Il gioco del Ponte di Pisa

Il gioco del Ponte di Pisa Il gioco del Ponte di Pisa gPISA, marzo. Passeggiata per Lungarno con Guido Buffarmi, deputato e podestà, amante innamorato della sua città, fedele del suo spirito e delle sue memorie. La sera livida pel gran freddo discende lenta sul lucente fiume e l'appanna; il cielo blu di tra la sua cappa lascia intravvedere alcune stelle immalinconite. L'amor della città mette ala alla parola della mia guida esperta: la fantasia s'accende e s'esalta alla rievocazione di eventi tragici e gloriosi, poi si placa quando la piazza dei miracoli ci accòglie — magico scenario di mai vista bellezza. Più bianca e sfumata appare la mole grandiosa coi suoi preziosi merletti. Alto è il silenzio intorno e ci si sente più lievi quasi s'abbia perduta ogni corporeità al contatto del miracolo stupendo. Quale è il limite tra storia e leggenda? Ma non furono, no, uomini di questa terra quelli da cui nacque tant'opera, ma iddii o, certo, poeti, portentosi poeti d'una età maravigliosa di giganti e di eroi. La gente di Pisa era fatta di eroi e di giganti — commenta Guido Buffarmi. Immenso fu il destino di questa città; gli uomini e gli elementi a volte la tradirono, ma lo spirito antico rivive in essa, altrimenti oggi non la conteremmo tra quelle vive e operanti. Pensa alle sue guerre, pensa al grande tradimento: l'abbandono del mare. Nata e vissuta sul mare, di colpo la città si senti morire e parve davvero morta, ma il lievito di vita fermentava nelle visceri della sua terra; la città dei giganti doveva rifiorire: eccola in prima fila durante il Risorgimento, eccola in prima fila durante la Rivoluzione fascista, erede consapevole di un grave glorioso nome, magico nome: Pisa. Rievocazione Sulla armoniosa curva dei Lungarni batte il vento di tramontana; l'acqua lievemente marezzata riluce fra fantasiosi giochi d'ombra. .— Qua, vedi, ogni anno s'adunava la gente di Pisa per un pittoresco torneo rievocatore di glorie passate, il gioco del Ponte. — Perchè non rinnovare la tradizione ? !— Ci vogliono di bei quattrini. ■— Si troveranno. — Vedremo — ribatte Buffarmi. Non tengono i pisani cosa alcuna di certo sull'origine di questo loro giocò antico « perchè, oltre il lungo corso del tempo, i tragici successi della loro patria hanno sepolto in perpetua oblivione le più gloriose memorie. Quindi è che, in proposito del medesimo gioco, seguendo ciascuno le notizie passategli per fama d'età dai propri antenati; a tenore della varietà delle medesime, varie sono le opinioni che del suo principio si formano ». L'oblio, è vero, per molti anni aveva sepolto uomini ed eventi; ma or che la novella storia spicca il suo volo da questa stessa terra segnata dal destino, or che in questa suprema rinascita della italica gente, si rinnova, rifiorendo lo spirito antico e glorioso, perchè non dovrebbe ricostruirsi nella sua origine e nella sua caratteristica questo gioco guerriero e bellissimo? Se v'accade di capitare nelle campagne e di discorrere con contadini, molto potete apprendere. Sulla-porta di certe case smozzicate dal tempo e róse dal vento si poteva vedere, e può darsi si veda ancora, appesa la robusta targa con la quale i vecchi della famiglia avevano giocato sul ponte; e vi narravano i contadini, come tuttora i più anziani vi narrano con vivacità e passione, di certi colpi memorandi e delle glorie della fazione cui appartenne nell'ultima battaglia l'ultimo eroe della loro casa, avo o proavo. Nelle lunghe sere di inverno, intorno al braciere ardente, chissà quante volte il racconto è stato ripetuto dai figlioletti intenti. Le origini del gioco Come dicevo, o, meglio, come scrive Camillo Ranieri-Borghi nella sua Oplomachia pisana, ovvero la battàglia del ponte di Pisa (stampato in Lucca nel 1712 e ora inesistente in commercio — ce n'è una sola còpia al Museo civico e due o tre altre in man di studiosi) incerta è l'origine del gioco e diverse e contradditorie le notizie. Egli riferisce fra l'altre versioni come, « Musettp, re di Sardigna, forte sdegnato contro i pisani per le da loro ricevute sconfitte, bramoso di vendicarsene navigasse col fiore delle sue truppe alla volta di Pisa, e nel più cupo della notte penetrato in essa dalla parte che il mezzo giorno riguarda, quella col fuoco quasi tutta in cenere riducesse; e che, mentre passando il ponte, che la città dal fiume Arno divisa congiunge (il ponte di mezzo) portar volesse l'istesse rovine anche nella parte verso tramontana, il popolo pisano, già messo in arne per opera d'una matrona chiamata Chinsica, che al primo strepito delle nemiche furie era corsa a farne parte al Senato, s'opponesse alla