori di Francia, sino a poco fa giuravano tutti per i mobili Boule. i bronzi, gli •arazzi e le pitture, dilaganti dalla Corte francese ai palazzi reali di tut!ta Europa: una specie di mobilioesperanto per prefetture o palacehótels di maggior lusso, dove la ricchezza camuffa la banalità, senza nasconderla agli occhi esperti. Adesso però accade anche in que: sto campo uno di quei curiosi ricorsi dell'opinione pubblica, che sono tra ,i divertenti fenomeni del nostro tempo. La gente di coltura veramente raffinata oramai si distacca da questo amore del ribobolo e del ninnolo; il giisto del nostro tempo, predicato pure con le necessarie e salutari esagerazioni di tendenza, senza le quali non esiste propaganda, si appoggia a criteri decorativi e concettuali chiari, netti e semplici: il bel nudo su tutta la linea, nell'architettura come nella pittura, nella scultura come nelle arti applicate. Persino la gente del mondo ufficiale finì per saturarsi oramai di tali concetti. Tanto che l'esposizione ufficiale di Londra ebbe l'inaudito coraggio di prender po sizione per la modernità. L'impressionismo smo a ieri era bandito dai musei. Entrò di straforo al Lussemburgo; entrò dieci anni fa al Louvre, grazie all'abnegazione de"li eredi Caillebotte, che insistettero, come se si trattasse di un favore, per •fetr accettare allo Stato, gratuitamen¬ ciladpnpgmdSscdpslorcsmpsardlgasdlpsmnqddctsmcstScpdserctidncccusmumabmGtsscccsclrltpempnetzsBcgismca«pdcmsaduqttrtie o e e i e a o a , r ¬ te e di mala voglia, quelle ricchezze sadie i collezionisti privati di tutto il mondo ambivano disputarsi.a fasci di biglietti 'da mille. Ebbene, l'impressionismo si prende oggi la rivincita, come magno rappresentante della Francia —"dell'arte, della cultura, della civiltà francese — di fronte al più eletto e difficile pubblico internazionale d'Inghilterra c del mondo! E sapete chi protesta e si lagna? I professori barbogi, voi direte, i pompieri e i filistei di tutti gli insegnamenti accademici. Anche quelli, ma in sordina, gemendo sull'irrimediabile nequizia dei tempi, e con scarsa convinzione. Si lagnano di più gli ultramodernissimi, i credenti e gii apostoli del neoclassicismo, insomma gli avanguardisti, rivoluzionarii in atto dell'ora presente. Per essi, l'impressionismo rappresenta il passato più vicino, cioè quello^ più nemico e più odiato. L'arte romantico-realista analitica del seco^ XIX, che culminò nell'impressionismo francese, e alla quale oramai si accordano unanimi onori, è proprio quella, contro la quale si disegna la reazione del nuovo ritorno all'Italia, del nuovo ritorno agli spiriti classici e alle classiche divinità della composizione, della misura, dell'armonia, della corposità e del soggetto. Con occhi adoranti, tornano essi a contemplare Louis Le Nain e Poussin,, e poi David, Ingres, Corot. Non dirò che si fermino qui, ammettono la grandezza di alcuni singoli impressionisti, ma ripudiano l'impres sionismo in blocco, come scuola e come idealità, e considerano senza benevolenza le scene di vita borghese e quotidiana — « la fetta di vita cruda » — che Manet e Monet preten devano o credevano di riprodurre con un massimo di fedele spontaneità e un minimo di composizione. Veramente, sta di fatto che Picasso è più vicino ai classici — a cominciare dagli affreschi di Pompei — che agli impressionisti. La stessa cosa accade da noi coi novecentisti, tanto più affini a Masaccio che a Segantini. Ogni nonno, diceva Bacone, naturalmente ama il nipote, perchè questi è il naturale nemico del di lui figlio. spgdmmdznipgpInRdstsmvnMa questo «classicismo» del XVII secolo francese, fino a che punto è esso veramente classicità? La domanda è lecita, anche perchè risale, oltre il campo delle arti grafiche e plastiche, ad abbracciare l'intera vita spirituale del tempo. Ed è interessante, anche perchè si estende di riflesso all'attualità contemporanea e avanguardista. _ Che cosa è veramente « la classicità»? E' la stessa cosa di «classicismo » ? Fino a che punto si può considerarla intrinseca alla scelta di un soggetto ? O non si tratta in questo di un equivoco esteriore e formale, e la vera classicità consiste in un certo modo di considerare le cose qualsiasi cosa — e in un certo modo di sentirle ed esprimerle? Vi sono parecchie « classicità », anche nell'antico. Vi è la indubitabile classicità ellenica, della quale forma parte non secondaria la Magna Grecia. Ma i romani, che pur continuarono i greci, non furono classici nel periodo primitivo, che è etrusco; non in quello del tardo impero, che è realista da una parte, e baroccheggiante dall'altra. Penso che essi, con la loro ereditarietà etrusca, fossero dei grandi realisti nella vita, con qualche venatura romantica nello spirito, come spesso accade, per reazione e per evasione al materialismo pratico. Si avvicinarono all'arte greca con alcunché del trepido pathos con il quale si