Nell'isola dove non piove mai

Nell'isola dove non piove mai Nell'isola dove non piove mai (DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE) eia ad affondare subito dopo la sta1zione di Motatan, e non si sa come Via :sca « raggiungere La Ceiba senza nau- delle carogne renderebbe l'aria irrespi' Si a ndi e- . . CURACAO (Antille), dicembre. Due volte la settimana c'è un trenino che parte da Motatan, a quaranta chilometri da Volerà, e va a fermarsi in fondo al sacco del lago di Maracaibo, proprio alla riva, dove c'è un villaggio di palafitte chiamato La Ceiba. Di qui, due volte la settimana, si stacca un vapore adibito al servizio di collegamento fra le due estremità del lago (La Ceiba — Maracaibo città); e qualche volta succede che fra treno e piroscafo vi sia coincidenza. In questo caso, il viaggio dallo Stato di TnifiUo a quello di Zulia, di cui Maracaibo è la capitale, e l'uscita dal territorio della Repubblica, è cosa assai agevole; e quel po' di disagio che c'è, è largamente compensato dallo spettacolo della foresta, in cui il treno incomin- frugarvi. Se piroscafo e treno non sono riìisciti a mettersi d'accordo, lo scenario della selva rimane bello ugualmente, ma può darsi ci si debba accorgere di averlo pagato troppo caro. Ogni tanto, una radura e un villaggetto. Capanne di creoli e di iteri; porci, caprette, corvi. I grossi corvi di qui, gli « urubù », sono animali assolutamente domestici. Rappresentano la nettezza pubblica, e fanno un servizio .inappuntabile. Senza di loro, sarebbe ^0,.se impossibile all'uomo di vivere in 'queste plaghe dove \ la decomposizione ràbile e micidiale. In grazia degli «urubù », invece, la carogna diventa scheletro in poche ore. L'« urubù )> di servizio Fermatevi a guardare intomo a una capanna, dovunque essa sia, la più ! squallida e la più remota, e vi trove rete sempre un < urubù » di servizio; — almeno uno. La loro divisa non è gran che dissimile da quella di tutte le,altre famigliceli corvi. Di partico Idre.lumno s'ólò'mrspó&.m grWSe -i°W*«^° di PfUe grigia, fatto, si di- 'rebbe, a maglia. Ricordano un po' % crociati. Sono partito da Motatan alle otto del mattino, e sono arrivato a La Ceiba a mezzogiorno. Il treno è andato a fermarsi proprio a due passi dall'acqua, accanto al pontile dov'era attraccato un vapore che vibrava tutto e fischiava come se qualcuno gli avesse fatto qualcosa. Poi ho saputo che faceva ••; le prove ». Prove, direi, riuscite benissimo. Quando un vapore fischia e fuma così, crepa di salute. Meno male. Mi avevano raccontato, su questo servizio del lago, cose agghiaccianti; ed evidentemente calunniose. — Fra quanto si parte? — Fra un'ora. Per vedere La Ceiba è quanto basta; e ne avanza. La stazione è l'unico edi- i 'J.^j0 dTsttte' moderilo'è"europeo. Fuo ' re di questo non ci son che capanne sui trampoli, mezze sull'acqua e mezze in terraferma, abitate da gente che \sicuramente aveva i parenti qui mile I , é a e e i a e n i ni a a o a n a on o za fo o nti ci l'anni fa. Bianclii pochissimi. Il più autorevole è il capostazione: elbano, naturalmente. Ad onta di questa sua modestia apparente, La Ceiba non è un paese qualunque. Essa divide con Coro, die è in fondo al golfo omonimo, sotto le montagne della penisola paraguana, il grande onore storico di aver tenuto a battesimo il Venezuela. Il primo no me dato alla contrada scoperta da Colombo nel 1498, e più minutamente visitata l'anno dopo da Amerigo Vespucci, che si addentrò per primo nel golfo di Maracaibo, fu quello, come si sa, di Castiglia d'Oro. Venezuela, o « piccola Venezia », fu chiamata dopo, per l'imagine adriatica che Coro e La Ceiba suscitarono al Vespucci stesso e ad Alonzo d'Ojeda. M'avvicino al piroscafo, che si chiama « Orinoco », e trovo muto e deserto anche quello. Entro, e scopro, per terra, sul ponte, una donna, una negra, tutta intenta a sciogliere in sudore lo spettacoloso grasso che imbottisce la sua epidermide. Le mostro il biglietto, e