Sguardo dall'alto alle Aiguilles di Chamonix

Sguardo dall'alto alle Aiguilles di Chamonix SOSTA AL COLLE PEL GIGANTE Sguardo dall'alto alle Aiguilles di Chamonix La stagione delle «grandi corse» è finita « L'eterno richiamo di queste belle mon= agne » Prodezze di giovani italiani « Breve intervista con l'«asso» di Chamonix —-{Dai nostro Inviato) L Rifugio Torino, settembre. Giunti un poco sotto al Colle del Gigante, dove l'erta del ghiacciaio si •pitica, quasi tutti i passeggeri fanno ali: c'è allora chi tira fuori l'immagine dantesca di quei che, scampato dal periglio, si volge e guata; noi, più prosaici, estraemmo dal sacco alcune pere che addentammo avidamente. Dopo di che, ci piacque guardare da ogni parte: di fronte ci aspettava l'incavatura dolce della ghiacciata montagna per dove saremmo scesi in Italia; a sinistra il Dente, altissimo e isolato, dominante da gran signore al sommo del Colle; a destra, il sole — già declinando da dietro il Mont Blanc de Tacul — feriva obliquo le AiguiUes du Didble traendone bagliori rossastri. Volgendoci indietro, rivedemmo i luoghi che -avevamo costeggiato qualche ora prima: le celeberrime AiguiUes di Chamonix, che adesso erano già lontane, e più basse di noi sembravano ripiegare sotto il peso di tutti quei ■pinnacoli che hanno sul dorso e sulla testa. A guardarle dal Colle parevano davvero delle cose trascurabili, così minute e sottili frammezzo a quei colossi che . stanno maestosi e superbi come tanti monarchi assoluti ammantati di ertissime rupi e di abbaglianti ghiacciai. Ma forse il mìo era un inganno: perchè le ornare del crepuscolo già sorgevano da tutti i meandri della Mer de Olacc, accorrevano dalle valli lontane e profonde, si ammassavano alla biforcazione dei 'Moulins dove il torrente che scompare nel crepaccio romba come un motore da aeroplano, e poco alla volta inghiottivano le AiguiUes colmandone gli abissi fra cresta e cresta, appiattendone gli slanci formidabili verso il cielo trascolorante, concettandone l'ardita architettura. La notte fra poco avrebbe steso il suo manto vellutato sulla terra e sui ghiacci; chissà se al Montanvers, al n/ugio del Réquin, al bivacco-fisso detta Tour Rouge c' è qualcuno che domattina, avanti che le tenebre siano diradate, muoverà verso qualcuna di quelle vette approfittando di questo settembre così miracolosamente clemente. . Farse t la stagione delle grandes courses è finita; non è più tempo che cordate eccezionali sormontino in una giornata tre o quattro cime famose; bisogna accontentarsi di queste, più brevi e a minor altezza, che nullameno richiedono sempre una decina d'ore per essere portate a compimento. I meno azzardosi si contenteranno delle « vie classiche » al Réquin, al Grépon, agli Charmoz aperte dai pionieri agli albori dell'alpinismo sportivo; i più bravi, quelli che al pari dei loro compagni operanti su altri lontanissimi monti preferiscono le rare emozioni scaturenti dalla lotta contro eccezionali difficoltà, s'ingaggeranno neUe vie che portano i nomi iUustri di Knu"bel, di Lochmatter, di Dibona, di Lépiney, dì Charlet. Anche qui, come altrove, è vivo il sentimento sportivo che anima buotoa parte 'dei giovani; s'intende che v'è tuttora chi preferisce le ascensioni su ghiaccio (che talvolta è neve) e affetta disdegno per queste rocce nude e scabre che obbligano a una ben curiosa ginnastica, ma l'esempio del grande Mummery che, pel primo, valorizzò questo mondo d'ignorata bellezza ha fruttato nel tempo! Non c'è alpinista che senta