Nella desolazione della Pampa argentina

Nella desolazione della Pampa argentina Sull'espresso del Pacifico Nella desolazione della Pampa argentina p (Dal nostro Invlato)- BUENOS AIRES, ottobre, faOra che abbiamo lasciato le Ande, inper un pezzo non vedremo più mon- qui qui m Argentina. Da Mendoza a Buenos Aires la linea ferroviaria corre tutta attraverso la pampa e per un migliaio di chilometri non avremo che pianura, aspra, selvaggia, deserta; un immenso tappeto grigio, stepposo, lungo il quale harno disteso le parallele delle rotaie, diritte da orizzonte a orizzonte, dal muro della Cordigliera alle rive del Rio de la Piata. Il treno del Grand'Ovest Argenino è composto di grosse vetture gialle che sembrano gabbioni da serraglio: doppio vetro e una fitta rete metallica per proteggere i viaggiatori dalla polvere; e una volta, dicono, non bastava neppure trincerarsi così, perchè la polvere entrava lo stesso, penetrava nelle valigie, dentro le scarpe e incipriava persino il corpo fra pelle e camicia. Quando arrivò qualche anno fa il Principe di Galles, la direzione delle ferrovie, che è inglese, rifece a nuovo tutta la massicciata lungo la strada ferrata e ora si viaggia un po' meglio o per lo meno ci s'impolvera meno. II soffio del « pampero » Ad ogni modo, si ha l'Ampressio^ ne di andare attraverso la pampa come attraverso il deserto del Si nai, dal Canale di Suez a Gerusalemme; là soffia il camsìn, qui soffiati pampero, rmledettissimp^vento del sud òhe abtìaùè gli alberi come fuscelli. Una vòlta alla settimana corre su questa linea il treno internazionale che viene dal Cile, ma negli altri giorni anche l'espresso del Pacifico (i Sudamericani ci tengono ai nomi grossi) diventa un comune accelerato che porta alla capitale qualche viticoltore di Mendoza e qualche sperso turista. Un accelerato però compósto soltanto di vetture-letto; chi non va attraverso la pampa a cavallo, col lazo, il pondo e l'ampio sombrero, può sdraiarsi comodamente nel lettuccio della sua cabina e addormentarsi a Mendoza per svegliarsi a Buenos Aires. Tanto, se è del paese, se non ha curiosità romantiche e sentimentali, non ha proprio nulla da vedere: cielo e steppa; paesaggio senza colori, senza linee, senza rilievi; un'immensità piatta e nuda dove a volte anche il cielo si confonde con la terra e si tinge all'infinito di grigioverde. Sono appena le tre del pomeriggio, ma se dfissi retta all'inserviente della vettura-letto dovrei mettermi subito a dormire anch'io. — Creda a me — mi ha detto mentre spolverava accuratamente il sedile di dermoide, con un fagotto di lenzuola e di coperte sotto il braccio — il paesaggio della pampa lo si gode meglio da sdraiato che da seduto. Un'oretta, con l'occhio allo spiraglio del finestrino, poi vien sonno e lei si volta pacificamente dall'altra parte. Passando per il corridoio, mi sono accorto infatti che quasi tutti i miei compagni di viaggio sono in pigiama e in pantòfole; qualcuno ha chiuso tutto e gliene impòrta così poco del panorama della pampa, che ha appiccicato anche un giornale al vetro del finestrino. Nello scompartimento attiguo al mio c'è un tale che litiga ad alta voce, in francese, perchè ha trovato un vélo di pólvere sul- cuscino; ma ora non è più la polvere che lo indigna; lui non sa una parola di spagnolo, ma protesta e si meraviglia perchè il povero inserviente non capisce il suo francese. « La France... la Francete, — dice ogni tanto. — Nous les Frangais!... ». E vorrebbe mettere a posto tutti e spolverare anche il treno della pampa con la France e nous les Frangais. E' un bel tipo di doganiere con una bombetta lucida in testa da monsieur Dupont; litiga anche cól giornalaio (bravi Argentini; ogni treno espresso ha il suo giornalaio) perchè non ha Le Petit Parisien e gli ha offerto invece quel che qui passa il mercato: La Prensa, Caras y Caretas, El Hogar. Ma credete mai possibile, par che dica il suo sguardo corrucciato, che un francese legga di questa roba? Un italiano Il giornalaio mi strizza l'occhio, poi mi si avvicina e mi fa vedére in segreto la sua. tessera del Fascio di Mendoza òhe ha levato fuori da un portafogli gonfio di lettere e di cartoline illustrate. Italiano, italianissimo; non ha fatto fortuna, non ha