I disperati attacchi nipponici continuano ad infrangersi contro l'eroica resistenza cinese

I disperati attacchi nipponici continuano ad infrangersi contro l'eroica resistenza cinese 3Uol cixxixTLta giornata della battaglia di Sciangai I disperati attacchi nipponici continuano ad infrangersi contro l'eroica resistenza cinese Le fasi della battaglia: il ripiegamento cinese e il ritorno controffensivo -1! reggimento del « Drago azzurro » barriera insormontabile - Episodi di eroismo giapponese - Alla baionetta - Situazione oscura - Un monito degli Stati Uniti al Giappone - La lotta si sposterà in Manciuria ? DAL NOSTRO INVIATO FREGIALE Sviluppi e pericoli Roma, 25, notte. 1 \ L'aspra resistenza che le truppe ,-. cinesi offrono all'avanzata dei solfm 'dati giapponesi intorno a Sciangai, f se da un lato costituisce la rivela■ zione sensazionale e suscita naturali li simpatie, dall'altro lato non può che S| aggravare ed ampliare i termini del '? conflitto cino-nipponico, che, sino agli eroismi della 19* Armata, senili brava dovesse limitarsi nei suoi effetti diplomatici, giuridici e commerciali. Innanzi tutto, nei confronti diretti dei due antagonisti. ( L'Esercito dell'Impero del Sol Levante, si era creato, con il titolo conquistato in lunghe e numerose H guerre, le fama di imbattibilità: tecS unicamente esso non è diminuito dal H "fatto militare di questi giorni, svol||'|tosi su un terreno che è il più opK^èportuno per una difesa ostinata a ■g i brevi settori ed a piccoli episodi ; ma ^»^nell'Oriente e nell'Asia, quanto più Bh lontano ci spingiamo, le vibrazioni Imi mora'i hanno risonanze più imme|||? diate e più vaste che non nei Paesi E a civiltà occidentale. Oggi apnarc mi per la prima volta, che i soldati del K' Mikado sono degli esseri di carne ed Ili ossa che possono essere fermati: il P|| loro Stato Maggiore non è più quelI l'entità miracolosa che sempre minuziosamente prevede tutte le circostanze e tutte le supera. La Cina, su cui più volte dalla guerra del '95 alla recente occupazione della Manciuria, i reggimenti giapponesi si erano esercitati come in un campo di grandi manovre, ha reagito in un primo momento con alcuni battaglioni, in una posizione nemmeno troppo regolare (non v'è d'i stupirsene) rispetto al Governo di Nanchino, poi, con un improvviso entusiasmo, che ha trascinato tutti i fattori, responsabili ed irresponsabili. Il movimento nazionalista di rinascita che fa capo al Kuo-Ming$$Tang, e che ha espresso un uomo di indubbie qualità come Ciang-KaiCek, si era già imposto ad una attenzione seria e profonda, dopo la liquidazione dal suo seno del bolscevismo, ohe aveva avuto per anni i suoi agenti dittatoriali in Borodine ed in Karakan. Negli ultimi due anni, però, il ritorno ai separatismi ed alle lotte di fazione, avevano condotto ad una persuasione quasi fatalistica che l'anarchismo cinese fosse un fenomeno insopprimibile. Orbene, oggi è la prova decisiva che verrà sfruttata nelle sue conseguenze estreme: quale migliore occasione di una guerra condotta contro l'odiato invasore, per tentare di cementare delle forze unitarie che, in passato, si sono sempre sfaldate nell'urto fra nord e sud, nelle rivalità tra i generali? Anche nel secolo XX, pervaso di ideologie umanitarie, il sangue resta sempre il coefficiente più mirabile di fusione, specie quando i sacrifici possono essere accompagnati dalla esaltazione di un ideale facile ad essere afferrato dalle masse più amorfe e capace di fare tacere osmi rancore dinanzi all'accusa di tradì mento. Le migliaia di morti cinesi a Ciapei ed a Kiang Wan, segneran no l'inizio di una nuova epoca in cui la Cina ritroverà le virtù che sole potranno fare di essa una Nazione, uno Stato? Se così non fosse c'è da disperare sulla eventualità anche lontana di una fine del caos con la istituzione di un forte Governo centrale ubbidito da tutte le Provincie. Intanto, il cinese che combatte con eroismo, che muore per la sua Pa■ tria, è un avvenimento che deve fare riflettere, non i soli nemici di oggi: è un'altra incognita sull'orizzonte corrusco del Pacifico. La reazione delle truppe di Canton e di Nanchino non manca di produrre i suoi effetti nelle direttive di Tokio: il prestigio dell'Esercito giapponese dovrà essere salvato ad ogni costo; le preoccupazioni diplomatiche passano in seconda linea di fronte a questa suprema necessità. Quale sarebbe la situazione delle poche Divisioni che occupano la Manciuria se si diffondesse la sensazione che attaccando c'è qualche minima probabilità di successo? Gli stessi 20 milioni di coreani, i quali solo dal 1908 sono sudditi del Mikado, possono essere