L'"esercito degli spiantati,, contro il Gran Turco

L'"esercito degli spiantati,, contro il Gran Turco TRADIZIONI EROICHE E GIOCONDITÀ* CARNEVALESCHE L'"esercito degli spiantati,, contro il Gran Turco Pittoresca rievocazione a Castelletto Stura - 450 combattenti - Dal 1539 ai costumi... garibaldini - La battaglia, la pace e il formidabile rancio: un bue, un maiale, una piramide di pane, 12 brente di vino scovato in un porcile e decapitato con la sua stessa nefanda scimitarra. Pochi scamparono e fra questi Giovanni Acuto, che riuscì a fuggire. Qui, a prò posito di questo personaggio, la tra dizione si fa... audace. Assegna a quella scorreria moresca lAcuto, che fu invece, come ognuno sa, di origine inglese, e le cui gesta avventurose sono anteriori di qualche secolo. Ma Castelletto è stato feudo dell'Acuto prima che questi passasse al servizio dei fiorentini, e deve aver lasciato nella memoria del popolo tale ricordo, da giustificare questa parte che gli viene attribuita. Tradizione che rivive Questa tradizione è radicatissima nella popolazione di Castelletto Stura: La risonanza di quel fatto è ancora vivissima, e la alimentano l'orgoglio di razza, l'amore per la propria terra e pel proprio focolare. Quello della gloriosa impresa è il racconto più diffuso che venga fatto nelle case e nelle stalle, ed i bimbi lo odono ad ogni momento, e gli aprono tutta la loro piccola anima... Ma, oltre che a parole, l'impresa della giusta vendetta viene glorificata anche coi fatti. Da tempo immemorabile i castellettesi ripetono, naturalmente fino a un certo punto, quel felice episodio della loro vita comunale. Lo ripetano con una « mascherata » che ha luogo il giovedì grasso, ogni cinque anni. Inutile indagare perchè la celebrazione di un'eroica gesta sia stata trasportata in carnevale e quindi arredata di elementi estranei, e ridanciani. Sta di fatto che la celebrazione si è sempre regolarmente svolta, fino al 1914. Dopo, per cause che sono intuitive, ha subito una lunga pausa. Non è risorta che oggi, giovedì grasso del 1932, dopo diciotto anni; e l'iniziativa è dovuta al Dopolavoro, ed in ispecie al suo attivissimo presidente, dott. cav. Ricca ed al podestà cav. Delleani. La manifestazione è ricomparsa come una tipica, pittoresca pagina di folclore, ingrandita nelle proporzioni e nobilitata nella sua espressione e nella sua finalità, giacché, pur essendole mantenuta l'originaria fisionomia di mascherata, è stata spogliata di quegli elementi un poco volgari che una volta portava con sè. Ed eccoci, di buon mattino, a Castelletto, per assistere alla battaglia dell's esercito degli spiantati ». Così viene, un poco carnevalescamente, chiamato l'esercito che ha fatto quel famoso boccone dell'orda saracena: esercito degli spiantati perchè non era che povera popolazione rurale, senza altre armi che delle zappe, dei badili e delle piccozze. La sveglia mattutina Già per le strade è suonata la sveglia militare, e ovunque corre il fervore dei preparativi. S'odono delle canzoni, vuoi in sordina, vuoi in cori spiegati. Una dice, molto esplicitamente: Porc d'un turch E brut Maómet, 'Ndev-ne fora dal Castlett! E un'altra risponde, molto allegramente: Nói sòma ij fier sòldà Del regiment d'jì spianta; Nói sòma del Castlett, Beivdma d'bón dòsset! Arriva gente sulla piazza, da tutte Je case, ed anche da Cuneo e da tutti i paesi vicini. Alle 10 la piazza è stipata, riboccante; sarebbe gremita anche se fosse tre volte più spaziosa. Due palchi si fronteggiano, l'uno da un lato, decorato di bandiere e tricolori; l'altro sul lato opposto, ornato di drappi verdi su cui campeggia la Mezzaluna. Giungono man mano le forze dei due eserciti avversari, i quali sono come simboleggiati rispettivamente dai garibaldini in camicia rossa e dai turchi in turbante rosso-giaillo. E qui occorre una spiegazione. L'« esercito degli spiantati » è andato man mano mutandosi col tempo. Forse, una volta, non era formato che da una specie di sanculotti; ma poi è venuto arricchendosi di forze armate organizzate. L'epopea garibaldina gli ha ceduto le camicie rosse, gli eserciti moderni gli hanno regalato la fanteria, gli alpini, l'artiglieria, 1 carabinieri, eccetera. I primi a giungere sono appunto i carabinieri, parte a piedi e parte a cavallo. Subito si nota un'aria marziale di prim'ordine. Uno d'essi ha circa 70 anni e la barba