Da Domodossola al Sempione

Da Domodossola al Sempione LE FORTE D'ITALIA Da Domodossola al Sempione (Dal nostro Inviato spedale I | iselle, novembre. Sono sceso alla stazione internazionale di Domodossola, di sera, in un'ora di nebbia bucata da una pioggerella infinitesimale. I contorni degli antichi e dei nuovi edifici naufragavano e si confondevano nel velo uniforme e spezzato a fatica dalle lampade accese. Rari i'passanti. Un grammofono, rauco per l'umidità, incitava Mariù a parlare d'aìnore. Gli alberi, commossi, piangevano. Già l'inverno? non ancora: una prova parziale soltanto e, al mattino, la chiarità fresca restituiva l'ottimismo al verde dei monti che ne gioivano senza guardare le enne più alte, già impolverate di neve. All'assalto del passato Allora ho fatto la- conosceìiza della cittadina, girando per vie e viuzze, sostando presso monumenti e ricordi, rivivendo per il contrasto tra il sapore medioevale del centro e la modernità del resto, la storia tormentata dell'Ossola. Goti, Unni, Borgognoni, Franchi, vescovi e signorie, Spagna, Austria, Napoleone turbarono la pace delle sue valli, ne distrussero beni e vite umane : ma non tutti certamente lasciarono un cattivo ricordo. Tant'è vero che, a Domo, nella piazza del mercato, sta murata una lapide che ringrazia Berengario I per avere accordato, con diploma 19 dicembre del 917, « il diritto di aprire in questo comune nel sa,bato di ogni settimana il mercato ». Ringraziamento tanto più carino in quanto sembra che Berengario I non abbia pensato mai a concedere questo privilegio. La riconoscenza cittadina, incarnandosi nel nome d'un re, andava evidentemente all'istituzione del mercato come tale: esso, infatti, rappresentava la principale sorgente di vita, prima che la stazione internazionale aprisse possibilità più vaste. I valligiani vi affluivano da tutta l'Ossola e vi accorrevano i forestieri per contrattare bestiame, formaggio, legname: il commercio locale trattava poi la minutaglia dell'uso comune. Pittoresco doveva essere lo spettacolo, a giudicare dal minimo che ho potuto osservare in un sabato qualunque. Dimenticando i treni che sbuffano, lo strepito delle automobili che insistono per la via libera, riaccomodando i costumi imbastarditi e scoloriti, un poco di fantasia poteva ricostruire il quadro nella semplicità pastorale delle veccliie epoche. Mutata una parte della cornice, la sostanza è rimasta: il montanaro contratta con la stessa pazienza: diffida, esita, controlla, paga a malincuore, incassa verificando anche il soldo, chiude il conto con un bicchiere di vino. A sera, riprende senza fretta la via del ritorno, e, pensando alla sua modesta economia domestica, sfiora senza invidia la strada ferrata dove, chiusi nelle scatole di lusso, passano i ricchi. A casa c'è la polenta, forse qualcosa meglio, il sorriso della famiglia, la preghiera: come tanti anni fa. Vittoria dell'uomo Il fascino della civiltà non modifica ancora le tradizioni: riesce soltanto a strappare ogni tanto qualche figlio robusto, allettandolo lontano con miraggi che tradiscono. Nè c'è che fare. Si può respingere un predicatore e la tentazione derivante dai racconti dei forestieri e dei libri: ma le industrie che si arrampicano fin dove possono alla ricerca di una ricchezza da sfruttare, prima rubano l'operaio alla terra, poi lo ubriacano con il sogno della città. Industrie elettriche, minerarie, siderurgiche chimiche, tessili, forestali, solcano le valli dell'Ossola: perdoniamo loro, per. il gran bene che fanno, anche il lieve scompiglio che portano nei re gni del passato remoto. La