le chiedo qual'è la mia cabina. Mi fa un gesto che vuol dire: le cabine eccole lì, entri in quella che più le piace. Non me ne piace punte, e non entro. — Non si va via? La negra (che più tardi mi si è presentata come cameriera di bordo) mi risponde che si parte subito. Bono proprio curioso di vedere come farà a muoversi questo vapore senza capitano e senza equipaggio. Si parte senza strepito Eppure, benché io non mi sia accorto di nulla, mezz'ora più tardi siamo al largo. Come sia avvenuto non nzaIndidipchtrpnericstaa«scvdndlapsqpcrBilpLstlamtiapcpldmscgrUbclèila«asqgcsgistsdmdteeherqztnesvelsnqsvv«blvcstcadso. Un legno contrabbandiere non zpsqaqaavrebbe potuto partire più alla chetichella. Chi ha-staccato i cavi'! Quando è arrivato il comandante"! Dov'è? Mistero. M'ero sdraiato anch'io su di una panca del ponte, accanto alle mie valigie, e avevo chiuso gli occhi. Riaprendoli, ho visto la riva che si allontanava; e il villaggio lacustre, fra lo intercolunnio dei cocchi, non pareva nemmeno più un villaggio vero, tanto assomigliava, così nitido e piccino, a certe illustrazioni di libri d'avventure. Pareva un disegno di Yambo. Il lai/o di Maracaibo è tutto, come si sa, un gran serbatoio di petrolio. dcsaLunghi tratti della riva orientale sono'occupati da « campi » di sfruttamen- to, grandi alcuni come piccole città.'Sulla stessa superficie dell'acqua so- no sorte vere e proprie cittadelle .mcccaniche galleggianti, i cui lumi, laj e n e a ù ; è e e - % o a e e e a o ; e e ù , è e , o o a e l e a, o i r o a : e e, ) o a acan notte, farebbero immaginare l'esistenza di chissà quali festose metropoli. Invece è tutto ferro, e tutto puzzo di petrolio. Ordigni di ogni forma e di ogni misura popolano la parte superiore del lago; e vi sono « pontoni » che accolgono perfino uffici di controllo e abitazioni di sorveglianti. Inutile dire che tutto questo è proprietà nordamericana. Insieme al beneficio, il Venezuela sente anche il pericolo di tale ipoteca; e ogni tanto c'è qualcuno che avanza fiere proposte di riscatto. Ma quando i nordamericani piantano qualcosa in casa altrui, mettiamo pure un semplice « trivello » in una zona petrolifera, sono usi a prendere certe precauzioni contro le quali non c'è che fare. Una volta, fino a poco tempo fa, la zona di Maracaibo, benché in mano di stranieri, era una delle maggiori fonti della prosperità venezuelana. C'era lavoro per tutti, e il denaro correva proprio come se, invece di petrolio, si succhiassero su' dal terreno e dall'acqua dollari e bolivares bell'e fatti. Ma poi anche sul petrolio è scoppiata la crisi. Ce n'è troppo. La concorrenza russa si fa sentire ogni giorno di più, Bisognerebbe abbassare i prezzi. Ma il Nord America preferisce diminuire la produzione, e lasciare il costo qual'è. La ragione non l'ho capita bene: ma sta di fatto che molti pozzi sono stati chiusi, e la disoccupazione in tutta la zona ha assunto carattere di dramma. Ogni giorno sono centinaia e centinaia di operai che si presentano agli approdi cercando un vapore che lì porti in un altro luogo qualunque. La città di Maracaibo è in condizioni particolarmente penose. L'onda dell'oro aveva suscitato in lei ambizioni da metropoli. Automobili, teatri, cinema, edifizii sempre più numerosi e sempre più betti; tuttóciò, insomma, che costituisce l'orgonlio della città signora. A un tratto s'è ritrovata povera, e non si vuol decidere a crederci. Una- -beHa 'Troverà,' con'-tiKtéZ automobili. E' inutile che domandiate a qualcuno: « Come va'! ». La risposta ve la dico io: «Crisi». Parola che ha, è vero, una larghissima circolazione in tutto U Sud America; ma che quelli di Maracaibo pronunciano in una altra maniera. Come se dicessero: « Il terremoto... ». Quando non c'è vento In cinque ore e mezzo si dovrebbe andare da La Ceiba a Maracaibo. Ma son quasi sempre sette. Qualche volta quando c'è un po' di vento, ce ne vogliono dieci. In queste occasioni, « consigliabile non