bistod'AdeincifqubrtubaillidiagscBusaascotequnerepepilechenpevanadubipeticogibodelastectrrocelesimtrgpuvgmtampapvcbcgtil'lamiltiveddcnsdlosFiciletnspdnnsesinlentdlsd fatto, come si dice, l'America, ma insomma se la cava. E' finito anche qui il tempo delle vacche grasse e n i n a bisogna arrangiarsi; i parenti lon toni sognano forse i milioni dello zio d'America e lui invece è qui che vende i giornali, a dieci centavos l'uno, in piena pampa, sul treno del Pacifico. Compero tutto quello che ha; fra quotidiani e riviste ora ho sotto il braccio un paio di chili di carta: tutta la « vita sociale » argentina, banchetti, nozze, ricevimenti, balli, illustrata e commentata nel sonante idioma spagnolo che butta via gli aggettivi a dozzine. Faccio la conoscenza con le più belle fanciulle di Buenos Aires, tutte lindas e predo sas; centinaia di fotografie: occhi assassini, bocche a ciliegia, e tutte così ben pettinate che sembrano nate con l'ondulazione permanente. Ma che cosa avranno mai fatto queste brave ragazze per figurare nelle pagine d'onore di Caras y Caretas e deH'Hogar? Niente; sono fi perchè sono belle; perchè hanno compiuto diciott'anni e hanno invitato le loro amiche a prendere il tè; perchè si sono fidanzate; perchè sono entrate la prima volta in società; perchè sono andate a Rosario a trovare la zia. Con niente si va sul giornale, qui in Argentina; basta che due amiche si abbraccino perchè subito il cronista mondano diffonda per tutto U paese la sensazionale notizia;^ se. poi una ha un bel visetto con gli occhi languidi, eccola lì reginetta della rivista, fra Greta Garbo e Anita Page. Metà popolazione della Repubblica, quando si sveglia la mattina, può leggere il suo nome stampato senza aver fatto nulla di eccezionale. Per questo i giornali hanno venti, trenta, quaranta pagine; il forestiero lì per fi si allarma; cos'è mai successo oggi nel mondo? Come farò a leggere tutto ? Niente paura; quando si è letta la paginetta dei telegrammi, tutto il resto si può saltare; tranne la domenica, perchè allora i giornali vi danno letteratura, arte politica e persino filosofia; a volte un intero trattato, per un mese, La terra del silenzio Aveva ragione l'inserviente della vettura letto; questo è un paesaggio da guardare non dall'alto in basso ma di traverso, in posizione orizzontale. Ricordo che da bambino, nei miei paesi del basso Veneto, tutta pianura anche quella, mi divertivo a sdraiarmi per terra e a contemplare così la linea dell'orizzonte che verso sera mi pareva anche più occesa e piena di rossi baleni. Gli ah beri sparivano, sparivano anche le case e non restava che un gran bagliore che invadeva il verde dei prati e il giallo dei campi; avevo allora l'impressione dell'infinito, come se la terra fuggisse verso l'alto e le immagini navigassero fra le nuvole e il cielo, Così anche la pampa. Siamo partiti da Mendoza da un paio d'ore, il verde dei vigneti è ormai scomparso e abbiamo perduto anche il senso della distanza; come in mare. Quando il treno si ferma davanti alle piccole stazioni, il silenzio è prodigioso nessuno sale, nessuno discende; non si aspetta altro che passi il minuto dell'orario, ma la lancetta dell'oro logia a muro sembra immobile. Il calore vien su dalla terra come se sotto gin, sterpi ardesse il fuoco Fra i binari crescono le gramigne e intortio al pozzo, coltivato chissà con che cura, qualche arbusto verde. Più in là, segnata da una linea di eucalipti, è Z'est ancia; bande di mucche e di cavalli selvaggi inseguono il treno, poi si perdono lontani in una nuvola di polvere. Sono gli unici es seri viventi che sanno godersi la pampa; quél ch'è certo poi è che rendono più degli uomini; un bel giorno, a centinaia, a migliaia, si avviano verso la città, entrano in grandi stabilimenti pieni di macchine e di enormi caldaie e non escono più; escono più tardi delle scatole di carne in conserva e di estratto Liebig, Qualche volta le autorità obbliga no Z'estanciero a costruire un villaggio o a coltivare almeno due o tre ettari di terreno intorno alla stazio ne, ma si dà spesso il caso che l'es tanciero di lì a qualche anno rimanda via gli uomini per rimettere al loro posto mucche, tori e cavalli; siccome qui le bestie hanno bisogno di pochissimi guardiani, il paese in breve ritorna deserto. Fuori delle stazioni continua la campagna