completo e totale il richiamo delle altezze, che non venga anche da lontani paesi a far conoscenza con le evanescenti fessure, le lisce placche, le aeree crestine di questo ammasso caotico e tormentato che si prolunga in una costiera di parecchi chilometri, intersecata da dieci ghiacciai, e che per trecento itinerari di salita su cui è passato HI fiore dell'alpinismo internazionale, porta a trenta vette dai nomi più pittoreschi e più strambi: c'è il Dente del Pescecane e quello del Coccodrillo; la Guglia del Pazzo e queUa del Pettine; ti Pan di Zucchero e il Corno del Camoscio; il repulsivo Caimano o l'accogliente Gran Gendarme; le appuntite Forbici e il piatto Becco dett'Uocéllo; il Colle dell'umile Pellegrino e quello deUe superbe Due 'Aquile... . Sono torri e cùspidi dai fianchi terribilmente Usci, pei quali soltanto lungo gii spigoli laterali appariscono le fratture indispensabili aUe mani ed ai ginocchi dei salitori; tra le une e le altre profonde inseUature o brèches radunano i punti di partenza o d'arrivo per discese o salite per altri versanti; nei canali luccicano i fondi ghiacciati per cui ogni tanto la neve scorre come un fiume lento e polveroso, oppure rimbalzano, fischiando, le pietre cadute dall'alto; mille .moiri sotto gli appicchi del granito squadrato così nettamente che mai l'uomo vi passerà perchè l'assicurazione col chiodo è impossibile, sfuggono i ghiacciai che portano anch'essi nomi curiosi: del Wanttilons, d'Envers de Blaitière e d'Envers du Pian, dei Pélerins, la \Vallée Bianche. La Mer de Giace defc>a apparire 'da lassù come una larga strada bianca, deserta e desolata. la roccia All'appuntamento dato su queste "bette montagne, gli Italiani non sono 'mancati, sebbene in quantità ridotti»; da .quelli che accompagnati da Armand mlLcpndmpfsa o Inviato) guide valdostane vennero avanti la guerra, ai più numerosi che, dopo la bufera, cui cominciarono a portare il segno del nuovo spirito animatore della nostra gioventù: il ventenne Gaetano Polvara che compie la prima traversata senza guide del Grépon, Gianni Alberimi che si cimenta, e riesce, sulla parete orientale detta stessa guglia, percorren- done la terminale fessura Knubel con la sicurezza e l'eleganza dei più esperti rochassiera. Tanti altri nomi potrei aggiungere, di nostri alpinisti che qui vennero, da soli, a ricercare la via mett'intrico delie placche e dei canalini; se ho citato questi soltanto è perchè sonio stati li primi frutti di 'quello specialissima periodo dell'immediato dopoguerra, quando nelVàllora deserta palestra della Grigna lombarda alcuni giovanissimi studenti s'avvezzavano aUa nobile fatica dell'arrampicamento. Fecero bene ad uscire all'aperto, venendo qui a respirare un'olir'aria; credo stavolta d'aver indovinato anch'io, perchè è proprio vero \che viaggiando s'impara, e chi vuol apprendere ha da muoversi, e «hi non vuol saperne stia pure a casa sua. 'M'avevano detto: — NeUe Occidentali adoperano soltanto scarponi. Nei negozi di Chamonix vidi, invece, scarpette da roccia. Qui le chiamano espacfcriUes, e ci sono anche di quelli che aUe suole di corda preferiscono le suole di gomma-para per la roccia asciutta, proprio come fanno i triestini »in Val Rosandra. Le pedule col feltro sotto — quel manchon che sulle Dolomiti aiuta a compiere miracoli — le chiamano yraliennes, ma arrivano da Grenoble e costano esageratamente. — Con le scarpe chiodate si può andare sulle « vie » normali del Grépon, degli Charmoz, dell'Aìguitte du Piane, de