trovarsi, come passeggeri, a bordo deWOrinoco. Ci può capitar un casetta che par gustoso; e non è. Per il comandante il vapore è arrivato, e non c'è più nessuna ragione di tenere le cabine aper te e i lumi accesi, e tantomeno di far servire la cena; per la polizia e per la dogana di Maracaibo, passeggeri e merci non possono sbarcare óltre le dieci, Cerco di commuovere il comandan caMceadinemluinletafagintitagsgpcpdmntsmronpnrndsnsbseeLnr^CcMzfptndscofUicmctSp_EInte che se ne va, ma egli apre le brac- teia come per dire che il vento non lo Pha inventato lui, e che sulla dogana\n' sGmae sulla polizia, lui, non ha alcuna autorità. Col passaporto in mano faccio qualche segnale a un soldato di polizia che va su e giù per la banchina, tutta ingombra di dormienti bianchi e neri (facchini, vagabondi, disoccupati) e ottengo lo stesso successo. Allora sveglio, con un tiro insistente e meta rgnvenir su. Gli spiego la mia situazione, e domando lumi alla sua esperienza locale. H brav'uomo ne dà uno molto semplice; e anche, in fondo, assai economico. Lo seguo senza discutere, per quanto con qualche incertezza sull'esito. Invece ho torto. Il « peone » (creolo, vagabondo, e facchino quando ne ha voglia) si avvicina al soldato e gli « stringe la mano » a nome mio... Subito vedo un gesto che significa: ivia libera, tna faccia presto ». Scendo e vado a dormire all'albergo. Sono anche dispensato dall'aprire i bagagli. Due giorni e una notte di viaggio sul mare delle Antille, a acqua inquieta e cielo coperto, ed eccomi in Curacao: la più pittorescamente bastarda di tutte le Isole Sottovento. Curagao è anche famosa perchè, si dice, è una aloclRmsepnqtszcctldelle poche terre del mondo dove «non] Vn zo> questo dialogo: piove mai». Salvo quando, come stasera, diluvia. Curagao è olandese. La storia che qui raccontano è molto graziosa, e mi auguro che sia vera. Fra due Regine, quella d'Inghilterra e quella d'Olanda, avvenne un giorno, alla fine d'un pran- uden? di e ano a o a ue o. — Vorrei offrirti qualcosa in ricordo del nostro incontro... — Sarò orgogliosa di riceverlo e di custodirlo come una cosa preziosa. — Vuoi Curagao? — Grazie. Debolezze di negri Può darsi che la storia ufficiale smentisca in pieno questo racconto. Ma a Curagao tutti giurano che la cosa è andata cosi. La capitale, che è poi l'unica città dell'isola, si chiama WiIhelmstadt; e bisogna vedere gli sforzi o'che fa per far subito capire, a chi arn- riva, che essa appartiene all'Olanda. Le à.'due rive del magnifico canale che tao- glia in due la capitale, mettendo in coe .munica.ione la sicurissima rada interajfla col mare aperto, sono «fiottate di vd e , i a a i a a a a a a . a a i ì a i i e , . e , e a : e a a « r e r a e e case e villini deliziosamente olandesi. Ma la battaglia è dura. L'ottanta per cento della popolazione curagalegna è ami nero imperdonabile. La spruzzata di bianco della colonia europea, anche nel pieno della città dove essa si agglomera, non riesce assolutamente a diluire la densità di questo torrente di inchiostro. E appena fuori detta capitale, naturalmente, si piomba in assoluta nogrizid, spsoreprdiocesemGbbL'unico tentativo che questi net/ri trfanno per far dimenticare la loro ori-1latitegine è rappresentato dagli abiti che indossano: terribilmente europei. Inutile dire che tuttooiò va a solo vantaggio del senso umoristico. Un'altra debolezza ambiziosa dei negri di Curacao, e in modo specialissimo dette negre, è quella di portare gli occhiali d'oro. Se poi l'oro non è proprio oro vero non importa. Basta che la cerniera sia gialla smaccata. Lì per Zi avevo creduto die si trattasse di una necessità, dovuta a una epidemia che non avesse risparmiato nessuno. Forse l'aria, chissà!... E avevo già trovato un bel titolo per la mia corrispondenza : « La città dei mìopi ». Ma m'informarono subito che ero in er- ncRloztaaprcmEhdvsBrore. Gli occhiali sono, a Curacao, un moggetto di moda come un altro; e sono, I