bianca, e cavalca come un giovanotto. I carabinieri, a stento, fanno largo nella folla, fra 1 due palchi, per stabilire il quadrato destinato allo schieramento delle truppe. Prendono posto i garibaldini, un centinaio di ragazzi dai sei ai quattordici anni, che hanno durato due mesi a «fare istruzione » per imparare la loro parte. Ecco gli artiglieri coi loro bei cannoni di legno dipinto; ecco gli alpini, che con le loro piume dritte sui cappelli entrano in gara, in fatto di copricapi, con gli zappatori del tempo andato, i quali portano un monumentale berrettaccio fatto eoa pelli di coniglio. C'è anche la Castelletto Stura, 4 notte. Dice una tradizione locale, suffragata in buona parte da memorie storiche, che il 17 luglio 1539 sbarcò presso Savona, da trenta galee, una feroce torma di saraceni, che tosto si diede al saccheggio e all'uccisione. La masnada si divise in tre gruppi, c uno di questi, capitanato da certo Selim, il 24 di quel mese capitò dopo sanguinoso cammino, non si sa come, a Castelletto, un paesello a poche miglia da Cuneo, posto sulla Stura. Gli infedeli posero agli spauriti abitanti una terribile taglia: dodici fra le più beile ragazze del luogo e tre mila ducati d'oro. Il triste affare era già concluso fra i parlamentari delle due partì, quando un turco usci in parole di spregio e di minaccia. Allora uno del paese, un povero contadino che già si era accon- ciato al sacrificio di due figlie, acce- caio dall'ira alzò la zappa che teneva in mano e la lasciò cadere sulla testa dell'osceno bravaccio. Fu la scintillache fece scoppiare l'incendio della ri- volta Tutto il Daese Insorse e li tur- cW furono assaliti da ogni parte. I contadini non avevano per armi che i nronril attrezzi ed il coraggio della di- sSoSa dopo una lunga e fu-Sazuffa la loro santa causa fini per trionfare I turchi furono cacciati pi castello e quivi colti in trappoladoPo pinoso assedio. Selim venne = e ... - „™ Croce Rossa, e la comanda un medico in borghese con un cilindro alto un metro e una siringa lunga altrettanto; c'ò persino il cappellano militare, e dicono che si sia fatto tagliare apposla i baffi, di giorno prima. Ecco ancora i portatori delle casse del tesoro, e uno di essi — quello turco, naturalmente — è pietosamente carico di catene; ecco l'interprete, la cui carica è stata assegnata ad un... balbuziente. Due muli recano le munizioni per gli eserciti nemici: cassette piene di capsule per i fucili e di petardi per i cannoni. Un Re senza corona Rullano intanto i tamburi e suona di quando in quando la tromba dei segnali. La piazza è tutta in movimento. Le truppe al centro e la folla dei curiosi all'intorno cominciano a vivere la gio-1 conda epopea Deve arrivare il Re Un vasto ondeggiamento della folla, che si apre su un lato della piazza, ed ceco 11 Sovrano il capo dell'* esercito degli : spiantati ». Veste riccamente di vellu to nero, ma non ha corona. In com penso ha l'automobile. Egli è giovane e. seguendo il progresso dei tempi, scen de da una magnifica vettura, mentre 'la banda suona e scatta l'attenti» di tutta la-truppa, turchi compresi. E con lui un numeroso seguito. C'è il Princi pe, tutto vestito di scarlatto come in una bella fiaba per bimbi; c'è il Go- lvernatore, vestito all'ammiraglia con tanto di feluca, e rappresenta il capo del paese all'epoca del glorioso episodio; c'è Garibaldi , con la barba rotonda, la camicia rossa e il berretto da generale moderno; c'è un misterioso personaggio che si chiama il « generale biondo »;. ci sono il Duca della Motta 0 il Principe di Riforano, i quali simboleggiano l'aiuto che Motta e Rifolano hanno prestato ai castellettesi in quel terribile frangente; ci sono altre personalità ancora... Degna di nota è la fedeltà con cui la tradizione viene conservata a proposito di queste cariche, che sono tramandate di padre in figlio. Il Governatore viene impersonato dai discendenti dei contadino che ha vibrato quel primo colpo di zappa, e perciò il privilegio spetta tuttora alla famiglia Revollo. La parte del Re è sempre stata appannaggio della famiglia Garella, la quale ora si è spenta, lasciando il posto ad un'altra dinastia, quella degli Enrici, che appunto oggi ha cominciato a... regnare. Anche la carica del turco Selim è prerogativa, per quanto poco brillante, di una famiglia, quella dei Rosso. E così dicasi di altre, come quella