cerchia dei monti che avvolge Domodossola adagiata nel pianoro alluvionale della Bogna, a prima vista sembra chiusa e compatta. Invece è generosa di valli e di valichi. Soltanto, a una ventina di chilometri verso nord-ovest, le Alpi Pannine si confondono in un guazzabuglio di cime e non lasciano un passaggio senza sbarrarlo improvvisamente con una parete o uno sperone. La cosa fu senza importanza fino a quando la zona non interessò l'uomo che volle averne ragione: le montagne facessero il loro comodo a destra e a sinistra, padronissime. Lì non era permesso. Cominciò Na poleone, dopo la battaglia di Marengo, a osservare che bisognava met¬ tere a posto la Natura, inquadrarla nei suoi piani e nei suoi capricci. Così una strada, da Milano raggiunse Ginevra attraverso il Sempione. Tremila uomini vi lavorarono per cinque anni e, alla sua perfezione tecnica, i moderni non hanno recato altro miglioramento che l'asfalto, portando un liscio nastro di serenità nelle gole cupe. Ammiriamola: sessanta ponti, terrazze in muratura massiccia, dieci gallerie, una delle quali lunga 182 metri, rappresentano per quei tempi un'opera monumentale. Èssa merita i grandiosi panorami che la salutano a Passo del Sempione (m. 2008,8). Ma le Alpi non sembrano ancora rassegnate •alla violazione subita, e, ogni tanto, complice il lavoro paziente di un filo d'acqua, rovesciano frane di massi per ringhiottire la, strada. Ne ho vista una, caduta la mattina del dieci ottobre, presso la galleria di Paglino: un pietrone colossale aveva l'aria di chiuderne lo sbocco per sempre, mentre il punto di partenza, reso candido dal materiale nuovo, sembrava ridesse. Ma gli operai accorrono, il dominio dell'uomo è ristabilito e i turisti passano come prima, senza nemmeno un brivido. E gli escursionismi cantano: O sacra terra nostra Madre benigna e cara ■ la tua beltà ci mostra, la vita tua c'Impara; guida al tuo amor ci sia, Avanti, avanti, via! A prefazione di una guida trovo citati addirittura due versi di Dante che arrivano all'enfasi: . . . il'dilettoso monte ch'è principio e cagion di tutta gioia. (Inf. I, 77). Breve vita di un villaggio Il villaggio di Balmalonesca a■crebbe qualche cosa da ridire. Sorto dai cantieri per i lavori alla galleria del Sempione, quando credette di poter rimanere per sempre con le sue belle case operaie, la chiesa, la scuola, ricevette lo sfratto dai genti della montagna, a base di tuoni, di brontolìi e temporali: quindi un paio di alluvioni se lo portarono via sino alle fondamenta. . Molti lustri dopo Napoleone, venne qualcuno che giudicò indispensabile alla felicità commerciale di tre nazioni congiungere al più presto e direttamente coi treni la vallata del Rodano con quelle della Diveria e della Toce, collegando Losanna per Arona e Santhià a Torino, per Arona Alessandria Novara a Genova. Tutti furono d'accordo con lui e al Sempione toccò il dispiacere più doloroso della sua vita: si sentì passato da parte a parte con un lento raschiare di buchi e di scoppi. Una specie di solletico durato sei anni, sei mesi, diciassette giorni durante i quali la- montagna perdette la pazienza più volte come ne fa fede una lapide presso la stazione di IseUe, che reca incisi i nomi di cinquantotto morti. « Sotto il passo grave e fatale di una civiltà, frangente le granitiche basi di questa giogaia, vita e italico sangue profusero pionieri oscuri ma fecondi ». La lapide è incastrata nella roccia e dice pure: « Così vollero i compagni suggellato il varco vittorioso ». "Vittoria memorabile. Vi si distinsero óltre gli uomini, macchine esplosiv-i ingegneria. La