arsa, spettinata, sconvol¬ tadfisznegcstofebteBl'tuinIndvlidvlPtvrcsgslussnsr l n a ¬ ta dalle folate del pampero; terra dura, sassosa; terra da vipere e da filo spinato. Il sole è di una luminosità accecante, & cielo è troppo azzurro; si ha l'impressione che qui non esistano stagioni: una perpetua estate, senza piogge e senz'ombra, e giornate senz'alba e senza tramonto, con lunghe notti turchine, piene dì stelle, che cadono improvvise sulle ombre delle mandre in fuga. Una volta... Una volta, quando non c'era la ferrovia, le carovane trainate dai buoi andavano alla ventura per intere settimane per trasportare a Buenos Aires U vino, Z'aguardiente, l'uva passa, la lana e il cuoio. Pattuglie di cavalieri armati correvano innanzi per evitare le sorprese degli Indii e per recare ai compagni la buona nuova quando scoprivano un po' d'ombra o un po' d'acqua. D'improvviso una nuvola bianca appariva all'orizzonte, una nuvola che avanzava impetuosa come il fumo di un incendio. I cavalieri della pattuglia tornavano indietro al galoppo e davano l'allarme : «Los indios ! Los indios ! » Poi si buttavano di sella, cavalli a terra, e tutti gli uomini delia carovana si trinceravano dietro le carrette, dietro le balle della lana e dei cuoi, con le bestie in mezzo e i fucili spianati. In un baleno la nuvola degli aggressori era sopra l'improvvisato accampamento c incominciava la battaglia: fucilate, imprecazioni, urli, gemiti di feriti. Poi tornava il silenzio; gli Indii fuggivano col loro bottino e la carovana riprendevala sua tragica marcia attraverso la pianura infinita, abbandonando alle belve e alle formiche i cadaveri dei compagni caduti. Ora dicono che la pampa è sicura e che gli Indii hanno paura del treno. Ma intanto, proprio nel giornale d'oggi, quello che poco fa mi ha mostrato tanti bei visi di reginette e di fidanzate, leggo che una banda di IndU Mocovies, dopo aver attraversato il rio Pilcomayo nel Chaco, marcia alla volta della Colonia Zapallar rubando cavalli e ammazzando quando capita. Siamo ancora in piena avventura. Ma la cólpa, commenta il giornale, ce l'hanno i Boliviani e i Paraguayani che con la loro maledetta guerra non lasciano tranquille neppure le ultime tribù di Indii del Chaco. E' calata la notte. Il cameriere della vettura ristorante passa lungo il corridoio gridando: « A cenar! A cenar! » ; e par che dia anche lui un allarme. Ci ritroviamo tutti in fila, cól francese litigioso in testa, avviati verso la vettura ristorante da cui viene un odore caldo di cipolla e di soffritto. Davanti alle tavole bianche, davanti alle morbide bistecche argentine, ci dimentichiamo anche della pampa. Dal finestrino non si vede più nulla; il paesaggio è stato ingoiato dalla notte e di vivo nella gran pianura deserta non ci sono che i lumi del nostro treno. Finalmente anche le mucche, anche i cavalli stan chi dopo il gran correre della lunga giornata, dormiranno in pace sdraiati stilla terra nuda. Sosta a La Paz Alla frutta arriviamo in una stazione che, a quanto pare, dev'essere importante; c'è la tettoia, ci sono molte lampade accese, il treno si ferma parecchi minuti. Sul marciapiede passeggiano alcuni giovanotti elegantoni, vestiti di nero, in paglietta, cravattìna a colori e scarpe gialle; bei giovanotti che devono essere bravissimi ballerini di tango. Ci sono anche molti preti, col cappello di paglia e lo spolverino grigio da viaggio, e molte donne che si abbracciano. Alcuni ragazzi straccioni bussano ai finestrini détta vettura ristorante e chiedono del pane; le mamme li aspettano più in là coi figlioli più piccoli in braccio. Un povero diavolo, con una sigaretta in bocca e un'altra dietro l'orecchio, va su e giù pei corridoi e racconta a tutti che deve andare a Buenos Aires in treno merci, ma non ha soldi; se per carità volessero aiutarlo...; avrebbe anche fame. — E quelle sigarette? — gli chiede qualcuno. — Signore, me l'hanno date. Non potevo mica rifiutarle. La stazione si chiama La Paz. Nella sala d'aspetto un grammofono suona un tango pieno di lamenti. Andiamo via, dietro il fischio lungo del treno, e rientriamo nella notte nera. ettore de zuani. crdadedetatemmpidiran gicoràmstsaficpednungpuchpmilsscsctosnatrflqusltmmctsadsqtnvdiu

Persone citate: Anita Page, Dupont, Greta Garbo, Liebig, Mendoza, Petit