Il tesoro delle maioliche al Museo Civico

Il tesoro delle maioliche al Museo Civico Il tesoro delle maioliche al Museo Civico L'amore per le belle faenze, la capacità di godere del cupo azzurro d'uno smalto o del vago motivo paesistico chiuso nella cornice rococò d'una perfetta maiolica di Lodi o di Pesaro, stanno — nella scala dei gusti — spesse volte un gradino più in su della comune infatuazione per la pittura antica. Se il raccoglitore sa mantenersi libero da pregiudizi nella scelta ed immune dalle grettezze e rapacità In cui facilmente casca il collezionista ad oltranza, questa delle ceramiche è una passione raffinata e gentileè una predilezione degna di temperamenti aristocratici ed intimi. Entusiasmarsi per un Longhi o per un Guardi è, diremo cosi, relativamente facile; apprezzare a pieno la modellazione d'un Cafaggiolo, il lustro ad oro d'una Deruta, il tratto inconfondibile d'un Orazio Fontana o la policromia d'un Giorgio Giacinto Rossetti, lino a cavarne le sensazioni più squisite, è cosa riservata a pochi, è il segno, sid'una sensibilità sottilissima, ma il suggello anche d'una cultura e di meditazioni lunghe, solitarie. Tal tempra eccezionale d'amatore possedeva il marchese Emanuele D'Azeglio, al cui generoso lascito a favore del Museo Civico torinese son da collegarsi tre delle più preziose raccolte della nostra Galleria: quella dei vetri di Murano, quella dei vetri ad oro e dipinti (che non ha rivali in tutto imondo), quella infine dei duemila e più pezzi di ceramica che il direttore del Museo, dott. Vittorio Viale, ha ora preso ad illustrare con una prima monografia che tratta più specialmente delle maioliche (« La raccolta ceramica del Museo Civico di Torino », tipRattero, Torino): pubblicazione utilissima, corredata da abbondanti riproduzioni, che in mancanza del catalogo generale del Museo potrà essere consultata con profitto da chi vorrà rendersi conto dell'entità e dei pregi di questa collezione cittadina. E' la mancanza appunto d'una guida sicura, ed ancor più l'affollamento di diecine e diecine di pezzi in vetrine insufficienti, dove accanto a coppe, piatti, vasi stupendi giacciono oggetti di minor valore, che ha finora fatto si che il comune visitatore passasse rapidamente davanti a questi tesori traendone scarso godimento. Pigrizia non del tutto colpevole: che non basta dare al pubblico il mezzo di accostarsi all'arte; conviene fornirgli l'agio di goderne, invogliarlo alle soste, aiutarlo nel giudizio. Se da anni andiamo qui ripetendo che le nostre civiche raccolte sono sistemate in locali indegni d'una grande città, è appunto perchè quell'agio e quell'aiuto son finora mancati al pubblico che per esse sentisse affetto <ed interesse. Ad ogni modo — almeno per ciò che riguarda il Museo d'arte antica — è questione di mesi, dato che è ormai imminente il trasporto di ciò che contengono i tetri locali di via Gaudenzio Ferrari nelle restaurate splendide Gale di Palazzo Madama. Qui finalmente, insieme con pitture, mobiliarazzi, armi, sculture, medaglie, arredi, anche il tesoro delle maioliche troverà il suo allogamento adeguatoDiciamo tesoro, e non si tratta d'iperbole. Quelle trenta e più stracolme vetrine nelle quali l'occhio affaticato più non riesce a discernere il bello dal mediocre, il dozzinale dallo squisitocontengono pezzi da fare invidia a qualsiasi museo. Non sopravaluteremo qui gli esemplari delle faenze orientali, le coppe della mesopotamica Rakka, le tazze di Rhages, i piatti di Rodii bacili arabo-moreschi, i pochi « azulejos » spagnuoli, nè i bassorilievi probabilmente faentini della fine del secolo XV, e nemmeno i piatti istoriatcinquecenteschi, tra i quali tuttavia spicca per magistero artistico e singolare interesse iconografico la raffigurazione de) miracolo di Santa Chiara scacciante la soldataglia dal convento di S. Damiano, opera di mastro Giorgio Andreoli da Gubbio datata del 1526; ma non esiteremo a concordare col Viale nell'apprezzamento d'alcuntondi urbinati quali il « Ratto di Elena > del 1548, « Eco disprezzata da Narciso >, e soprattutto « Abramo e i tre angeli », anche se l'ascriverlo al grande Orazio Fontana possa