cui. spetta il diritto di dare il «generale biondo ». Il Re, adunque, fiancheggiato da due giganteschi corazzieri luccicanti come vetrine, prende posto sul suo palco, non senza prima aver reso onore, unitamente al seguito, alla vecchia bandiera del suo esercito: vecchia veramente, perchè risale al 1692 ed è gelosamente conservata. Prende posto, e getta un occhiata sprezzante sui capi dell'esercito nemico, che stanno giungendo. A differenza di lui, i turchi felloni arrivano a piedi. Con Selim, dall'elmo, e .dalla barbuta calata sul mento, sono Giovanni Acuto ed il Gran Turco; dall'aspetto di un venerando e pacifico pascià. Il seguito è composto di mori e di moretti, in pittoreschi costumi, con grandi fez, grandi brachesse e grandi picche. Tutto grande da far paura... La piazza pantagruelica Ma intanto, mentre questo importante convegno avveniva, dell'altro succedeva sulla piazza, di non minore importanza. In un angolo un poco appartato, difesi da un robusto steccato, otto immensi calderoni bollivano su altrettanti fuochi. Si preparava il rancio, anzi i due ranci destinati alla truppa combattente, composta di ben 450 persone. Per queste 450 bocche alla vigilia era stato ucciso un bue, donato dal cav. Ricca e dal cav. Delleani, ed ucciso un maiale, offerto dagli esercenti e commercianti. In più, erano stati nreparati 400 chili di pane e dodici brente di vino. E tutto è lì, nella improvvisata grandiosa cucina. Mentre il bue e 500 salamini bollono nelle otto immense pentole, aspettano la loro volta mucchi di verdura e dì trippa, con cui sarà preparata la minestra. La piramide del pane è accanto, così pure la botte del vino, che troneggia. Una mezza dozzina di cuochi bianco vestiti è tutta in faccende ed in sudori. Ed ecco, mentre il Re ed il Gran Turco si guardano in cagnesco, suona la tromba, che dà il segnale del primo rancio. Quegli sguardi si addolciscono di colpo. I cuochi ed i loro aiutanti j distribuiscono a tutti gli uomini in' divisa un salammo, pane e vino. E la grande adunata in un batter d'occhio è tutta intenta a mangiare ed a bere. Anche il Re, anche il Gran Turco man- j giano di buon appetito tenendo il salamino con le mani e bevendo a garganella. L'affare è presto sbrigato e la tromba dà un altro segnale. Sono le 11. Si fa un relativo silenzio, e, snudate le sciabole e drizzati gli orecchi, tutti sono in ■ attesa. Si svolge un dialogo fra il Re e Selim, attraverso la piazza, dialogo che ricorda le trattative corse fra i saraceni ed i contadini. Il dialogo si fa vivace e poi violento, e le trattative sono rotte. Si ode il Re che esclama: «La Mezzaluna morderà la polvere! All'armi, o popolo! Sotto 1 giovani! ». A sua volta Selim grida, incitando i suoi: « Il re degli spiantati si pentirà amaramente di essere tale!». Il campo di battaglia La guerra è dunque dichiarata. Un urlo di gioia accoglie la notizia conclamata dal Re. Tuttavia il popolo impaziente ascolta ancora il proclama del capo di Stato Maggiore, che riesce persino a farlo ridere, e Garibaldi, che tiene un discorso coronato da un subisso di applausi. Poi è il giuramento un « giuro » colossale che fa tremare le mura — e poi è la guerra! La calca si fende e la truppa gridando ed inneggiando, si porta al margine del paese, presso la strada che conduce a Cuneo. Quivi, in un ampio prato, sono state praticate palizzate c trincee. Vi irrompono primi i garibaldini, seguiti dagli altri reparti dell'«esercito degli spiantati». Poi giunge la folla, numerosissima folla che occorre contare in migliaia di persone, giacché Castelletto, in questo momento, oltre ai suoi 1500 abitanti, ne conta almeno altri cinque o sei mila. E' uc«siclacmptcctaldgpdrrDlèSfpcemfsdbppavIscttdacndiqssrmcaSrrivecpucrisifiovcclmdGsdtfctdvAtbTtgmrucgdsavpnzrttotndqcfimddcpciICLdFstgcttdlmadFc5dtedsgseri un grande anfiteatro dì moltitudine che circonda 11 campo trincerato degli «spiantati»; i ragazzi salgono anche sugli alberi, per meglio vedere. E la battaglia incomincia. Sparano i fucili, i loro colpi secchi, sparano i cannoni coi loro boati fragorosi. Da lontano rispondono altre fucilerie ed altri bombardamenti: quelli dei saraceni, che occupano il paese c che dominano dall'alto del castello. Odor di polvere, fumo dappertutto. Tutta l'atmosfera rintrona. I garibaldini fanno cariche su cariche, occupano una trincea dopo l'altra, assistiti