Blaitière. altrove — è stao risposto alle mìe domande. — E non solo perchè per arrivare agli attacchi delle rocce si deve fare lungo cammino sul ghiacciaia, ma perhè i chiodi mordono bene sul granito e gli appoggi sono abbastanza arghi per piazzarvi se non tutto almeno buona parte del piede. — E ver le « vie » molto difficUil — Allora entrano in giuoco le spadrilles. Gli scarponi vengono messi nel sacco, assieme atta piccoza smontabile, e il sacco affidato ai ompagni, perchè U capocordata dev'essere libero e leggero nei suoi movimenti. Mi mostrano., una fotografia: saita a una dette AiguiUes du Diable. L'uomo è a cavalcioni dello spigolo, o serra fra le sue gambe e le-bracia, deve fare uno sforzo tremendo per guadagnare altezza così. A meno d'un metro da lui, uno stretto diedro, quasi una fessura, 'porta ala stessa méta: perchè non salgono i lì con la tecnica dolomitica da camino, oppure « atta Dùlfer » ? Scuotono il capo : — Ci cono bene dei Tedeschi ohe rovano u salire così, ma scivolano. Qui più della souplesse ci vuole dela forza, molta forza. Che le condizioni in cui si evolono le arrampiaate su pura roccia iano enormemente diverse fra le Alpi Occidentali e le Dolomiti è un atto risaputo; ognuna delle due pecialità possiede la sua tecnica, i uoi particolari, i suoi campioni — osì opposti che un accostamento non sarà mai possibile. Lasciamo perdere i confronti, e rivolgiamoci a Charlet. Parla Armano Charlet Di Charlet ce ne son tanti nella valle di Chamonix; è una secolare dinastia di guide che vanta tìtoli di alpinistica nobiltà; uno Charlet — quétto che pel primo salì direttamente il Petit Dru dotta Charpoua — sposò una ricca inglese, e da alora aggiunse al suo cognome quello della consorte: . Charlet-Stratton. Questaltro è Armand Charlet, •excampione militare di sci, indubbiamente la guida più in vista di tutta Diable la zona. I miei amici torinesi me ne avevano parlato con entusiasmo, dicendomi di alcune sue straordinarie performances. Chi v'è che non abbia sentito detta salita al Monte Bianco per la cresta del Peutcreyl E' un'ascensione di gran classe, che impone sempre uno e talvolta due bivacchi tant'è lunga, e che ha voluto anche, recentemente, le sue vittime. Ebbene, Armand Charlet pernotta alla Capanna Gamba, parte con la sua carovana e, una volta dopo sedici ore, la seconda dopo sedici ore e mezza, arriva alla Vallot! Ha compiuto la prima traversata invernale del Grépon pel passo C. P., in undici ore, nonostante la neve fresca, il freddo intenso, il vento fortissimo. La sua velocità è fantastica — direbbe un cronista sportivo; la sua abilità, il suo coraggio, il suo « senso détta montagna » trovano pochi confronti. Statura alta, taglia snella, biondastro, profilo tagliente, proprietà di linguaggio quando si esprime. Ha trentatre anni. Ogni sua frase è una lezione di alpinismo... teorico. Mi dicono che quando è in azione, aggrappato atte rocce e brandendo la picca, è una delizia ammirarlo. — Quali sono state le vostre scalate più difficili? — gli ho chiesto. — Su percorso misto di ghiaccio e di roccia il versante Ovest, o del Nant Blanc, dell' AiguiUe Verte. Le condizioni della montagna erano pessime. Bivaccammo sotto il Petit Dru. Ci mettemmo venti ore per arrivare sulla vetta. Senza dubbio è questa la mia ascensione la plus dure et la plus belle. — E su roccia sola? — La traversata delle AiguiUes du Diable. Sono cinque punte a quattromila metri, di cui una, la Mediana, rappresenta l'ascensione più lunga e più difficile