Il palazzo delle Esposizioni

Il palazzo delle Esposizioni MEZZO SECOLO DI VITA ARTISTICA Il palazzo delle Esposizioni ROMA, ottobre. Con la cessione fatta dal Governatorato di Roma al Partito Fascista del Palazzo per le Esposizioni di Belle Arti, questo edificio che non fu dei p3ggipri costruiti in quelli anni, chiude definitivamente un mezzo secolo di vita artistica italiana. Era stato inaugurato, molto solennemente, dal Re Umberto e dalla. Regina Margherita, il 21 gennaio del 1883, con una grande Mostra internazionale di pitture e di sculture che doveva iniziare — e in.certo modo iniziò:— una nuova epoca nella nostra storia dell'arte e segnare l'avanzarsi della città .nuova, verso i quartieri della cosi detto Roma Alta. Via Nazionale non era per anco finita essendosi arrestata alla chiesa di San Vitale, su per giù dove l'aveva lasciata l'edilizia intraprendente di quel singolare monsignor De Merode, che negli ultimi anni prima del settanta, aveva sognato Jl rinnovamento di Roma, pensando ad una futura metropoli che avrebbe messo in valore i terreni allora abbandonati dell' Esquilino. E, sicuro del fatto suo, si era accaparrato quante più- vigne e villette e giardini ed orti aveva potuto. Architetto del nuovo palazzo delle Belle Arti era stato il Piacentini — padre dell'attuale-accademico —"il quale, ispirandosi alle architetture prospettiche di fratel Pozzi nella volta di Sant'Ignazio, aveva immaginato un portale troppo grandioso pei là pochezza assai misera d'elle due al) laterali. Il tutto coronato da un grande gruppo allegorico, e da due bassorilievi storici, e da una serie di statue rappresentanti i grandi artisti d'Italia da Giotto.al Canova. Questo per l'estèrno. L'interno comprendeva, una;grande ;scalea monumentale ricordo recente dell'«Opera» parigina ossessionava tutti gli architetti'di quelli anni che creavano scale anche dóve non ce n'era di bisogno — e una serio di enormi saloni rischiarati dall'alto e adattatisslmi alle grandi tele storiche allora dl moda. E in fondo, una immen sa galleria di cristalli, per le esposizioni di scultura e sopra tutto per l'esibizione dei molti monumenti commemorativi-che in quelli albori di vita italiana infierivano su tutte le piazze d'IUlta, Polemiche, duelli, processi Questa solennità artistica, venuta dopo le Mostre nazionali di Torino e dl Napoli, fu un trionfo. Per un momento l'arte parve assumere l'importanza di uria funzione civile. I giornali — quei magri giornali a quattro paginette pieni dl titoli e di interlinee — scuotendo la loro indifferenza per le cose d'arte, arrivarono per fino ad annunciare speciali critiche di arte e a rilevare il nome degli illustri a cui sarebbero state affidate. Vi furono polemiche, duelli e per fino un processo intentato ad un editore troppo intraprendente il quale aveva ideato una specie dl e ufficio vendite » tanto più utile agli artisti che si sarebbero diretti a lui — ammoniva nell'imbonimento — in quanto che si era; accaparrato l'aiuto — la complicità dicevano gli avversari —,del più noti critici e giornalisti d'Italia. Corruzione ed estorsione: le cose finirono in tribunale e critici e artisti ne usciron un po' tutti con le penne strinate. Contemporaneamente alla Mostra si tenne anche il primo congresso degli artisti italiani, il quale, come tutti i congressi, non concluse nulla, ma fu in compenso movimentatissimo perchè doveva decidere se le future esposizioni di arte dovevano essere stabili ó circolanti, se cioè dovevano aver luogo ogni anno a Roma, o invece cambiare, di sede volta per volta onde si accontentassero tutte le Provincie. Naturalmente — dato lo spirito campanilista d'allora — fu quest'ultima tesi che virise e fu un male per tutti. L'arte non se ne avvantaggiò perchè fuori della Capitale, le esposizioni perdevano della loro importanza accentratrice indispensabile in quelli anni di assestamento e Roma, che aveva costruito il nuovo palazzo con questo scopo, si ritrovò ad avere un edificio troppo grande per le miserabili esposizioncelle annuali