NARRATORI

NARRATORINARRATORI Antonio Prestinenza: Primaveia borghese - Elio Talarico : Via dell'Arancio , n o i o e e i , i a1 e : o , , e a si e le atmosfere aspre e grige, e i frequenti tratti di cruda cronaca, questo romanzo di Antonio Prcstinenza: Primavera borghese (Studio Editoriale Moderno), che rivela, soave effusione, ima specie di stato di grazia sentimentale, un radicale, affettuoso ottimi, smo. Anche l'onestà e il moralismo, cesi evidenti, e spesso preoccupati, si convertono, per quella tendenza alla dolcezza e mansuetudine, in commozione; e la commozione poi, non di rado, muta il personaggio convenzionale, la figurina minuziosamente, veristicamente ritratta, in patetico fantasma. L'autore ci appare sollecito e affezionato, intento alla sorte della sua gente; sarebbe il primo a dolersi se proprio le creature della sua immaginazione avessero tutte, e in tutto, a finir male. Burrasche, si sa, e anche tristissime, drammi soffocanti investono la vita; ma poi fa vita è buona,, e un posticino sia pure modesto, e un po' malinconico, deve ben riservarlo ai migliori; non fosse altro, alla protagonista, alla cara fanciulla che vediamo, fin dalle prime pagine del romanzo, sbocciare e accrescersi con tanta delicatezza e autonomia di carattere. Ma la pietà, l'indulgenza vanno anche oltre; perdonano e accolgono i meno degni, li riscattano, in un'idea e soa ! stanza di pace e di rassegnazione cui - »w" "£^0SV^?« °,?SÌ S" la fine del libro la vittima e il suo per- - aecutor° sia pur blando, abulico per- ! * * . ".«•.- Vi secutore, quella che corse il rischio di Assai tenero e gentile, pur tra i ca-1 v. ¬ irne tca i. o a, ope la ili i, ni. n e o e. o ea nea aa n eove un o nè n nrnil lla. a. a. ila te re a. nso llo si do cnnri rtnctmcalamsocsdGuPmcQvBczlprtcvdcnptsqqcccqdcDcflidsgcmtnbsottdcpdrdscsdnitssadsfptbqsscfssgavcgedncttplcdstcsgvocldperdere ogni luce di fede e carità d'amore, e quegli che contribuì a spinger, la a così mal partito, si trovano a godere insieme dello stesso compenso a tanto male, della stessa attenuata, accorata, ma sicura dolcezza di esistere, famigliare e amorosa. Spesso la vita è fatta veramente così, ma sono cose che un romanziere si elabora anche un po' a modo suo; ed è proprio que sto candore che conferisce al libro del Prestinenza una sua grazia garbata, Non si pensi tuttavia a un racconto zuccheroso e fiabesco; questo anzi aspira ad essere un vero romanzo, di osservazione e d'avventura, realistico e fantasioso, ispirato a concreti concetti dell'arte narrativa. V'è un ambiente, uno sfondo di paese, personag gi, fatti, sviluppi psicologici, e la riconoscibile volontà di mettere in piedi tutta la materia, di renderla organica e vivente. V'è di più; v'è il nobile tentativo di attrarre nel cerchio della narrazione quello svolgersi e dichia rarsl di eventi — dalla fine della Guerra al Fascismo — che già sono storia; e se non sempre tutta a fuoco è l'evocazione dei fatti della Rivoluzione, e se la figura di Mussolini è appena segnata con timida commozione — ma la commossa cronaca non è ancora rapimento di fantasia, rapimento e fatalità solo degni e adeguati all'argomento —; pure i frequenti scorci già danno un'idea di quello che potrebbe essere — lievito spirituale, comprensione, determinazione di stile, formatrice fecondità psicologica — l'ingresso della grande realtà dei tempi nell'arte e nella poesia. Il Prestinenza è riuscito, pertanto, più d'una volta, a esprimere l'inquietudine, il malessere morale, l'incertezza, cui, nel tragico dopoguerra, die dero esca e incremento l'oscurarsi delle coscienze, la confusione e mortificazione della vita; e, con delicata invenzione romanzesca, ha fatto centro di quelle acerbe esperienze, ove la patita indigenza s'allea a un vago, e pur tenacemente perseguito, presentimento di prossima redenzione e felicità, ima fanciulla pensosa e sensibile. Maria diviene giovinetta e donna, sviluppando, nel naturale sorgere degli anni, dall'infanzia all'adolescenza alla maturità, germi di insofferenza socia'3, e, diciamo, pure, politica, di irrequietezza, di mal represso ardore ed entusiasmo che trovano segrete rispondenze nel divenire sentimentale e amoroso