Organizzare la produzioneper secondare il consumo

Organizzare la produzioneper secondare il consumo La campagna vinicola Organizzare la produzioneper secondare il consumo ALESSANDRIA, ottobre. Rispetto all'anteguerra, la produzione vinicola nazionale è in regresso: 46 milioni di HI. nel periodo 1909-13; poco più di 41 milioni di HI. nel periodo 1928-32 (nel corrispondente intervallo altri paesi l'hanno invece aumentata: la Francia da 50 a 55 milioni di HI., la Spagna da 13 a 20, l'Algeria da 8 a 10), ma più accentuata della flessione nel volume della produzione è stata in Italia la'contrazione della capacità di consumo. Al contrario della Francia, che è costretta a giovarsi largamente dell'importazione per integrare la sua produzione, l'Italia possiede tanta e varia ricchezza di vini, da appagare il gusto della più vasta clientela di consumatori e da restringere, conseguentemente, ad un'entità trascurabile il nostro movimento d'im portazione : vini bianchi secchi da pesce e vini rossi da pasto, leggeri e talora gradevolmente frizzanti; grandi vini da arrosto, cui gli anni conferiscono delicato profumo; vini più o meno dolci, variamente aromatici e delicati o robusti ed alcoolici, secchi anche, talvolta, che nel bicchiere danno i riflessi dell'oro o della morbida ambra, e, dopo questi, i vari tipi di spumanti dolci, mezzo secchi, secchi ed extra secchi, ed il delizioso Asti Spumante, che è, fra i vini spumanti, quello tipicamente italiano. Orbene, il consumo all'interno di questa produzione — che è fra le più svariate ed elette — è degradato decisamente e progressivamente dal 1913 in poi, riducendosi da 130 litri all'anno per abitante — quota media dell'anteguerra — a 104 litri nel 1925, a 98 litri nel 1929, a 85 litri durante l'ultimo triennio. H fenomeno, a dir vero, non è esclusivo dell'Italia, che il consumo del vino è scemato in tutti i paesi (dal 1925 al 1931 è sceso in Francia da 163 a 139 litri per abitante, in Spagna da 86 a 80, in Portogallo da 68 a 67, in Grecia da 27 a 20, in Argentina da 62 a 54, in Belgio da 7 a 5), ma ha una particolare rilevanza da noi, sia in rapporto alle condizioni generali nostre, sia in rapporto al fatto che la nostra produzione vinicola è stata assorbita sempre, per il 95 per cento, dal consumo ali interno. Il consumo ed i proni Tutti sanno che il consumo medio unitario del vino non può essere considerato isolatamente, ma va messo in rapporto con il consumo medio delle altre bevande alcooliche: orbene, se si considera che in Francia ai 163 litri di un tempo ed ai 139 attuali, si aggiungono 47 litri di sidro, .25 di birra e quasi 3 litri di liquori per abitante, mentre in Italia la quota vino va maggiorata soltanto di 3 litri di birra e di un litro e mezzo di liquori per abitante, si può facilmente dedurre (è il fatto che le medie non consentono di discernere l'uso dall'abuso del vino, perchè il riferimento all'intera popolazione, comprensiva di un gran numero di non consumatori, le abbassa notevolmente, non è suscettibile di spostare le deduzioni) che ne la salute nè la temperanza del nostro popolo — anche a prescindere dagli argomenti che in favore di questa tesi vanno prospettando i medici enofili -— sarebbero minacciate e compromesse da un più elevato consumo del vino. Ma un altro fatto colpisce nell'esame del fenomeno': la riduzione della capacità di consumo all'interno si è accentuata e consolidata in un ciclo d'anni coincidente con il precipitare delle quotazioni economiche del prodotto. I prezzi dei vini — è noto — variano secondo le regioni e secondo i tipi, poiché il diverso luogo di produzione e la diversa qualità rendono imperfetta la concorrenza, ma la depressione del mercato si è estesa, nell'ultimo triennio, a tutti i tipi di vini. Una media generale dei prezzi ha scarso valore rappresentativo; tuttavia le variazioni del prezzo medio — che l'Istituto di Statistica ha ricavato dall'elaborazione delle quotazioni riguardanti diciannove tipi di vini da pasto — giovano ad indicare le tendenze dominanti nel tempo. H prezzo medio che era di 150 lire all'Hl. nel 1919 e superò le 200 lire nel 1922, per mantenersi sulle 170 lire nel periodo intermedio, è caduto a 112 lire nel 1929, a 92 nel '30, a 66 nel '31, a 55 nel '32. Messo in rapporto con la media prebellica, il numero indice che si ricava dai valori espressi nei dati relativi alle ultime campagne, appare considerevolmente inferiore al numero indice del livello medio generale dei prezzi per l'eguale periodo. Tutto questo, per un teorico, potrebbe forse significare che la domanda nazionale si è adattata alla restrizione dell'offerta, senza sensibile reazione, ma, nella pratica, la situazione espressa dalle cifre e dagli indici mette in risalto il più sostanziale aspetto di quella « crisi vinicola » della quale si parla, con varia finalità, anche fuori della cerchia dei viticultori. Senonchè il processo determinativo della « crisi vinicola > non è tutto racchiuso nella attualità di questo dissidio: consumo diminuito e prezzi calanti. Questo non è che il lato più appariscente, quello che i viticultori colgono ed indicano con amara stupefazione; sorpresi per il suo manifestarsi; {«concertati per il suo protrarsi. Alta radici, il fenomeno ha origini che astraggono dal campo economico wer riguardare quello della produzione, della lavorazione e del commercio. La via da percorrere Nel campo dei vini da pasto quello che il consumatore desidera è, con la sostanziale genuinità del prodotto, la nettezza e la costanza del tipo. Orbene, alla costanza dei tipi non giova certo l'eccessivo frazionamento della produzione, caratteristico delle nostre zone viticole. Molto spesso il piccolo proprietario — abilissimo ed attento nella coltivazione della vite — è di un'abilità limitata nella produzione e nella lavorazione del vino: pur di sponendo ogni anno di un prodotto- litàla stabevdeiprimemele timeglcumala deenzioranoglivace covacapiùneciodisriegnsi mamnoreSutofrrittaindupaa eslizzizilizduLsc« stpi(AtezoStoinli fonecotivegrcuciriatScozisisticsenmctiauepndpmcsscSsdvcscupzndncdtsdtzepcodmm-e-—r—x tj».,™__t-"..