Un affare sbagliato

Un affare sbagliato FRANCIA E PICCOLA INTESA Un affare sbagliato PARIGI, ottobre. La. stampa al soldo della-Piccola Intasa accusa da qualche mese il governo di Parigi di fare una politica estera il cui risultato è o minaccia di essere quello di separare la Francia dai suoi alleati orientali. Di vero, in tale accusa; c'è soltanto questo: che l'entusiasmo dei francesi per la Triplice slavo-balcanica tende lentamente a impallidire. Non credo di errare dicendo che tale raffreddamento data dal giorno che le sinistre, scoraggiate nelle loro speranze di riconciliazione francotedesca a spese dell'Italia, cominciarono ad accarezzare il progetto di una riconciliazione franco-italiana sia pure a spese della Germania. Quel giorno gli uomini di Parigi ebbero, infatti, la sgradita sorpresa di accorgersi che la Francia non aveva più le mani libere e che per giungere a Rema bisognava ormai ottenere il permesso di Praga, di Belgrado e di Bucarest. Se qualcuno a Parigi credette mai sul serio che la Piccola Intesa, come fu scritto milioni di volte, fosse nient'altro che una macchina di guerra contro il Reich, la gestazione laboriosa del Patto di Roma ha avuto modo di aprirgli gli occhi anche più del bisogno. L'accanimento posto dai « fedeli alleati » nel combattere la nascita di questo strumento diplomatico che doveva permettere al governo francese di riacquistare, almeno sino a un certo punto, la propria libertà d'azione nei riguardi dell'Italia ha provato anche ai più ciechi come lo spirito della muova costellazione politica fosse in realtà almeno tanto antiitaliano ■quanto antigermanico. In Italia nessuno ne aveva mai dubitato: ma i francesi sono generalmente così male,informati in fatto di realtà internazionali, che non è da stupire se per molti di loro la constatazione fu davvero una sorpresa. Il frutto di quasi tre lustri di laboriosa politica orientale della Francia è che oggi il problema franco-italiano non finisce più alla sistemazione dei rapporti diretti fra i due paesi ma involge un altro problema, ancora più .complicato: quello dei rapporti fra l'Italia e te. Piccola Intesa. Chi semina vento raccoglie tempesta. Il Quai d'Orsay ha creduto, fra il 1919 e il 1932, di fare opera 'geniale creando e sostenendo nel l'Oriente meridionale d'Europa un gruppo di stati incaricato di paralizzare la libertà di movimenti dell'Italia. Lo scopo non è stato raggiunto egualmente, giacché, lungi dal lasciarsi paralizzare, l'Italia si è rifatta dei muscoli, anzi ha trovato nella sciagurata politica di Parigi un incentivo di più a lottare per la propria rinascita: ma i fastidi procurati al nostro paese sono stati, comunque, abbastanza considerevoli per determinare fra noi e gli stati del vicino Oriènte, che av ebbero potuto essere i nostri migliori amici, una latente ostilità cronica. Ora è a . (mesta ostilità che si urta la Francia nel momento in cui vorrebbe capovolgere la propria politica italiana per scongiurare la paventata formazione di un eventuale blocco italogermanico. E' più facile assoldare dei mercenari che non mandarli a casa. Finché si trattava di fare della Serbia uno stato due volte più grande del naturale, qualche statistica, truccata e un certo numero di miliardi potevano bastare: fatto questo stato, a tenerlo in riga, a moderarlo, a indirizzarlo in un sen30 piuttosto che nell'altro né le statistiche né i miliardi bastano più. La Piccola Intesa ha iniziata la propria esistenza storica nella qualità di «docile strumento» della politica e degli interessi francesi : ma, col volgere degli anni, tale condizione subordinata doveva fatalmente lasciarsi a sua volta subordinare dal cristallizzarsi degli interessi locali, dal formarsi in quelle giovani capitali di una coscienza indipendente, che non è detto dovesse in tutto e sempre trovarsi d'accordo con la coscienza e con gli interessi francesi. Prime delusioni sofferte dalla Francia, le delusioni di partito. Parigi aveva sognato, nel 1919, di stendere dal Baltico all'Egeo una catena di repubbliche modellate sulla repubblica francese ossia-ligie all'ideale parlamentare, democratico, laico. In pratica, il liberalismo ottocentesco non piacque a quei popoli, che pure uscivano da una lunga soggezione, e di lì a poco la conversione ai regimi di autorità si fece quasi generale, dalla Polonia alla Jugoslavia, creando per la Repubblica dei Diritti dell'Uomo un primo caso di coscienza tutt'altro che indifferente: il rimorso di aver dato i natali a una intera falange di negatori e di detrattori dei-propri istituti e dei propri principi fondamentali. La storia di queste delusioni non è ancora stata scritta: anzi la verità mi obbliga a dire che gli scrittori francesi