del suo carattere; è l'ambiente, ' è l'ora grigia e cattiva ad aguzzare il suo temperamento, a sospingerlo verso le decisive affermazioni dell'esistenza. Maria reagisce a ciò che si vede d'attorno, mossa da un sentimento, da un'ispirazione profonda: un suo giovane fratello è morto in guerra, ed ella nell'ingenuo e generoso cuore, s'è fatta un culto dell'eroe, e confrontando il ricordo di lui, la grandezza di quella virtù e di quel sacrificio al male presente, alla meschiniItà di tanti, di troppi uomini, trae dalI la. memoria e dal sogno, attiva, aniimosa forza d'attesa. L'intimo rivelarsi della vita non va disgiunto in lei dall'ideale ansietà delle nobili cose che la vita rendono bella, pura, degna. E' un fervore, una dolorosa ebbrezza chelgsi manifesta ed esalta nelle più impre-|mvedibili e discordi occasioni: gelosie, smarrimenti, capricci, piccole menzogne, estasi fugaci. E qui è la grazia dell'invenzione. Maria ha scoperto certe caste lettere che l'innamorata del fratello gli inviava, lettere di fedeltà e devozione; e la sua fantasia lavora, il suo cuore cerca: poter ritrovare quella creatura, quella fanciulla ormai legata all'alta sorte del suo povero morto. Fantasia, sogni: un giorno crede di riconoscerla — ne possiede una sbiadita fotografia — per strada, nel giardino pubblico; ed ecco, questa leggendaria Teresa inizia involontariamente, per sequenza di immaginarie trasposizioni sentimentali, inizia la sorellina fedele, piccolo essere sensibile e acceso, all'idea dell'amore, della passione, del tempo, e della caducità del tempo e dell'amore. Si potrebbe seguire oltre questo svolgersi, attuato o intravisto e accennato appena, della personalità di Maria sui motivi allusivi e intenzionali del romanzo; basti rilevarne la graziosa gentilezza. Già è stato da altri osservato che l'ambiente, il momento, la cronaca e la storia non determinano, forse, e condizionano il tumulto via via avventuroso e poi placato di questa femminilità in proporzioni sufficienti o sufficentemente collegate e persuasive, per un romanzo che vuol essere descrittivo di un'età, di un costume, di un divenire storico e sociale; o, almeno, si è sottolineata la difficoltà di far ingranare le due esperienze, individuale e collettiva, sentimentale e cìvica, in un tenero cuore di donna. Ma insomma il tentativo è curioso e intelligente, e spesso schiarito da felici intuizioni. E' ad ogni modo questa figurina di Maria il meglio del romanzo, che è costruito si, ma con troppo evidente meccanismo: troppo spesso si vede lo scheletro, ossia la struttura letteraria di capitoli, episodi, situazioni. Vi sono durezze, legnosità, diseguaglianze e anche trascuraggtni; mnprileoladnmz«snldald v'è un fare tra ingenuo e rozzo, tra pue- rile e inesperto, che non solo impedisce troppo spesso l'autentica trasfigurazione del racconto, ma giunge anche — come nelle scene di mondanità e galanteria — a effetti stonatissimi e lievemente grotteschi. L'immaturità stilistica, il convenzionalismo, le mal sicure approssimazioni non soffocano tuttavia la malinconica tenerezza che già nominammo: caratteristico fiore di questa nuvolosa e sorridente,'desolata e ottimistica primavera borghese. Poesia o documento? Arte o oronaca? Convien scegliere. Elio Talarico ha scritto un volumetto di novelle: Via dell'Arancio (Le Edizioni d'Italia), e Ghelardini, l'editore, lo ha collocato In una collezione di Documenti. Perchè? Perchè, dice, questi « potrebbero chiamarsi — quasi — « racconti di cronaca nera ». Che significa quel « quasi »? Quasi oronaca, o, ahimè, quasi arte ? Evidentemente si tratta di un equivoco. Bontempelli subito dopo — in una specie di pref azioncella epistolare Indirizzata al Ghelardini stesso — rivendica la distinzione tra realismo zollano o post-zoliano e realismo magico, ossia realismo trasfiguratore, ossia, per intenderci, arte e fantasia. Che la tranche de vie, « il documento umano », vecchie trovate, non abbiano a che vedere con l'arte del novellare, con il racconto come poesia, è risaputo: e rimane pertanto assodato che, ove non ai parli per assurdo e ironia, 1 « documenti » possono servire egregiamente la scienza, la critica, la cronaca, ma, in quanto