ritenuti alieni i da qualche sorpresa? Non solo quinS di la espansione futura sarebbe compromessa, ma l'Impero che è di origine recentissima, potrebbe mostrare delle crepe; quella guerra che per la Cina è fattore di coesione nazionale, e per il Giappone, oggi, necessità assoluta per le conquiste di domani e per la conservazione dell'alto grado di potenza raggiunta; non basta: più la guerra continua, più i pericoli di complicazioni internazionali aumentano e maturano. Immaginiamo che i giapponesi avessero potuto compiere una passeggiata militare nei dintorni di Sciangai con il raggiungimento di tutti i loro obbiettivi che consistono nel possesso d'una Concessione commerciale e di una base navale alla foce del Yang Tse, in modo da prevenire e da impedire la continuazione del boicottaggio: con ogni probabilità la commedia della protesta per l'occupazione della Manciuria si sarebbe ripetuta, senza modificare la situazione raggiunta con lo schieraamento di forza delle truppe giapponesi. E, forse, questa era anche la segreta speranza dei Governi del- I le Grandi Potenze oceaniche che te-1 mono passi falsi in avventure che potrebbero aprire la strada alle peggiori catastrofi. Finora Londra e Washington hanno agito con la necessaria prudenza: quando l'una si spingeva un poco avanti, sia pure con delle dichiarazioni verbali, l'altra attenuava la sua solidarietà, e viceversa. Solo i santoni custodi dello spirito societario lanciavano la loro maledizione contro il Giappone, ma erano voci senza eco e senza importanza. Con la intensificazione delle operazioni belliche, la cui vastità e la cui durata sono ormai nelle mani di Dio più che nella volontà degli uomini, è divenuto molto difficile, se non impossibile, continuare nell'atteggiamento di pavida attesa degli eventi che creino il fatto compiuto. Ecco gli Stati Uniti che cominciano a scoprirsi: il Governo di Tokio aveva giustamente calcolato sulla riluttanza della Casa Bianca, in un periodo di grandi preoccupazioni interne, ad assumere posizioni decisive, conforme alla tradizione diplomatica americana, in Estremo Oriente, ma bisognava far presto; l'opinione pubblica, manovrata da associazioni la cui influenza sull'esecutivo non è trascurabile, collegando l'interesse nazionale con il motivo umanitario della simpatia verso coloro che difendono il proprio territorio; i piccoli nuclei di interessi che il Giappone aveva saputo rendersi amici con opportune ordinazioni pagate con oro sonante, non possono resistere alla campagna antinipponica; sugli elementi responsabili il senso del prestigio di una politica coerentemente ■ condotta, dall'affermazione del principio della « open door » alla evacuazione dello Sciantung, al Trattato delle nove Potenze nel 1922, prende il sopravvento sul timore di arrischiarsi in una condotta più decisa; e Stimson parla come finora non aveva mai parlato: la sua lettera al Presidente della Commissione degli Affari Esteri, senatore Borah, risponde naturalmente a fini interni e non ha il carattere d'una nota ufficiale, ma le polemiche e le intenzioni in essa manifestate non possono essere ignorate. Oltre che riaffermare la tesi già precisata a Tokio e a Nanchino il 7 gennaio scorso, da un preliminare rifiuto a riconoscere qualsiasi Trattato o Convenzione in violazione degli accordi di Washington, il Capo del Dipartimento di Stato dà una sua interpretazione sulle origini, sullo spirito e sulla lettera del Trattato delle nove Potenze, che lascia aperte le più gravi eventualità. Ma ove quel Trattato diventasse caduco verrebbero meno per gli Stati Uniti le rinunzie a cui essi si adattarono per raggiungere una intesa, la costruzione di navi da battaglir superiori alle 35.000 tonnellate (il limite massimo di Washington), le fortifi¬ cazioni nell'arcipelago delle Filippine e in altre isole del Pacifico. Nessuna minaccia di interventi diretti da parte dell'America per ora; ma basta considerare i problemi che sembravano risolti per sempre sollevati da Stimson perchè la gara agli armamenti nel Pacifico, faticosamente evitata per un decennio, si ripresenti con il carattere di una corsa precipitata al conflitto fra le due Potenze che mirano all'egemonia di quell'immenso oceano. Tutta l'impostazione della Conferenza del disarmo e, primo, il Trattato navale di Londra, salterebbero per aria senza alcuna possibilità di rattoppi. Il cannone che tuona a Sciangai non permette più di turarsi le orecchie e di fingere di non udirlo; se non tacerà presto la sua eco servirà da punto di ritrovo dei suoi fratelli maggiori, i 381 delle super-dreadnoìight. ALFREDO SIGN0RETTI.

Persone citate: Ciang