Uomini e bestie sulla via di Hyderabad

Uomini e bestie sulla via di Hyderabad Uomini e bestie sulla via di Hyderabad Scheletrì in cammino - L'auto, la vacca e il bramino -- Pellegrini verso il Tibet -- Nel cuore della foresta La sarabanda dei gatti selvatici (DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE) Da LONAWALA (India) gennaio. I'Questo e un luogo sulle montagne Gath, lungo la strada fra Bombay ePoona dove st viene per cacciare anche la pantera ma soprattutto \per respirare dell aria meno pesan-'te di quella della pianura lungo il mare. Vista la monotonia della « tecnica rivoluzionaria » nella metropoli, mi addentro nel Sub Continente per vedere se le cose variano. Sono diretto ad Hyderabad, la capitale dello Stato del Nizam, il maggiore dell'India, ed il primo tratto del viaggio sino a Poona (duecento chilometri da Bombay) lo faccio in auto ed in carovana con alcuni amici italiani: il dott. De Vita, il dott. Del Chiaro ed il prof. Viti con le loro signore. Il primo è in viaggio di nozze in India, il secondo risiede a Bombay e vi dirige una grande fabbrica di sigarette, l'ultimo onora l'Italia in India con opere notevoli d'arte plàstica e. d'architettura..:g^t, e tre sono cacciatori appassionati e vorrebbero,,che anch'io fossi della partita. Ma essendo un po' viziato dalla troppa Africa centrale, cinegeticamente considerata e sfruttata, preferisco fare da spettatore, in caso da ammiratore soprattutto del prof. Viti che mi è quasi coetaneo e mi vuole ospite nella sua Alfa, un po' vetusta per i suoi centomila chilometri di corse indiane, ma ottima corridrice sempre. L'agonia degli « hartals » Tutto questo per spiegare la ragione della fermata a Lonawala che non è che un villaggio con un alberghetto sommario per gli europei. Ma la strada sin qui è molto curiosa perchè si colgono lungh'essa gli aspetti dell'India immutabile e di quella che ora concentra su di sè l'attenzione del mondo. E,in primo luogo insegna che non è vero che gli inglesi abbiano dotato in questi anni l'India di una rete stradale tale da rendervi piacevoli i viaggi automobilistici. Infatti la rotàbile Bombay-Poona, una delle più battute, è asfaltata soltanto nei dintorni immediati della metropoli, poi diventa mediocre sino a Poona e quindi cattiva e pessima verso Hyderabad che è a 1300 chilometri da^Poona. La stessa cosa si verifica sulle strade verso Agra e Delhi e le altre direzioni (questa che abbiamo preso noi è la stessa che mena a Madras e Calcutta). Gli inglesi — a parte le condizioni politiche generali che poco inclinano il dominatore a nuove iniziative di lavori pubblici: in India tutto è venerabile, alberghi, strade, ferrovie ed etichetta dei governatori che danno dei pranzi con cerimoniale assolutamente regale — non vogliono creare una concorrenza alle ferrovie, non cattive certamente, ma nelle condizioni delle descrizioni di Kipling, che fece la fatica mezzo secolo fa, Essendo partiti di buon mattino, assistiamo nella traversata dei sobborghi industriali di Bombay, all'agonia degli « hartals». Sorpassiamo cioè una quantità di autocarri carichi di operai e di operaie diretti alle tessiture di Làksmè. Sua Maestà la fame La strada per molte miglia dopo Laksmè è fiancheggiata da ininterrotti villaggi, poi questi diventano più radi e si corre nella campagna, in questa stagione spoglia, coperta di risaie disseccate ma bene alberata specialmente lungo la strada. I villaggi sono miserrimi, ma più desolati appaiono gli accampamenti vicino ai villaggi, formati da tende che sembrano tele di ragno rizzate per riparare le famiglie dei braccianti nomadi, temporaneamente sedentari presso gli « zamindars » e semi-proprietari della terra per conto dei « ragià ». Interminabili, lungo la strada, gli I armenti di buoi ischeletriti (la crea- 'tura vivente in India, uomo o be sti sì mta masì re sotto un tto iu vicìno am scheletro che tessere in carne ed ossa, ciò \he dìmostm suMto che a Sianore ' e n — principale dell'immenso Paese è sua maestà la fame; del resto uomini e bestie sono continuamente in movimento spasmodico alla ricerca del cibo; da un capo all'altro del Sub Continente, non c'è terra sul globo dove i suoi abitatori ragionevoli ed irragionevoli appaiano incalzati da quella suprema necessità come in India) tali da costituire per l'automobilista una vera calamità. Impossibile correre. Il traffico sulla strada è caotico, nessuna regola, neppur l'ombra di una disciplina stradale. Se una macchina va addosso ad una vacca e le fa del male, la situazione per l'automobilista diventa tragica. Data la santità dell'animale si può essere sicuri di esser fatti a pezzi dai contadini indù, i jquali sorgendo da cento'.