galleria elicoidale di Varzo, lunga 2965 metri, sembrò il sogno di un pazzo ed anclie la distanza da superare (metri 19.729 tra le due teste delle gallerie di direzioni, diventati poi 19.770) fu giudicata una sfida suggerita dal demonio alla superbia umana per indurla a perdizione. Come sempre, i pavidi ebbero torto ma si consolaro710 aipplaudendo dopo il successo Particolare curioso tra tanti: l'impresa Brandt Brandau e C. assuntrice dei lavori, tra le cause di ritardo giustificato, pose lo sciopero generale allo stesso livello di un'eventuale guerra o di un'epidemia. Grigiore dei passi A 9100 metri dall'imbocco nord passa il confine d'Italia: una porta al buio. Ma non molto più allegra, presso le gole di Gondo che videro U tragico eroismo di Geo Chavez, il primo trasvolatore delle Alpi, è la porta sulla strada. Forse la colpa è dell'ottobre che ha rubato il sole e non lo restituirà per dei mesi: ma la natura sembra impietrita in un grido lacerante. Ecco, le si perdona, guardandola, di essere così cattiva, ogni tanto. Senza fretta, quasi baloccandosi con le pietre che gli frantumano lnsssrirp l'onda, scende il torrente Diveria: non fa chiasso. Anche le piccole cascate che superano le rupi scoscese s'intonano al silenzio d'un autunno senz'alito: U velo d'acqua precipita, rimbalza, si frantuma, diventa nebbia o si spegne in un filo. Occorrerebbe un'aquila che volteggiasse: peccato che non ci pensi. Ritomo a Iselle; e mentre aspetto un trenino (i diretti filano via indifferenti sino 'a Domodossola) mi balocco con le statistiche. Dodici coppie di treni. Cinquecento vagoni di merce ogni giorno. Nei confronti dell'anno scorso l'affluenza- dei viaggiatori verso l'Italia è quadruplicata. Roma, Roma, tutti corroìio a Roma. I treni straordinari, zeppi naturalmente, hanno raggiunto una frequenza inusitata: un giorno della scorsa estate ne occorsero quattro. Poi ci sono le automobili che preferiscono la luce dell'alto massiccio alle sue viscere. La strada ha la sua bella rivincita sul traforo perchè in genere vede passare soltanto i giovani. Soltanto forse no, ma la maggioranza è assoluta. Date uno sguardo, per il controllo, ai vagoni-ristorante... Non v'incontrerete il fresco viso d'una fanciulla. Presso la stazione, un vecchio coltiva il suo orto, rettangolo breve di terreno strappato con pazienza alle pietre.-Non è contento. Ha piantato i cavoli troppo tardi, le rape non hanno corrisposto alle sue cure, belTó-è U prezzemolo ma l'insalata ha freddo: e poi, è inutile, « è terra selvatica» questa... Anche i rari contadini e boscaioli non ne sono entusiasti: ma ne conoscono ogni sentiero, le anfrattuosita, i luoghi, che vengono incontro a chi rischia e il rendimento scarso trova un compenso nel contrabbando con la Svizzera. Non è facile, certo. Le guardie vigilano e non la cedono in pazienza a nessuno. Nè di qua nè di là. Zucchero caffè tabacco saccarina tentano la via per l'Italia senza incomodare il monopolio per il controllo. Verso la Svizzera emigrano, invece, buoi, mucche, capre bestiame in genere. Non è merce questa che si nasconde in una tasca, sperando di farla franca. Bisogna aspettare la notte buia senza prima aver dato sospetto, oppure scegliere qualche pascolo alto: improvvisamente uno, due, tre capi sconfinano. Per ca so, di là, incontrano un altro pastore che li porta via. E il primo sorride soddisfatto. Se potesse ritornare a casa tutto solo, senza nemmeno la pecorella più pìccola, sarebbe felice. ANTONIO ANTONUCCI qcctvbvccLcdsd

Persone citate: Borgognoni, Brandt Brandau, Domo, Geo Chavez, Goti, Paglino, Toce