parer presunzione. Ed a proposito di ceramiche del secolo decimosesto, qual posto tiene nella leggiadra produzione Torino? Documenti d'archivio (ricorda Vittorio Viale) avevano già rivelato he il Duca Emanuele Filiberto, nella ua fervida sollecitudine per la rina-cita economica e artistica del Pie-monte, aveva fatto venire a Torino in-orno al 1560 maiolicari urbinati, fra quali il Fontana. Ma come ricolle-are a quelle di Urbino le maioliche orinesi, che sonò tanto diverse? Fu Ballardini, direttore del Museo na-ionale di Faenza, a risolvere la que-tione avvicinando i quattro deliziosi estelli portafrutta del nostro Museo lla produzione dei maestri compen-iari faentini Virgiliotto Calamelli, on Pino Bettlsi. Comunque, certo venero dall'Italia centrale 1 ceramisti che iedero alla fabbrica torinese uno plendore che troppo presto si spense, si riaccese poi a metà del '600, e con più fortuna circa il 1725 per merito, anche, di Giorgio Rossetti. Alcuni piati con decorazione azzurra alla « Beain » o policroma a « paesino » e a scena campestre », un tondo del Grattapaglia rappresentante « Susanna e i due vecchioni », una elegantisima zuppiera a motivi rococò e un eggiadrissimo trionfo burlesco di auni a decorazione azzurra firmato dal Rossetti, sono testimonianze magnifiche della perizia raggiunta tra il Sei e il Settecento dai maestri piemonesi in una produzione che rivaleggiava con quella del Rouen e di Moutiers, che era seguita nei progressi dalle abbriche liguri. Di queste, la raccolta torinese cona più di duecento pezzi, mirabili tutti, ecanti ora la Marca del Faro, or uelle di Gerolamo Salomone, d'Agotino Ratti, di Giacomo (o Jacques) Boselli, dei Levantino, dei Falco, dei Siccardi; e chi voglia persuadersi che artigianato savonese era ormai alora ai primissimi posti, vada a cerare il grande piatto ottagonale che orta la marca dei Falco, e dica se uò immaginare nulla di più festevole gentile di quelle figurine settecenteche, di quel leggero aliare d'uccelli, i quello sfumar di fronde lievissime opra sfondi fantastici dalle vaghe coorazioni. Lodi e Milano, intanto, gaeggiavano coi vicini centri piemonesi e liguri; e mentre Felice Clerici e Pasquale Rubatti gettavano nei loro orni cineserie capricciose e sontuose scenette di genere piene di sapore, Ferretti e ì Morsenchio di Lodi — redi di una tradizione bisecolare — ci avano alzate, medaglioni e bacili sui uali la vivacità della policromia maistralmente s'univa alla delicatezza el disegno. E nello stesso tempo gli Antonibon di Nove si segnalavano per a insuperata distinzione dei motivi ecorativi, per la ricchezza d'una fan-1 asia che doveva poi quietarsi nella ompostezza neoclassica degli splenidi vasi in terraglia inglese cotti — empre a Nove e contrassegnati dalla aratteristica stella ben nota ai colleionisti — nelle fornaci di Giovanni Baroni. Di tutta questa vasta produzione artigiana il nostro Museo è doviziosamente documentato, e con quanto sovrabbonda di esemplari settecenteschi prende la sua rivincita su alcune defiienze riguardanti gli esemplari cinuecenteschi; e mette per di più sulla bilancia, a suo favore, alcune maiolihe dei Casalis e Calegari di Pesaro, e ei Ferniani e dei Regoli di Faenza, he con quelle abruzzesi dei Grue e dei Gentili basterebbero da sole a dar lutro a una raccolta. Ancora una volta (e tacendo ciò he in via Gaudenzio Ferrari richiama alle fabbriche di Roma, Monreale, Caltagirone, Este, Angarano, Treviso, Pavia, Moutiers, Strasburgo, Marsiglia, ecc.) abbiamo voluto ricordare ai orinesi una ricchezza cittadina che non è forse apprezzata nel suo intero, grandissimo valore. Ma ancora una volta ricordiamo agli uomini di studiò e di gusto che trasporteranno e ordineranno questo tesoro nelle rinnovate sale di Palazzo Madama, che solanto una collocazione accorta degli oggetti di un museo riesce a farne rialtare i pregi. Ponete trenta ceramihe in una vetrina, e soltanto il collezionista vi si fermerà dinanzi con la dovuta attenzione. Isolate un bel tondo d'Urbino o di Gubbio su una paete fra due mobili antichi, e qualsiasi amatore delle cose belle troverà godimento a contemplarlo. mar. ber.