-insospettati punti ■ circonder! runripìa macchina e' Vobbligheran no>,a févmviTsi. Unico mezzo di liberazione: gettar sulla"folla furibonda manciate di rupie, di mezze rupie, tutta la moneta che si ha sottomano; ma il più lontano possibile perchè l'ingombro dei seminudi cangi obbiettivo e si accapigli nella conquista delle monete lasciando libero il passo. Il maragià di Gwalior raccontava ad alcuni amici italiani di Bombay che .avendo ucciso una vacca con la sua auto, dovette per sei mesi sobbarcarsi alla noia ed al dispendio periodico di farsi « purificare » nel tempio della sua capitale. Ogni purificazione gli costava 5000 rupie dì obolo ai sacerdoti bramini. « Io non credo di aver commesso nessun sacrilegio — diceva il maragià — ma sono indù e non potevo sottrarmi alle esigenze dei bramini ». L'episodio sta a dimostrare il potere inalterato di costoro. TI giorno che Gandhi venne arrestato e confessò a Mister Wilson, capo della Polizia di Bombay, che Iddio gli aveva fatto la grazia di esaudirlo (cioè — dicono gli scettici — di toglierlo da una situazione insostenibile), non trascurò di far sapere che una valigetta che portava con sè in prigione era fatta di pelle di vacca morta di morte naturale. E l'affermazione del Mahatma aveva tutta l'aria di voler far piacere ai bramini, despoti degli indù da millennìi e che continueranno ad esserlo nell'India del self governement. Pellegrini che hanno orrore dell'acqua Fra i viandanti, dopo aver visto passare infinite donnette portatrici nei vasi di ottone o di rame sulla testa di acqua attinta - con infinita cura nel fiume, badando bene che nessuna ombra di intoccabile passando vicino la contamini (per camminare spedite le donne riducono il « sari » alla minima espressione e la quasi nudità che ne deriva è sempre deprimente poiché non si vede mai una bella ragazza), incontriamo un gruppo di « sadu », di monaci, così tipici che fermiamo le macchine per fotografarli. Sono tre giovani ed una vecchia donna, vestiti di ampie tonache candidissime con lunghi bastoni da pellegrini, provvisti in basso di un grosso fiocco dì lana destinato a pulire il suolo dove i « sadu » si riposeranno o giaceranno. Due dei giovani hanno un viso così gentile che dapprincipio li scambiamo per donne, ma essi ci dichia- rano subito di appartenere ad una setta che ha fatto voto di castità e i quindi di respingere con orrore-ogni femmina (la vecchia che è con loro dev'essere la madre di uno dei « sadu »). Aggiungono testualmente : « Siamo molto puliti, infatti non ci laviamo mai e mangiamo un giorno dsgMrmsrpantncsevgssvasrpgsamlvrpsì ed uno no ». Siccome uno dei * sa- du » parla benissimo inglese e lo scrive pure, tant'è vero che vuol vergare sul mio taccuino il suo nome: Munì Ratanvigaigi, e l'indirizzo per ricevere la fotografia; gli domando maggiori 'lumi sulla pulizia ottenuta senza lavarsi. « E' semplicissimo — risponde Munì. — Non ci laviamo perchè siamo puri, però ci puliamo accuratamente ogni giorno strofinandoci con farina di mais. A settant'anni possiamo anche lavarci, non prima ». Munì porta un paio di grandi occhiali di tartaruga ed è simpaticissimo. Respinge l'obolo che gli offro, e mi prega di allontanare dalla sua vicinanza immediata e da quella degli altri « sadu » le signore della nostra compagnia ad eccezione della signora De Vita, la quale essendo vestita in calzoncini corti e scarpe alte, può agli occhi dei « sadu » passare per un giovinetto. — E dove andate? — domando a Munì. ■ 1. « — Nel Tibet, a piedi. Contiamo di arrivare a Dargiling (ai piedi dell'Everest dalla parte inglese) nella buona stagione, in Maggio. . Ma ecco che altri « sadu » sopraggiungpno. Sono circondali da una turba di accompagnatori in « Jcadda » (berretto gandMsta) e quando apprendono che siamo italiani, manifestano una grande allegrezza gridando: <s.Non sono europei, sono italiani,, amici nostri! » (questo è il bel risultato della scuola anglo-indiana dove sino a qualche tempo fa si insegnava che solo gli inglesi sono europei e gli altri popoli mandrie coloniali sotto l'egida britannica). Sosta all'« Ismal hotel » A Rampali, ai piedi della ripidissima montagna che bisogna'superare per raggiungere l'altipiano di Poona, nuova sosta notevole. Ne avevamo veramente fatte parecchie altre prima, per ammirare la geometrica montagna di Matarami, che limita il territorio dei Maratta, una volta bellicosi, e assomiglia alla Tavola di Città del Capo, e per tirare agli aironi in meditazione negli stagni formati dalle foci dei piccoli corsi d'acqua che sboccano nel mare sulla nostra destra e son coperti delle fioriture del loto. Kampalì ci rimarrà nella memoria per l'« Islam hotel », una stamberga di paglia dove il padrone è organizzato per permettere agli automobilisti