La centuria alata

La centuria alata IL LIBRO DI BALBO SULLA CROCIERA ATLANTICA La centuria alata Dalle nevi di Misurino, dove si era recato sul finire dello scorso novembre in breve periodo di convalescenza e dì ristoro, Italo Balbo ha licenziato le bozze del suo volume « La Centuria Alata » che la Casa Mondadori sta in questi giorni per pubblicare. Il libro, che ricorda la più alta impresa compiuta dall'Aeronautica italiana — e da qualunque altra aeronautica — cioè il recente volo transatlantico è dedicato ai cinquecentosessanta caduti dell'Aeronautica italiana durante i sette ultimi anni. Il lavoro, di quasi quattrocento pagine, costituisce un racconto serrato ed appassionante, tanto che, iniziata la lettura, si vorrebbe continuarla tutta d'un fiato, fino al complimento del volo, fino alla gloria di Roma, tanto lo stile è avvincente, schietto e semplice, vero stile di soldato e di uomo di azione. La trasvolata dell'Atlantico rispondeva a vari scopi che erano ideali e pratici al tempo stesso. Compiuto ormai, e ripetute volte, il volo con singoli apparecchi, tramontato anche l'interesse per le imprese Individuali che possono dare la misura dell'audacia ma anche della fortuna di un pilota, occorreva ormai, secondo una concezione più e più volte riaffermata da Italo Balbo, compire 'voli di masse, nei quali non la fortuna ma l'accuratissima preparazione costituisse il fattore veramente decisivo. Un'impresa collettiva dà la misura della forza, della preparazione, della maturità di un popolo e di un'armata aerea. Ed insieme al risultato morale, fornisce anche quello tecnico, cioè l'esperienza. La preparazione L'impresa ideata fin dal 1929, dopo un viaggio compiuto da Balbo negli Stati Uniti, in occasione del Congresso Internazionale di Aviazione di Washington, ebbe una prima attuazione nella traversata dell'Atlantico Meridionale che presentava minori difficoltà e che doveva essere di esperienza necessaria per la più difficile prova: il volo suU'Atlantico Settentrionale. Nel messaggio di saluto del Duce al trasvolatori era già la conferma della nuova impresa: «nell'attesa di quella che sarà la nuova più grande prova nell'anno X della Rivoluzione, l'Italia Fascista è fiera ed orgogliosa di voi, trasvolatori dell'Atlantico». La preparazione cominciò subito, all'indomani cioè del ritorno dL- Balbo dal Brasile. Una sciagura, la morte di Umberto Maddalena, di colui che doveva più d'ogni altro coordinare e dirigere il lavoro, la interruppe poi ad un tratto, ma subito dopo veniva ripresa sotto la guida del generale Aldo Pellegrini. Compiuta la scelta degli uomini che dovevano partecipare al volo, in base a rigidi criterii di scelta, fra la legione di coloro che desideravano prendervi parte, si iniziò ad Orbetello, per i futuri trasvolatori, un periodo di intensissimo lavoro e di severa preparazione. Frattanto veniva iniziato un altro-lavoro non meno delicato: quello cioè della preparazione del percorso, della organizzazione cioè delle basi di appoggio insieme alla raccolta delle più accurate informazioni sulle condizioni meteorologiche della rotta. L'Atlantico del Nord, infatti, con le sue nebbie gelide e le sue bufere e coi suol venti dominanti costituisce sempre un ben serio ostacolo da superare. La rotta prescelta doveva seguire il Reno fino in Olanda, di qui volgeva, per il Mare del Nord, fino all'Islanda, da dove si lanciava nel grande balzo verso 11 Labrador, Terranova e Montreal; una rotta che presentava il vantaggio, nel mesi estivi, della lunga luce diurna. Preparati gli equipaggi, gli apparecchi ed i motori, ai primi del 1933 si potevano già iniziare ad Orbetello i voli collettivi della squadra atlantica, che andava affinandosi cosi nella preparar zione più completa. Ad Amsterdam, a Londonderry in Islanda a Rejkiavik, a Cartwright, Shediac, Montreal, Chicago, New York venivano create le basi, con personale specializzato. Un'altra base era sulle coste groenlandesi Veniva predisposta poi tutta una rete di osservatori meteorologici, che avrebbe permesso di conoscere, in ogni istante, la situazione barica lungo la rotta, fattore decisivo di sicurezza. Nell'ottobre 1932 il