hanno sin qui fatto del loro meglio perchè l'attenzione dei loro connazionali non avesse mai a sen .tirsi attirata dai casi interni, della Polonia, della Lituania, della Cecoslovacchia, della Jugoslavia, della Romania. Ma raggi di luce cominciano, finalmente, a filtrare, ad opera d! osservatori niù spregiudicati degli inviati succiali della grande stampa parigina; e un libro recente merita por tale rispetto la più ampia menzione: quello testé dato alle stampe presso l'editore Berger da un antico corrispondente del Temps (Henri Poszi, La guerre revient, Paris, 1933) che dei casi dell'Europa centrale ebbe occasione di informarsi durante le missioni compiutevi per incarico di vari giornali francesi ma che poco aveva potuto sin qui stampare di esplicito sull'argomento senza uv correre nella censura dei rispettivi direttori, tutti qual più qual meno di connivenza — et pour cause — coi governi presi di mira dalle sue critiche. In trecentocinquanta fitte pagine, il Pozzi, oriundo córso, traccia con dovizia di documentazione e stringente dialettica il quadro completo delle sorprese sgradevoli che un francese liberale, sagace, prudente e dotato di buon senso trova oggi ad attenderlo ai crocevia dell'ambizioso sistema politico francese. La Piccola Intesa non doveva for: se, nefpensìero degli stipulatori dei trattati di pace, realizzare la giustizia nel raggruppamento delle nazionalità danubiane? Orbene: su qua¬ raposcagcoquduruVivceanmaIndati dinucinliocemtrnodidugrchsé10mgequ11 nèzadescil mfidiunseree avstunvigalesibiunmuflelebiriSmAsiis« suredetotetaptaesrendinSdsfrmcmpmqlàtcticladilfdscdmscvdsmrsfvttsfrcnnmdlieSCtdsuFlndfipepFlpdptrjcbmnapcbvgstaflaBPtp antacinque milioni d'uomini che la opolano, venti almeno, riconosce lo crittorej sono in realtà stranieri gli stati di cui fanno parte. La Ceoslovacchia si è annessa quasi uattro milioni di tedesco-magiari e ue milioni e mézzo di slovacchi e uteni, formando uno stato dove non vono meno del cinquantacinque ner ento di allogeni. La Romania si è nnessa quasi tre milioni di tedescoagiari e circa tre milioni di russi. n quanto alla Serbia, se è passata a sette a quindici milioni di abitan fu grazie all'incameramento di più i otto milioni di non-serbi, nel cui umero figurano croati e sloveni per nque milioni, magiari per un mione e duecentoquaranta mila e maedoni per oltre un milione e mezzo. Il vizio costituzionale dell'antica monarchia austro-ungarica, che i rattati di Saint-Germain, di Tria: on e di Neuilly si erano proposti i correggere per sempre, e stato, unque, non solo ereditato ma agravato dagli stati successori. Altro he diritto dei popoli a disporre di é! Quando, per esempio; si stipulò 0 scandaloso trattato di Saint-Germain, che Wilson impose dietro sugerimento del colonnello House, il uale'pigliava l'imbeccata da Steed, quale obbediva a Masaryk e a Beès, i quali non facevano nulla sena confidarsi con Tardieu, il presiente della Conferenza degli Ambaciatori, Millerand, nel trasmetterne tèsto al governo ungherese, il 6 maggio 1920, vi unì una lettera ufciale di proprio pugno, nella quale ichiarava testualmente « che se na inchiesta fatta sui luoghi avese rivelata là necessità di modificae le frontiere fissate dal Trattato se le Commissioni competenti vessero constatato che il Trattato tesso era incorso in ingiustizie su n punto qualsiasi, l'Ungheria ai'ebbe potuto appellarsene alla Lega delle Nazioni ». « Le Potenze aleate ed associate, aggiungeva il Preidente della Conferenza, hanno stailito che la Lega delle Nazioni, se na delle parti interessate glielo domanda, potrà offrire i propri buoni ffici per ottenere in via amichevoe quelle rettifiche di frontiere che e Commissioni ritenessero desideraili ». E' questo il fondamento giuidico del revisionismo ungherese. enonchè, alla stessa data del 6 maggio 1920 la Conferenza degli Ambasciatori inviava alle Commisioni per le frontiere anche delle struzioni segrete, ingiungendo loro di non lasciarsi fuorviare da nesuna considerazione atta a implicae la menoma rettifica nel tracciato elle frontiere qual'era stato fissao nel Trattato di Trianon » ! La letera Millerand era dunque una fina destinata semplicemente a strapare all'Ungheria la firma del tratato?... H certo, in ogni caso, è che ssa rimase lettera morta. .Identico destino è toccato alle gaenzie concesse dai trattati alle minoranze entrate a far parte di stati di nazionalità diversa. Nel Banato, n Transilvania, dovunque si sono Serpctrati illegalismi, e, a giudizio elio stesso Pozzi, è la Serbia che detiene il primato dell'illegalità, L'importanza di queste dolorose scoperte, nei riguardi dell'interesse francese, è che alle infrazioni commesse dai giovani stati