dagli zappatori che sistemano le posizioni e dagli artiglieri che fulminano alle loro spalle. Le camicie rosse sono respinte una, due, tre volte, ma sempre tornano gagliardamente all'attacco. Il terreno è preso, perduto, ripreso. Qualcuno cade ferito. Corre la Croce Rossa, corrono il medico ed il cappellano. I feriti sono portati via con le barelle... D'improvviso il nemico è avvistato alle prime case del paese. Il pericolo è grave. Allora lo stesso Re, col suo Stato Maggiore compie una carica a fondo. La furiosa cavalcata fa scappare da quella parte i mori ed anche i curiosi. Il nemico nel porcile , I garibaldini insistono nell'attacco, e finiscono per avere la meglio: il nemico cede, indietreggia nell'abitato, si ferma coi suoi cannoni a fare resistenza in alcuni cortili, asserragliando le truppe nelle case. Allora i garibaldini compiono a tutta corsa un ampio giro ed entrano nel paese dalla parte opposta. Sorprendono i saraceni alle spaile. Questi non si danno per vinti. Reagiscono anzi violentemente. Il combattimento è cosi portato nelle strade, poi nella piazza. I due eserciti sono a pochi metri l'uno dall'altro. Assalti alla baionetta, spari, morti e feriti... Agli assalti dei garibaldini la folla, che fa argine impensato al loro ardore, tanto li stringe da vicino, scoppia in grandi applausi. La tregenda continua. I turchi sono duri a morire. Ma finalmente ondeggiano, rinculano. Non valgono gli ncitamenti dei loro capi, e neppure quelli di Giovanni Acuto, che, cavalca spavaldamente un asino, fumando la sigaretta. Essi finiscono per battere in ritirata, e portarsi al castello, ultimo baluardo della loro difesa. Ma anche qui (ed è proprio dove sorgeva lo antico castello) essi hanno la peggio. Sono circondati da tutte le parti, sono raggiunti, scovati. E quelli che non riescono a mettersi in salvo fuggendo verso i boschi della Stura, sono nresie finiti... Il Gran Turco è sorpreso rincantucciato in un porcile. Un momento dopo il suo turbante è innalzato sopra una picca: segno, che egli è stato decapitato... Giovanni Acuto, invece, è riuscito a squagliarsela. Ma il suo asìno è preso e condotto fra gli osanna in piazza, come segno della sua sconfitta e della sua vergogna...' Quasi due ore è durata la battaglia. .Cominciata verso il mezzogiorno, ,e finita che erano circa le quattordici! Tutti, vincitori e vinti," supèrstiti é caduti, si ritrovano, con la folla, nella piazza. Il palco della Mezzaluna rimane deserto; si popola invece quello del tricolore, e vi appare anche il Gran Turco in catene, sebbene già sia stato decapitato... Il dono di sei pentole Intanto, mentre si ricompone il quadrato, le otto colossali pentole fumanti mandano un odorino delizioso, che fa levare in alto i nasi a tutti. La carne è stata levata, ed è già affettata in tante « razioni » degne dì soldati vincitori. Nei calderoni cuoce la verdura e la trippa, per la minestra. Ancora pochi minuti, poi tutto è pronto, ed il secondo rancio viene distribuito: pane, vino, minestra e carne. Tutta la piazza mastica, beata, dopo tanta fatica. Mangia e beve, fra una gioconda e sana allegria che si esprime in risa, in motti arguti, in canti. E l'allegria dura fino a sera, naturalmente con abbondanti bevute. E a una certa ora si incontrano dei nasi che sono più rossi delle camicie dei garibaldini. «Nói soma del Castlett, beivóma d' bòn dòsset »... i Ma bevono anche gli ospiti, i forestieri, nè inconveniente alcuno si ha a lamentare. Questa è la « mascherata » del giovedì grasso di Castelletto; mascherata per modo di dire, che ha in sè del sano e del nobile come poche manifestazioni del genere. Basterebbero lo spirito militare e l'amore della propria terra che essa alimenta costantemente, a farcela apparire utile e gentile, oltre che pittoresca e singolare. Tan. t'è vero che essa ha raccolto la benevola attenzione della Società di studi storici della Provincia di Cuneo, la quale ha stabilito un premio di lire cinquecento per la migliore monografia sulle origini della caratteristica manifestazione. Oggi, per la battaglia degli «spiantati» di Castelletto, la detta Società ha indetto il suo nono convegno, e difatti sono intervenuti parecchi soci, col segretario I. M. Sacco. Fra le autorità presenti era puro »,.., v'olia A! Tir„„,:!„..i * I'on. Valle di Mondovl. U. L. «

Luoghi citati: Castelletto Stura, Cuneo, Savona