avvicinarono e si avvicinano poi alla classicità romana i popoli germanici: a tentoni, presi dalla cupida nostalgia di un bene, senza il quale non era possibile essere completi uomini. Questo è il fascino composito di tutto il classicismo tedesco, convenzionale e ingenuo, falso maldestro e sincerissimo insieme, da Lessing a Boecklin, e presente in certo modo come inevitabile disciplina, anche negli altri, da Durer a Kokoschka. E in talune opere romane trema la stessa aspirazione, sino a quando i romani danno uno stile e un'anima alla classicità loro, che si palesa ispirata all'altra e di essa emula, ma diversa. Non così accade per le opere del « gran secolo » francese. Non vi è periodo meno classico del '600, quando da tutte le parti scricchiola la « classicità » premuta dalle forze incomposte di un nuovo mondo in formazione. Soltanto, in Francia, il gusto e la forte volontà di un monarca accentratore danno a tutte le arti, delle quali il sovrano è.mecenate, un'intonazione solenne ed eroica, alquanto scolastica. Anche qui, soltanto i rivoluzionarii veramente continuano la tradizione; essi, che la arricchiscono, tornando a trovarne entro di sè i nuovi motivi, invece di impoverirla, esaurendo i motivi già espressi. Corneille è certo « eroico » ; ma è egli « classico » ? La sua eroicità comporta una augusta enfasi retorica, dalla quale si sarebbero guardati i poeti classici sul serio: Omero ed Eschilo come Virgilio. Nessun vero trageda classico avrebbe posto sulle labbra di un padre la disumana imprecazione contro il figlio, il quale, dopo essersi battuto da prode, solo contro tre « doveva morire ». E' più classico l'appassionato Racine; soprattutto, Molière è più vicino^ ad Aristofane e Terenzio di quanto Corneille. con i suoi « conflitti di dovere», fosse vicino ai tragici greci. E Boileau ha un bel rifare Orazio, è più classico di lui La Fontaine, che nella disputa fra antichi e moderni parteggia per i moderni, e senza pose di archeologo, rinnovava in sè, ino- lddbtfznsnvssQidMddndernamenle* j'sottintesi di profonda saggezza di Esopo e la maliziosa squi- sitezza dell'antologia. I pittori aulici di Luigi XIV sono più compassati di Corncillc, meno grandi, assai più noiosi nel loro freddo furore. Noiosi perchè erano classici? No; ma perchè non lo erano. Perchè rimasero cortigiani inanimosi, schiavi delle formule e incapaci di imaginazione creatrice. Il proprio della genuina classicità è la disciplina solo interiore, che frena la fantasia superficiale, e lascia espandere la imaginazione con più profondità e più potenza, cioè coti maggiore libertà. I grandi pittori del periodo non sono nè i Migliarci uè i Largillière nè i Rigaud, ritrattisti delle parrucche e dei visi imbambolati a furia di maestà, degli scettri agitati come ventagli e dei ventagli impugnati come scettri, dei gesti d'imperio imbalsamati e dell'immoto vento che gonfia vanamente le sete e le rialza a punto pgèsds per lasciare scorgere una tornita gamba rcgalc._ Il grande pittore del periodo non è neppure Claudio il Lorencsc, con sue prospettive aeree azzurrine, mirabili e, in fondo, anch'esse cosi imbalsamate, che non si può scordare un attimo con quanta virtuosità vi sfumino gli orizzonti. Grande pittore è Louis Le Nain, ma nessuno è meno classico di lui. Non imita nessuno, ma certo ha mollo imparato dai tarili veneziani — Tinlorelto, Palma il giovine, i Bnssano e Pordenone — e anche da Michelangelo da Caravaggio. Quando tramonta la luminosità sintetica della pittura italiana, luminosità astratta e metafisica come l'onnipresenza divina, anche il meriggio della classicità si spezza nei bagliori del crepuscolo e del tramonto romantico. Il dissidio tragico della luce e dell'ombra, questa trasposizione plastica del dramma fra il bene e il male, dai tardi veneti e da Caravaggio passa esasperato a tutta la pittura del seicento in Europa: Vclasqucz giovine, Murillo e Ribera in Spagna, LRgRgtètVnCsidvrRssdozse Le Nain in Francia, e soprattutto Rcinbrandt in Olanda sonodei rcaisti irrequieti e agitati. Non scelgono più soggetti eroici; soprattutto Rembrandt,' col lirismo della luce, glorifica sino al sublime scene di bruttezza e povertà quotidiana. *** . . Vero pittore classico del periodo è invece Nicola Poussin, il quale st tiene sempre lontano da Parigi e da Vcrsaglia, e attinge a Roma la serenità della sua grande e pura arte. Chiamato al Louvre a dipingervi il salone di Apollo, il suo bozzetto non incontra il lavoro regale (due secob dopo, singolare riaccostamento, doveva decorarlo la fastosità classicoromantica del Delacroix). Toma a Roma, risolleva idealmente gli sparsi ruderi di colonne e riordina 1 fastigi dei templi rovinati sulle cortine d'alberi contro il puro cielo, con puri occhi di vero classico, con imaginazione semplice, castigata e commossa, come più tardifarà il suo figliolo e discendente spirituale. Corot. MARGHERITA Q. SARFATT1.