della vecchia Promotrice che il nuovo titolo dl « Società fra i cultori e amatori di Belle Arti » non era riuscito ad accrescere prestigio. Fu in questo congresso che uno dei'più furibondi artisti romani, più celebre forse sui campi di Cervara e nelle ribotte dèlie osterie popolari che non per i suoi quadri, uscì in un'apostrofe rimasta celebre negli ambienti artistici d'Italia: «Li quattrini so' nostri e ce li volemo magna». Almeno, lui, era sincero, e diceva con bella franchezza plebea pensavano ma cercavano di nascondere sotto le eleganti perifrasi del gergo parlamentare. Una rivelazione: Mkhetti Con tutto ciò, quella prima esposizione .fu veramente l'ultima grande Mostra di quella che si chiamava dai giovani l'Arte ufficiale; con lo stesso disprezzo col quale i giovani di oggi parlano dell'ottocento. Per l'ultima vòltasi videro le grandi tele storiche e so-elali che — a seconda delle tendenze — esaltavano l'idea repubblicana o quel-la monarchica; il sentimento anticleri-cale e le timide aepirazioni verso un socialismo idealista che credeva, con un quadro, risolvere i più ardui problemi del genere umano. Vi furono quadri politici a tinta massonica, quale l'Alessandro VII che implora l'alleanza di Veniste di Cencio Jacovacci, e quadri d'irredentismo polacco, quale l'Alberto di Prussia che presta umile omaggio, al Re Sigismondo di Polonia del Mateiko: vi furono quadri che gettavano l'anatema sui vili seduttori, come il Refughivi peccatontm di Luigi Nono * quadri « che facevano un'interpellanza » sull'abbandono dell'Agro romano, come Dum Romae consulitur morbus imperat dell'allora debuttante Aristide Sartorio. E vi furono anche rivelazio ni, per chi sapeva e voleva vedere, come il tragico Staffato di Giovanni Fattori o l'Impressione di Vento del Segantini, nomi quasi sconosciuti al pubblico romano e sinceramente disprezzati dai pezzi grossi della critica e del governo. Vi fu anche — fra le altre — una rivelazione intorno alla quale si fece un grande scalpore, quella di un giovane abruzzese che si chiamava Francesco Paolo Mlchetti e aveva esposto una grande tela esuberante dl colore e di vita piena di carattere e di movi- mento che si chiamava- « ^iHtampntP l'Esnosizion* del' 1883 graziatamente, i.esposizione^-aei *MO|» lnLora«si<*'-» e. ,BU. pra tutto indirizzata verso nuovi criterid'arte, avrebbe potuto dare frutti magnifici, fu semplicemante un bel fuoco di paglia. Per due o tre anni le * Circolanti », volute dal Congresso, si trasclnarono faticosamente fra Milano e Firenze, fra Torino e Venezia, per poi finire senza lasciare traccia di sé. E «•■palazzo del Piacentini si dovette ac ;contentare di aprire le sue sale alle malinconiche- Mostre dejgli «> Amatori je Cultori», cercando invàno di'darei'una qualche iniezione; di vita^ riunendo riella- stessa -esposizione sua, quella dei moribondi acqùarellisti e quella assai ristretta della società In arte libertas, che si disciolse all'apparire delle Biennali veneziane. Il problema della facciata Ultimamente —■ constile Oppo — si pensò rifare le sale interne del Palazzo per adattarvi la Triennale. Vi si spesero molti denari, ma all'atto pratico si vide che l'edificio non' corrispondeva ai nuovi criteri eoi quali si deve organizzare una Mostra d'arte contemporanea. Ed ecco che oggi, dopo cinquanta anni dl vita, il Palazzo cambia di destinazione. Bisognerà ora pensare a prendere una decisione per la sua facciata, che quella fatta per la Mostra della Rivoluzione fascista è di tela e di cartone e più adatta ad un edificio temporaneo dl esposizione universale, che non a un museo che deve perpetuare una data storica. Nè si può credere che vorranno ripristinare il prospetto placentiniano, troppo stridente con l'ordinamento e l'estetica delle sale interne. H problema non è facile, anche perchè la via Nazionale non si presta, per la sua strettezza, a una facciata troppo colossale; ora a punto per la sua difficoltà è tale da suggerire ima qualche nobile gara ai nuovissimi artisti dell'architettura. DIEGO ANGELI.