dell'Europa centro-orientale contro gli «immortali principi » della Repubblica protettrice corrisponde una grave menomazione del contributo che quest'ultima può attendersene per à difesa della propria politica coninentale. Indipendentemente dalle complicazioni che gli interessi particolari della Piccola Intesa possono cagionare al governo di Parigi nela prosecuzione di un dato disegno diplomatico, quale potrebbe essere l riavvicinamento all'Italia, sta di fatto che il carattere preoccupante delle loro vicende interne diminuisce così la loro efficienza generale come la loro aderenza alle necessità di una politica che non sia strettamente locale. « La terribile delusione che durante l'ultima guerra ci venne dal lato della Russia, scrive il Pozzi, oggi ci minaccia dal lato della Jugoslavia 2. L'esercito .iugoslavo, pietra angolare della forza militare della Piccola Intesa, è una rispettabile macchina di guerra, e sotto questo riguardo i miliardi francesi non sono stati spesi invano: ma fino a qual punto può ritenersi escluso il pericolo degli antagonismi nazionali che covano nel suo seno? Nel settembre 1915 Jofre dove rinunziare all' offensiva he stava per sferrare perchè i serbi non poterono concentrare sul Danubio le divisioni impegnate nel mantenimento dell'ordine in Macedonia. « In caso di guerra cpn l'Itaia, dice Trumbich al Pozzi, croati e sloveni si batterebbero per la Serbia con la stessa convinzione Con cui nel 1914 gli alsaziani si battevano per la Germania ». Perfino il presupposto francese dell'indefettibile amicizia jugoslava subisce, nel libro del Pozzi, un colpo inatteso. « Il bluff della Francia seconda patria intellettuae e morale degli Jugoslavi, scrive, non resiste a ventiauattr'ore di indagine personale ». Gli ambienti ufficiali, afflitti da una ignoranza superiore a qualsiasi immaginazione e interamente composti di elementi panserbi, non sono avvinti alla Francia ss non dall'interesse, come o erano gli ambienti ufficiali russi prima del 1914. « In realtà, il credito del nostro paese a Belgrado riposa unicamente sui profitti militari, politici e soprattutto finanziari che esso procura ai governanti jugoslavi. Da un pezzo gli uomini che menano la Jugoslavia ci avrebbero piantati, se potessero fare a meno di noi. Le sfere governative non ci possono soffrire. Quello che abbiamo fatto e continuiamo a fare per loro è zero, a paragone di quello che non abbiamo fatto: il panserbismo ha dimenticati i servigi ricevuti, per non ricorc'^rsi se non degli ostacoli da noi frapposti alle sue folli esigenze ». Disinganno supremo, dopo aver tanto fatto per sborrare i Balcani all'influenza italiana, ecco questo francese intelligente scoprire che la penisola è viceversa interamente aperta all'influenza tedesca : « A Belgrado trovi tedeschi dovunque. Per via, non senti parlare se non tedesco. Nei ministeri non c'è impiegato che non sappia il tedesco. lapoganaminPosta sodistmbeRlopefrsecisadilcoulechpfolaarennRdiina segLHreinmec2 tifapsletetpsdctcctsmdnl'pqcdrrrLlepdddznr«gdspfvlicfdatmqcdcpnntdtgsCraliqpinlencrBqrpslpoeacvdgtpccqtvfipmc i r a i : i , o i ò l , Lo stesso in provincia. Grazie alle famose prestazioni in natura, il paese è stato inondato di commessi viaggiatori, appaltanti, tecnici tedeschi, merce tedesca. Il denaro prestato dalla Francia serve non di rado a ordinare forniture militari in Germania. In Romania, dove l'antisemitismo ha reso Hitler popolare, la gioventù comincia a organizzarsi sotto la guida di nazionalsocialisti tedeschi »... Legando le mani all'Italia, Parigi ha lavorato, insomma, pour le Eoi de Prussel Potevano ì disegni ambiziosi degli strateghi del Quai d'Orsay far capo a risultato più paradossale? Non soltanto, la Piccola Intesa minaccia di venir meno alla sua pretesa destinazione di blocco antigermanico, ma eccola improvvisarsi, sul più bello, veicolo dell'espansione del Reich, strumento, inconscio o volontario, del drang nach Osten... Di fronte a tale stupefacente scoperta, era inevitabile che l'opinione francese finisse, un bel giorno, col sentirsi assalita da atroci dubbi circa la bontà dell'affare concluso sacrificando l'amicizia dell'Italia, della quale oggi torna a misurare il valore, agli interessi della pericolosa costellazione orientale di cui uno dei suoi più onesti giornalisti le fa il ritratto poco lusinghiero che abbiamo visto. In questa incipiente crisi di coscienza politica è forse in germe, per fortuna di tutti, la revisione di un quindicennio di attività diplomatica internazionale, revisione dalla quale dipende l'avvenire della pace nell'Oriente meridionale d'Europa. CONCETTO,, PETTINATO.

Persone citate: Berger, Henri Poszi, Hitler, Pettinato, Pozzi, Steed, Tardieu