del complesso, e l'Isolata offre un passaggio eccezionalmente delicato. Sportivi anche qui Sì, questo particolare della durata e detta complessità delle ascensioni è da tener presente quando si vogliono valutare le difficoltà dell'alpinismo delle Occidentali; lo stesso Charlet è stato esplicito: — Secondo me, per giungere a una classificazione dette scalate bisogna tener conto non solo dette difficoltà opposte da uno o più passaggi, ma anche détta lunghezza di essa e dell'insieme di « tutte » le difficoltà ohe si incontrano, vale a dire: marcia d'avvicinamento dette ore notturne; ghiacciaio e crepaccio terminale (rimaye) in cattive condizioni; esposizione: altitudine; comodo oppur no rifugio nétte vicinanze. Come si vede, il giudizio di Charlet è in parte diverso o*a quello degli « orientalisti » pei quali la difficoltà d'un'ascensione ha da valutarsi uni camente in base atte difficoltà presentate dotta roccia a partirti dall'attacco fino alla vetta. Comunque, il pensiero dell'autorevole guida su questo importante dettaglio tecnico, sul quale tanto si disputa non sólo in Italia, concorda con gli stessi « orientalisti » nel ritenero che la lunghezza è elemento principale da considerare nétta valutazione d'una scalata: giudizio tanto più necessario ora che col diffondersi per vie non ufficiali detta conoscenza détta « scala dette difficoltà » ci sono degli entusiasti volonterosi che brevi, scalate non raggiungenti i cento metri osano classificarle nel 6.0 grado! Al pari delle guide svizzere e valdostane, quelle di Chamonix ben di rado vanno nétte Dolomiti ove, non conoscendo l'ambiente, si limitano a compiere scalate ordinarie. Giù, mi dissero che Alfred Couttet c'era stato l'anno scorso; ma non potei parargli perchè era sulla montagna. Charlet, lui, non le conosce, e non ha potuto dirmi niente. Io poi pensai che queste comparazioni poco hafino d'interessante e che non vale la pena di rompercisi la testa; quello che conta è la superiorità dell'azione sulla contemplazione, il naturale plus-valore degli uomini fattivi, che azzardano — ma che riescono, sugli altri pei quali la ricerca e la conquista dell''«estremamente difficile » r mbarbarimento dell'alpinismo. Come se fosse un obbligo percorre re sempre le strade degli anziani! Al gronda'Mummery ed ai suoi degnis simi epigoni spetta il merito eccezio naie dì aver spalancato le porte del più meraviglioso regno di avventure n questo angolo del sovrano Monte Bianco disdegnato dagli alpinisti classici; al Maestro vada la riconoscenza dei posteri beneficati e, come gli piaceva portar sempre nel sacco qualche veneranda bottiglia, forse negli alti rifugi, al ritorno da una desiderata vittoria, più d'una vòlta qualche audace rochassier avrà alzato il bicchiere atta memoria del pioniere che seppe interpretare, coi fatti, l'anelito della gioventù sportiva verso la nuova forma d'alpinismo. Peccato ch'io non possa fare altrettanto, stasera: e non soltanto perche io non tono che un modesto viandante per questa strada ghiacciata che m'ha portato quassù, ma perchè dall'elenco dei prezzi esposto dal buon Bareux all'ospitale Rifugio ho appreso che il vino è lusso non consentirle atte possibilità del mio ormai stremenzito borsellino... VITTORIO VARALE. nnavrcplpsItasmcdtiapgBlecèslapnostpts6pdlrqdcasfnzpnlindcdsasgv«lhtvTcmedsrsvvdfsmtdlIznpgsvnspddprlmcspbnncqctaspAmgmrsecsnlsssq«bpzprclltoVpèdpvlvrivarcodslvsns Armand Charlet sulla «Isolata» delle AiguiUes du Diable

Luoghi citati: Italia, Torino