di lui barbaria e fieramente con esso combattendo lo costringesse a una vilissima fuga: onde il Senato, per conservare eterna la memoria di tanto successo, ordinasse che ogni anno nel giorno dell'ottenuta vittoria sopra il ponte medesimo si rappresentasse fra gli abitatori dell'una e dell'altra parte della città un giocoso combattimento ». Altri attribuisce il gioco addirittura ai romani, raccontando come Adriano, visitando Pisa, vi facesse celebrare ludi fastosi e questo nuovo del ponte instaurasse. A me piace la versione di Musetto, per simpatia del nome e soprattutto per amore di quella matrona ardita e intelligente almeno quanto le oche del Campidoglio: e perciò passo a raccontare, sulla scorta di rari documenti. E voi signori i quai m'ascolterete s'1' dico cosa ohe in piacer vi sia per vostra cortesia mi loderete. Il gioco, dunque, avrebbe avuto origine nel Mille all'incirca ed era pittoresco e ardito assai tanto cheehi vuol nel gioco dei signori entrare convien che vada per tal guisa armatobona corazza, gambiere e cosciale l'elmo in teBta fortemente allacciato, il forte scudo gli convien imbracciare che giusto infine in terra è appuntato e alla destra man portar un bastone con un guanto attaccato per ragione. Era, insomma, questo gioco, come finta battaglia eseguita sul ponte 0i mezzo della città. .Vi prendevano a e i e n i , i o . a o a e è e o e ù a à l à a a o a a e e mr e e a oo a e o: oe o nparte i cittadini e gli abitanti del ccontado pisano, divisi in due fazioni, tdi mezzogiorno e di tramontana, ed nentrambe armavano circa cinque-1 dcento combattenti divisi in sei squa-jsdo per parte, eon proprii colori i de insegne. Correvano naturalmente ! r'poccartelli di sfida coloriti e altezzosi, e risposte dello stesso tono, come questa, il cui esemplare gentilmente m'ha dato in visione Virgilio Salve; strini, libraio antiquario pisano, dei cavalieri di tramontana à quei di mezzogiorno, sfidanti: La sfida e l'accettazione « Non havvi per noi ragione alcuna, o generosi cavalieri, che muover possa gli animi nostri alla svantaggiosa idea di riguardare il lungo ozio vostro a richiamarci a nuove prove sul nostro celebrato ponte, come vile effetto di timori o di poco desio della gloria. La comun patria, clima, educazione e vita, non possono in noi tutti che produrre, con eguaglianza comune, e genio e valore. E qual torto non ci farebbero le vicine e le remote nazioni, se mai pensassero che un solo dei nostri concittadini degenerasse dagli illustri insieme e generosi nostri progenitori? Debbono esse rimaner piuttosto convinte che l'uso troppo frequente delle più chiare prove di valore e di generosità ne adombra in certa maniera la fama e il «regio. E questa sola immaginazione ha fatta scusa alla fin qui indifferenza vostra per sostenere il malagevole peso di succombenti. Solo ci ha mossa una qualche sorpresa il sentire che nel confessare le vostre ultime cadute pensiate a oscurare la nostra gloria nel rammentarci le già perdite nostre: perdite però che sono ormai nella memoria dei viventi del tutto quasi abolite. Non deve l'uomo arrossire se vinto si trova da virtù superiori, nè deve supporre sua maggior gloria l'abuso delle spoglie altrui, per adombrar così chi giustamente le veste. Confessate piuttosto di soffrire di malavoglia che il vostro valore non va fin qui del pari col nostro, e che per avventurarne l'equilibrio bramate il cimento cui ci invitate, ed allora rispetteremo vie più le generose vostre risoluzioni. Verremo adunque a trovarvi, o generosi cavalieri, nel dì che ci marcate al divisato luogo. E mentre il mondo spettatore ci rimira in apparente pugna occupati per contrastarci vicendevolmente le palme, vegga egli e comprenda di che fosse capace il pisano valore. I cavalieri di tramontana ». La battaglia ptflEletti, entrambe le fazioni, i Consigli di guerra, studiati i piani di battaglia, sgombrati il ponte e le strade, dopo il suono della campana della torre le squadre con le grandi insegne rette dagli alfieri facevano il giro d'onore dinanzi alla folla plaudente asserragliata lungo il fiume e in apposite tribune, e quindi si collocavano sul ponte in due squadroni — i forti — in linea diagonale. I combattenti erano armati d'elmo e corazza e imbottiti d'ovatta per meglio difendersi dai colpi; vestivano giubboni di cuoio e di tela e bracciali di ferro egualmente imbottiti, ! spallacce, collare e guantoni, e sul-' l'armatura indossavano vesti di tela 0 di seta ricamate con i colori delle proprie bandiere. L'arma di combattimento era la targa, o bastone, di grosso legno e lungo quasi due braccia, impugnata per mezzo di due maniglie nelle quali si infilava la mano e parte del braccio, cosicché il combattente si serviva della parte rotonda come scudo e di quella sottile come spada o meglio come mazza. 