„_:^usi« uva che è lievemente variabile, soloin rapporto ali andamento stagiona- to, egli ottiene vini di larga vanabi- tà e che, per difetto di tecnica nela lavorazione, uniscono all'incotanza del tipo, scarsa o dubbia serevolezza. Incapace nella più parte ei casi di vinificare, il piccolo prorietario è anche incapace di commerciare utilmente e tempestivamente il suo prodotto: incalzato dale necessità di realizzo o pervaso da imori sull'andamento dei prezzi, gli non sa attendere il momento in ui il mercato potrà ritenersi normalizzato e, coll'intensificazione dela offerta, genera una depressione elle quotazioni. La realtà che i viticultori vanno nunciando — la grande organizzaione vinicola ricava prezzi rimuneatori, mentre il piccolo produttore on ricava da compensare le spese e li investimenti di capitale — ha un alore assiomatico, che balza in lue di evidenza ove si considerino le ondizioni in cui operano rispettivamente la grande industria e la ategoria dei piccoli produttori. Una iù razionale e salda organizzazione della produzione e del commerio: ecco la via da percorrere per isperdere, ad un tempo, il disoientamento e la diffidenza, che regnano fra i consumatori diradantei ed ottenere ai nostri vini quelle maggiori e meritate fortune sui mercati interni ed esteri che valgano a far raggiungere ed a mantenee prezzi equamente rimuneratori. Su questa via sono avviati i viticulori della provincia di Alessandria, ra i quali, col diffondersi dello spirito associativo, è appunto penetraa la persuasione che la lavorazione n sociale delle uve destinate a produrre vino comune, consente la preparazione di forti masse di prodotti a tipo costante, atte a soddisfare le esigenze del grande commercio e reaizza, nello stesso tempo, con l'adozione di procedimenti tecnici perfezionati e attraverso la razionale utiizzazione dei sottoprodotti, una riduzione del costo di trasformazione. L'opera delle «Cantine Sociali» Sotto l'egida della Federazione Fascista degli Agricoltori, quattordici « Cantine sociali » sono sorte in questi ultimi tempi nelle plaghe più tipicamente vinicole della provincia (Asti, Castell'Alfero, Calosso, Montegrosso, Canelli, Ovada, Mombaruzzo, Serralunga di Crea, S. Giorgio, S. Salvatore, Lu Monferrato, Pecetto, Valenza e Tortona) e l'unità di indirizzo tecnico-economico alle quali l'esercizio di ognuna di esse si informa, costituisce la base e la ragione del successo che l'iniziativa ha incontrato fra la massa degli associati e la folla dei consumatori. Là dove sono sorte, le Cantine sociali raggruppano la maggioranza dei viticultori della plaga i cui confini coincidono coi limiti, diciamo così, giurisdizionali dell'ente, nè, per ora, la attrezzatura attuale delle Cantine Sotrebbe consentire un allargamento ella cerchia degli associati con un conseguente elevamento della produzione. Ma se un voto ha da esprimersi, è che l'appartenenza alla cantina sociale, là dove esiste, del piccolo viticultare sia resa obbligatoria, cosicché — orientata la produzione verso la creazione di forti organismi enologici, bene attrezzati tecnicamente e solidamente finanziati — il compito del piccolo proprietario viticultore sia generalmente ristretto a quello di fornire il prodotto per la ulteriore lavorazione. In tal modo si eliminerebbero quelle disparità di tipi che ai verificano fra la produzione di una stessa plaga, e che discendono sia pure soltanto da una imperfetta o irrazionale vinificazione, ma 'che si riverberano sul mercato con conseguenze svariate, perchè riuscendo moleste al consumatore finiscono col tradursi in un'incisione sul consumo. Al sorgere delle Cantine sociali lo Stato non ha negato il suo interessamento. Nella finalità di favorire il diffondersi di questi enti cooperativl,„ha stabilito anzi l'erogazione di contributi a fondo perduto per la costituzione delle Cantine sociali. Oggi che l'iniziativa è realizzata ed opera utilmente ed efficacemente nel campo della produzione, altre provvidenze si rendono necessarie: il disciplinamento dei rapporti fra enti di produzione ed enti di consumo, coordi; namento che è conforme ai principii corporativi da applicarsi nel campo delle forze produttrici. Per i viticultori un tale assetto sembra indispensabile per il superamento della cosidetta crisi vinicola; per i consumatori, significando garanzia di produzione « genuina, costante e tipica » ed abolizione del mediatorato, che pesa sui prezzi di vendita con percentuali esorbitanti, l'armonico coordinamento dell'attività dei due tipi di enti, potrà rappresentare l'elemento più valido per non farli disamorare dal vino. FRANCESCO ARGENTA. pebaPfeFdeveordeSnGtotaalCsinleiluBfaptadPtararigpinIfrsrbaldblagnnnudvvpl

Persone citate: Calosso, Canelli