di lavarsi la faàcia sulla strada. Per l'ammontare di due anna (un anna è la sedicesima parte della rupia) vi versa da un'anfora di ottone l'acqua nelle mani e sul capo. La polvere è già enorme ora, figuratevi che cosa sarà in Giugno, dopo sei mesi filati di implacabile siccità. Per chi vuole riposarsi all'xlslam hotel » che ha la sua brava targa riproducente l'espressione con sotto dipinto un bicchiere e un piatto, il sullodato padrone offre, sempre sulla strada, un lettuccio indigeno australiano. E' in camice bianco, piedi nudi e capo scoperto. Ma il luogo è fittamente ombreggiato ed il missionario, che ha i capelli e la barba fulvi, ha l'aria di starci benissimo. Gli diciamo che assomiglia a Ge Quando arriviamo il letto è occupato da un missionario evangelico che alle nostre domande si rivelaknt(tdvtt(lliqrlivqtleddfvdtmpdnpdsdarsdpnbdniccfmrnpcntonscqBpnsairbser«mtmfeltngsù Cristo ma egli risponde soave- ^imente che non ne ha il cuore e in-[mtanto si lascia fotografare fra una gcoorte di bambini nudi e luridi co-rrne fachiretti in erba, e di vecchie sche paion tirate fuori dalla fossa, mveri cadaveri camminanti, nonché sdi cani rognosi, fra una sinfonia udi corvi gracchiatiti sui rami degli galberi. Ai rami stanno pure appesi',™come sacchetti vampiri dormienti. Anche l'australiano missionario che va diffondendo fra i maratta la ss k/ica, con i fari dell'automobile, ainozione del Vangelo con prediche tradotte da un interprete indigeno (figuratevene l'efficacia!) pare contento come una pasqua apprendendo che siamo italiani. Non ne aveva mai veduti! E' venuto a vent'annì (ora ne ha 25) in India direttamente da una « sheeps station » (fattoria di pecore) dell'interno della Nuova Galles del Sud! Spingiamo le macchine sulla salita dei monti Gath, che a Bombayquei mattacchioni dei residenti europei proclamano l'ascesa automobilistica più ardua del mondo! E' viceversa una salita qualunque con qualche svòlta un po' stretta. In alto, panorama a perdita d'occhio della pianura fra le colline ed il mare e piacevole sensazione respiratoria di aria fresca, quasi balsamica. I buoi dell'Apocalisse Più oltre a Kandala, poco prima di arrivare qui, incrocio con una formidabile carovana bovina che deve venire dal Pungiàb e fors'anco dal Cachemire poiché è accompagnar ta da donne abbigliate da amplissime vesti scarlatte. Ciascuna di esse porta sulla faccia un tale ingombro di ornamenti d'argento dì dimensioni imponenti (cerchi, campanelliplacche, trafori, filigrane) da nascondere quasi le fisonomie. Ne hanno sulla fronte, al padiglione ed al lobo delle orecchie, infilati nelle naricialle connessure delle labbra, al colloSono ultra pittoresche, per nulla ritrose, anzi ridanciane al massimosembrano portare nella monotonia del greggie del popolo costiero, del popolo di Gandhi, pullulante a decine di milioni nel triangolo Amehabad, Bombay, Poona, qualche cosa dell'impeto guerriero del nomadismo nordico. Veramente non portano che buoi, innumerevoli buoi, magri anch'essi come quelli dell'Apocalisse e che recano sulle groppe i carichi, come fossero muli. I buoi andranno ai macelli musulmani delle città costiere, gli uomini e le donne ritorneranno con i guadagni al lontano paese per ripetere la vicenda dell'eterno cammino, indefinitamente. Eccoci all'Hamilton Hotel di Lonawala, fra enormi alberi fruscianti al vento dell'altipiano. Piccolo ostello nel cuore della foresta che non è sfruttata poiché i suoi legni sono divorati dalle formiche bianche; tutto il legno che si adopera da questa parte dell'India viene dalla Birmania. Alberguccio tenuto da parsi, che qui come a Poona tendono a farsi seppellire nei cimiteri cristiani, anziché finire divorati daglavvoltoi, come a Bombay. Entrata in scena delle infime caste dei maratta, nei servizi più umili del gabinetto da bagno piuttosto giavanese, e lezione sui maratta medesimiex-guerrieri, fattami dall'albergatore strabico ed insinuante, un ottimo « curry » a colazione, un tardo pomeriggio di innocente caccia alle tortore ed alle pernici, una drammatica notte di caccia assai più trafelini più o meno prossimi alla tigre ed alla pantera, lungo ì margini della strada. A mezzanotte gli ornici italiani tornano intirizziti dal freddo allineando sotto la veranda dell'albergo una serie di stecchite bestiacceinfernali (gatti selvatici) nere e di malaugurio. Ma la caccia sarà migliore domani, con i battitori maratta ingaggiati a mezza rupia dascuno per la giornata. Si va a dormire nei letti sconquassati dei parsl> con la fiducia che i topi lunghun palmo e mezzo, che spadroneggiano nell'Hamilton Hotel, ci rispar™1*10' durante la notte piena del fra stuono ululante del vento, i loro mor-si pericolosi. ARNALDO CIPOLLA