1 bastoni dovevano essere bollati e fatti a guisa del modello esistente nella Cancelleria del Tribunale. Gli ufficiali della parte di tramontana portavano divise rosso-scarlatte con risvolti candidi ; quelli di mezzogiorno s'adornavano di verde con risvolti del medesimo colore degli avversari. Date le istruzioni ai combattenti ... tromba s'ode alta e canora che alteramente con superbo carme irrida alle fòrti schiere all'arme all'arme. « Quasi che simil suono avesse forza di togliere la favella a tante viventi migliaia di spettatori di ogni stato, maschi, femine, giovani, vecchi, secolari, religiosi, nobili, plebei, che per quanto si distende la veduta del Lungarno occupano le strade, le sponde, le finestre, i terrazzi, i tetti, i palchi per tal uso fabbricati, ed ancora empiono le barche, che nel- ictoenimclvmsctrrbdnmzclammsngmvL?Arno ritrovatisi," r7on"*si' òde unalbenché piccola voce, effetto d'una interna passione che infondendo nei cuori anche de' meno interessati un certo timore per la dubbiezza dell'evento, nel principio dell'azione obbliga le lingue di tutti al silenzio. A tal tocco di tromba, ambe le armate partendosi da' primi loro posti marciano l'una contro l'altra e giungono a toccare unitamente l'antenna che i loro campi divide, dove fatto alto senza passare ad ostilità alcuna, al costume degli antichi attendono il segno di combattere, non mancando però d'invitarsi al possibile con le parole. Dopo brevissima dimora, dal serenissimo padrone o da chi per lui, si dà il segno per l'at- \tacco della battaglia: nell'alzarsi[dell'antenna, unico ostacolo alle nemiche schiere, orror più che di morte i cuori ingombra pallor più che di morte i cuori imbianca; e gli affronti da ambe le fazioni al suono de' guerrieri strumenti con impeto indicibile, con urti e con percosse gli uni contro gli altri si spingono, secondati con pari ardire da alcune truppe, che i di loro fianchi riguardano. Portando il caso che la mente di ciascuno de' generali sia di contrastare coll'awersario a tutta forza, consistendo la vittoria nell'occupare il terreno nemico, da ognuna di esse cercasi di sostenere col posto unite e ristrette le proprie milizie, ingegnandosi con reciproca industria di penetrare con l'aiuto di nuove truppe nell'ordinanza nemica per fiancheggiarla e sbaragliarla. Non sortendo alle volte a niuna di esse l'intento, vedesi quella folta moltitudine di persone a misura del: le forze che a vicenda delle fazioni nella battaglia ora cedere, ora recuperare il perduto ». Il trionfo Il gioco insisteva nel penetraredentro il settore dei nemici, romper-li e sbaragliarli al di là del ponte, prima spingendo con i bastoni pùn- tati sul petto degli avversari, poi Icon percosse sugli elmi e sulle ar- inature. Se i combattenti al segno i della fine del giuoco avevano mante^ nuto le rispettive posizioni, si pro clamava la pace. Ai vincitori spet taya 1 onore del trionfo, consistente. nel1 ingresso e nella sfilata in città j 1 del generale vittorioso, seguito dai jsuoi fedeli e preceduto «con vaga Ii disposizione dalle spoglie dei supe-j! rati nemici, da' principi e. da' ca- 'pitani prigionieri e da altri non1 ordinari apparati ». E gioiosamente! cantavano i musici, «vestiti di drap-,pi diversamente colorati con montiere in capo verdi e d'argento, con fronde e fiori ». Donne, la vana primavera il foro verno «caccia, v ritorna per rinnovar d'amore il bel pensiero. Già le nevi all'altero padre Appennin disgombra, r. coinè suole, sparge nel vostro spìi rose e viole. Veramente, quest'anno le rose e le viole a Pisa non si vedono anco- ra, perchè l'inverno minaccia tutto Ira fieramente; anzi i Lungarni, se il gioco dovesse farsi in questo me i se come si faceva, non accogliereb¬ bero moltitudine di folla, battuti come sono dal vento di tramontana che taglia la faccia. Ma a primavera, sì, il gioco potrebbe rivivere in .., j tutto il suo colore e fulgore, le armi ci sono, ammucchiate in una sala Idei civico museo, solide e splendenjti; cittadini disposti a usarlo ce ne son migliaia; i quattrini... questo è 1 l'argomento. ! Ce ne voglion molti — con* ,chiude Buffarmi. Geme il vento; scende la. notte e tutto avvolge nel suo manto di setainera- nella deserta piazza, dalla lTorre della Fame, par di sentire an-jcora l'urlo inumano del Conte. E' il. vento, prigioniero nei fili del tele-'grafo. Pisa, piena di storia e di fato. ALFIO RUSSO.

Persone citate: Camillo Ranieri-borghi, Donne, Guido Buffarmi, Musetto

Luoghi citati: Lucca, Pisa