dnaturalmente, di puro vetro. Curagao non produce nulla. Dalle sue petraie non vengono su che piante spinose Tutti i viveri che occorrono a Curacao vengono dal Venezuela. Arrivano ogni due giorni con una flottiglia di minuscoli velieri, e ti mercato si svolge sull'acqua. Le barche, legate l'una all'altra, in fila lunghissima, atta sponda del canale, si trasformano in botteghe dove affluiscono tutte le massaie di Curacao, nere, bianche, così e così. Se il mare si butta al cattivo, e dura qualclie giorno, son guai serii. Le riserve dei mercanti di seconda mano che hanno spacci nell'isola si esauriscono presto. Una settimana di na^g^z^e^terrptfa sarebbe"la" fame, Curacao è un'isola: una terra, cioè, col mare intorno, e col pesce in mare. Ma perfino U pesce viene dal Venezuela. Tutto, vi dico. Una volta, due anni fa, è arrivato anclve qualcosa che proprio Curacao non si aspettava. Sessanta o settanta rivoluzionarii venezuelani, imbarcatisi con aria pacifica a bordo di un piccolo legno tedesco, si smascherarono in alto mare, e, legato il comandante, fecero rotta per Curacao. Un Governatore prudente Approdarono nel canale verso le otto di sera, mentre la popolazione affollava le strade e i pubblici ritrovi, Una diecina di colpi di fucile sparati in aria bastarono a mandarla tutta a casa, e a far chiudere precipitosa mente porte e finestre. I venezuelani, che erano in cerca di armi per suscitare la rivoluzione contro Gomez nello Stato di Zulia, invasero la caserma di polizia, poi il palazzo governatoriale. cshficcggtpcascqnqntgpacEecgmpvdcniltncessrgllpTim__ , — — ■ IE quando se ne andarono, e la gente I dIntinse il naso fuori, si dovette consta-- tare^ c"f,*^;?f*_S™1l2f^"e fl'^SC°^ \no Parso- M Governatore, dico. Due gior- \ na\ni doP° tornò. Era stato a Coro coi|i' sitoi rapitori. La rivoluzione contro Gomez era fallita, ed egli si era automaticamente ritrovato libero. Tutte cose che ora non potrebbero accadere più. Ci sono due torpedinie- o a, e ) a bsrpdrp che di notte e di oiorno fanno « I s■ 5 77*- , • giorno fanno il, giro dell'isola, coi cannoni carichi, e|Mnon vorrei essere in quei disgraziati oe, a o r o, a li a e no ea è a albergo che è tutto un piccolo nido ita- \ bliane. Italiano il padrone, italiani gli]lospiti. Qui la tavolozza dette regioni è gcompleta. C'è il piemontese e il siei- ■,7 j 77, Fu, a 7- 77 ..nliane, quello dell'Alto Adige e quello iiffiRodi, ir sardo e il pugliese. Maestri! amuratoti, sarti, fabbri ferrai. Una men- • vsa in comune, e un gran gioco di boc- j peie per aver modo di non dimenticar proprio nulla del folklore dialettale. Il padrone dell'albergo viene dal Venezuela. E' stato sfrattato in ventiquattr'ore, per un ordine del Presidente dello Stato di Lara. Il perchè non lo sa. Quello che sa è di avere la coscienza tranquilla. La polizia politica fu certamente male informata, da qualcuno che aveva chissà quale basso interesse personale a provocare quell'espulsione. L'esule si chiama Pifano (nato in n] Venezuela, ma figlio d'italiani) e aveva ahe mi e, a, n- un possesso a Carote sulla transandina. Sospira, e dice: — Ah, se Gomez lo sapesse! Glie lo vogliamo dire? rdi le a è uizi rLe aordi uhfpfsgvglcmigtfSorride, come un fanciullo al quale ivenga promessa una cosa troppo bélla.\— Vogliamo? Eh! \Mi abbraccia Andiamo all'ufficio telegrafico, di dove spedisco a Gomez un messaggio per chiedergli di voler ^rivedere la posizione del mio connazionale che si proclama uittinia d'itti errore i, .«ai _t _., i Il telegramma parte, e Pifano non mangia nemmeno più in attesa della risposta. Stamani, questa è arrivata. Il Dittatore del Venezuela mi comunica che Antonio Pifano può ritornare a casa sua. L'ho saputo mentre già ero sul Crysner in procinto di salpare per la Colombia. Per darmi la bella notizia, Pifano è venuto a bordo di nascosto arrampicandosi su di un canapo cheXpenzolava da prua. C è mancato un \ ette che non partisse anche lui RENZO MARTINELLI.