Duce aveva esaminato il piano preciso della Crociera, che approvò interamente. Pochi giorni dopo veniva dato l'annuncio dell'impresa: il volo Roma-Chicago-New YorkRoma. Sono recenti le ore di passione e di crisi vissute in quei giorni dal popolo italiano. Una serie di bufere che imperversò in tutta l'Europa durante il mese di giugno obbligò a rimandare di molti giorni la partenza. Finalmente il l.o luglio le otto squadriglie, venticinque apparecchi, con 115 uomini di equipaggio, al comando del Ministro dell'Aria, si alzano da Orbetello puntando su Amsterdam. Valicano le Alpi, a 4000 metri, sullo Spluga, trovando poi subito nebbia e cattivo tempo, ed a mezzogiorno il primo apparecchio ammarava ad Amsterdam. Un banale incidente costava qui la vita al motorista Quintavalle e veniva a togliere al volo un apparecchio alla Crociera: fatalità del destino! L'inferno bianco Il 5 luglio, prima di mezzogiorno, la Squadra Atlantica parte per l'Islanda: 1500 chilometri di volo sull'Oceano. Do po due ore di volo gli apparecchi en trano nella terribile nebbia bianca, fittissima c gelida. Soffia anche 11 vento ed il mare ribolle furioso. Il volo diventa un incubo. « E' un volo atroce — scrive Balbo — che sfibra: uno sforzo sui nervi che diventa una tortura: mi dolgono gli occhi. Pare di sfiorare l'acqua. Cagna tiene lo sguardo fisso sugli strumenti. Tra noi parliamo a gesti. Anche il mio aiutante, di solito roseo come il ritratto della salute, ora è pallido, coi muscoli del viso tirati. Ma siamo calmi. Avverto i piloti di prendere quota in cerca di una zona migliore. Trovo un'altra schiarita, poi ancora nebbia e nebbia che supera la quota più alta, poi, finalmente, o gioia sovrumana, ecco il cielo libero! Lancio un radio ai compagni per avvertirli che siamo usciti dall'inferno bianco ». Alle 1S in punto si inizia l'ammaraggio a Reykjavik. Il percorso effettivo è stato di 152S km. a 243 chilometri all'ora: tempo da record. In Islanda il maltempo ed il mare cattivo obbligano ad una nuova sosta. Comincia qui ad esercitarsi la grande virtù di pazienza e di prudenza del Comandante, al quale è affidata una responsabilità enorme. Non si può gio¬ cpmqapldcqqpbbtszLsdfqnzdlqsLYzPfLmQgliPtpmtr care, non si possono commettere Imprudenze. Occorre vincere i suggerimenti del proprio animo audace, e quelli tacitamente espressi da tutti gli altri compagni d'impresa, sempre pronti ad osare. Il 12 luglio, in un volo di dodici ore, la Squadra di Balbo trasvola l'oceano, dopo avere attraversato fittissimi banchi di nebbia e zone di maltempo. In quel terribile volo alla cieca tutte le qualità dei piloti dovevano essere impegnate a fondo. Era una ben dura battaglia che i valorosi dovevano combattere e vincere ancora una volta. Al tramonto, nel cielo sereno e gelido, una striscia scura appare sul lontano orizzonte marino : la costa del Labrador, " L'Atlantico era vinto. Due tappe fulminee portano successivamente la Squadra a Chicago, mèta del viaggio. L'accoglienza americana fu affettuosa, calorosa, entusiastica, quale poteva fare un popolo che sa conoscere ed apprezzare su tutto l'iniziativa, la volontà e l'audacia. Ma più dei ricevimenti delle autorità, più dell'accoglienza delirante di New York, quello che commosse gli atlantici fu il saluto degli italiani. L'accoglienza di Little Italy, il quartiere italiano di New. York, destò la più profonda commozione. « Cara, pittoresca gente del mio Paese — scrive Balbo — troppo diffamata dai frettolosi turisti che nella Little Italy sono abituati a trovare il monotono, spunto della loro ironia. Quale impeto di affetti ci travolge oggi, in questo incontro avventuroso sulla terra americana, che per miracolo si incendia tutta di ammirazione verso la Patria lontana, l'Italia tanto vituperata fino a ieri, tanto amata e tanto rimpianta negli anni dell'oscurità e della miseria, oggi, finalmente, esaltata oltre ogni speranza! Ecco gruppi di operai che il lavoro incurva, mamme travagliate dalla fatica, ragazze dalle camicette di cotonina sgargiante, bambini dagli occhi bruni e vispi. Passa davanti a loro il gagliardetto atlantico, che da un lato porta lo scudo di Savoia sui