all'arte, tutt'al più rientrano In quel caos, ineffabile e insindacabile, di cose, conoscenze, sensazioni, moralità, che precede, e non determina, l'atto creatore, l'atto poetico. Ma sono poi, questi racconti del Talarico, così tendenzialmente obbiettivi, cosi cronistlci, come l'editore presume e afferma? Della cronaca nera hanno questo sicuramente: che si riferiscono tutti a fattacci e tipacci poco raccomandabili, anzi sciaguratissimi e odiosi; gente di malaffare, donne svergognate, assassini, padri inumani, azioni vergognose; ognuno può immaginare come, con quell'idea o fissazione del documento, l'umanità sia qui accuratamente selezionata, ma a rovescio, in senso negativo, osceno e delittuoso. O non basta questo a compromettere piuttosto da vicino quella certa pretesa di obbiettività e imparzialità? Che la ta sia fatta tutta cosi, obbiettivamente cosi, non lo crede, non lo può Credere oggi nessuno; neppure il Talarico che dichiara, infatti, in poche righe di premessa all'opera, il suo «bisogno dolce e tenero di ricostruzione e di serenità... che nel mondo c'è del buono, del limpido e del felice, per poco che si volga lo sguardo intorno»; e chiede che gli « si perdoni questa volta, a cuor sincero, la triste visione delle umane debolezze, qui rese evidenti a fin di bene ». Ma lasciamo andare; e vediamo invece che succede quando l'arte, o il tentativo dell'arte, interviene e opera sui presunti documenti. Diremo allora che il temperamento, 1« stile dello scrittore, si rivelano tra i più accesi, barocchi e paradossali. Altro che documento! l'espressione è qui, quasi sempre forzata verso cose misteriose, fantastiche, arcane; verso l'arguzia impressionistica, l'aggettivazione acrobatica, la bizzarria verbale. V'è un gusto ben riconoscibile per le situazioni inquietanti o che appaiono tali, per le presentazioni di casi e personaggi che sconfinano in atmosfere dubbie, equivoche, sorprendenti. Le parole grosse, la finta liricità minacciano, ad ogni pie so. spinto, la pagina. E' qui che si definisce « scena impossibile » una scena che già si sta svolgendo; è qui che ima amante focosa è detta « una elettricità vivente e brutale »; ed ecco il mondo che si frantuma ai piedi di un personaggio « come fragile giocattolo di vetro »; e l'automobile che «si capofisse nel buio della notte»; e un tale che « annegava nella sua voluttà, come un ubriaco che cada dentro il greto del fiume e beva tutta la poca acqua per inerzia spirituale»; ecco la stanza angusta — una prigione — che « s'arrotonda e si srotola in una piramide asfissiante, in un carcere tetro », e i « lineamenti arrotondati e teneri, piegati simmetricamente su due labbra esangui e ben disegnate» di un volto di fanciulla, e 11 bimbo che nasce « con strilli perfettamente assurdi », e il taxi « frettoloso e pieno di giudizio»; ecco tutta una ricerca avventatissima e paradossale di supposta originalità. Dice un personaggio a un certo punto: «mi parve che tutta quella tragedia vivente fosse uscita da me, dalla mia fantasia tenebrosa e mali- , n i e elgna». Ed è anche ciò che, dal più al -|meno, si può dire dell'obbiettività docu- a l à e i o a l a a i i a mentaria del Talarico: in quanto al genere, alla qualità della fantasia, essaci pare, in quest'opera, pessimistica e curiosamente artificiosa, compiaciuta nelle teatrali, arbitrarie caratterizzazioni, e un po' frivola. Racconti dunque che oscillano tra il realismo e il funambolismo: eccessi ambedue, violenze fatte alla realtà e alla poesia. Tipico caso di doppia contaminazione e forzatura — non solo dell'umano con il realistico, ma del realistico con l'immaginoso —; errore di prospettiva e di rappresentazione, proprio di chi cerchi nell'arte la sorpresa più che la persuasione. Ricordiamo, tuttavia, una di queste novelle « Morte di Rébora » per certi nuclei di sensazione torbidi e dolorosi, espressi non senza sagace concretezza, e un'abilità di fattura, che si ritrova un po' dappertutto. E da un vivace ingegno, aggiungiamo volentieri, che, superando la sua « prima maniera », tende — e lo dichiara — a nuovo stile, non c'è poi che da sperar bene. P. BERNARDELLI

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