tricolore, dall'altro è tutto azzurro con l'aquila che regge tra gli artigli 11 fascio littorio: passa come un segno di vittoria, come un simbola di resurrezione. Tutti gli occhi pun- ' tano verso quel piccolo drappo che il sole carezza e il vento fa palpitare y poi le mani si alzano nel saluto, le povere mani di lavoratori, nelle quali sembra scritta la nobiltà della dura fatica sulla tema straniera. Le donne lanciano agli aviatori strane, tenere parole d'amore: gli uomini nanna l'urlo strozzato in gola: i bambini mettono nel tumulto una garrula notai squillante e argentina, come un vasta tremulo riso. Un operaio, tutto circondato di bimbi, ne protende uno su un braccio, mostra gli altri con la mano libera, e mi grida: «Questi sono peq Mussolini e per l'Italia».., Ancora sull'Atlantico Al^alba dei 15 luglio — già incal-i zano ormai i giorni e le notti comindamo ad allungarsi — la Squadra lndn zia ila via dal ritorno. Due tappe suc-< cessive portano gli atlantici prima :st Shediac, poi a Shoal Harbour, dove dovrebbero spiccare il nuovo balzo oceanico per la rotta dell'Irlanda. Mai il maltempo li blocca sulle coste ài Terranova e frattanto, da Valentia, et susseguono le segnalazioni di nebbia basse, insidia preoccupante e troppograve per l'ammaraggio di una squa« óra. Nell'attesa, le ore di luce diminuì-* scono, fino a che occorre rinunziare' alla rotta del Nord, per scegliere quella delle Azzarre. Anche In questa altra sosta il Comandante deve saper pazientare ed attendere soprattutto quando l'animo di ognuno si esprimeva nella muta esortazione « partiamo ugualmente »... Ma Balbo pensa che ha in mano non solo la loro vita ma l'onore di una ban-< diera. Scelta la rotta delle Azzarre — che presenta altre incognite di diverso genere — occorre aspettare ancora il beneplacito del tempo. Ma non si può rischiare di sciupare la vittoria. E giunge ancora una volta, ad incoraggiare, la parola consolatrice del Duce 3 « Niente impazienza e niente fretta. L'importante è di arrivare tutti e bene ed io sono sicuro che questo avverrà ». Il giorno 8 agosto la Squadra s'alza' dalle acque di Shoal Harbour, alle 8, e punta sull'Oceano. Dopo un volo dram- ■ matico, tra temporali e piovaschi fu- ;. riosi, alle 17 vengono avvistate le Az-* zorre. B colonnello Pellegrini con tre squadriglie scende ad Horta mentre il resto della Squadra ammara a Punta Delgada. B giorno dopo gli apparecchi ripartono. Un nuovo colpo del destino ferma qui un altro apparecchio e costa la vita ad un pilota, il tenente Squaglia. La Squadra raggiunge in serata' Lisbona ohe vorrebbe fare un'accoglienza trionfale ai trasvolatori. Ma il lutto ha gettato nell'animo di tutti la tristezza e poi urge ormai la mèta, ultima e più alta, Roma. Il 12 agosto le acque azzurre del Mediterraneo si aprono finalmente davanti alla Squadriglia Atlantica, oltre la rupe fosca di Gibilterra. La giornata è caldissima, la temperatura deln l'aria influisce sui motori e li riscalda,Ma si va innanzi ugualmente, verso lai. mèta trionfale, ormai vicinissima, Ecco le Baleari, che ricordano lei drammatica tappa del primo volo oceanico. Poi, visione dolcissima fr» tutte, il primo lembo della Patria ap- Sare finalmente al vittoriosi: Capa accia, poi l'Asinara e la Maddalena e Caprera. Ormai il Tirreno, mare di casa, si stende davanti all'occhio febbrile dei trasvolatori. Ancora pochi minuti di volo sul mare aperto, poi le squadriglie serrano sotto, preparandosi all'arrivo imminente, prima di puntare la mèta, che già ormai si delinea \aclnissima. Ecco la costa, ecco la foce del Tevere, il Lido di Rama, e più lontano, nella gran luce del tramonto, l'Urbe. I motori riducono i giri, le squadriglie si abbassano, planano. Il primo apparecchio ammara lieve nella cor* rente placida del fiume. Poi gli altri.".. Attorno, il saluto delirante di rutto un popolo. Il gran volo era ormai ter* minato. II giorno dopo l'Urbe tributava il suo saluto trionfale ai trasvolatori dell'Oceano, in una indimenticabile giornata. Poi, ad uno ad uno, isolatamente, gli apparecchi raggiungevano Orbetello, per essere passati in rivista da Sua Maestà il Re. L'impresa era compiuta. B.