La principessa della notte profumata

La principessa della notte profumata La principessa della notte profumata a i i i o e n e o CAPRI, settembre. H grande avvenimento ci tenne in orgasmo per due o tre settimane. Cerio ci aveva proprio assicurato che della covata, se 11 cimurro non 11 ammazzava tutt'e tre, la gattina era per noi. Una gattina siamese, che è tutto dire. E l'orgasmo aumentava come passavano i giorni: bisognava provvedere a un mezzo di trasporto adatto, bisognava installare in casa tutto l'occorrente, La razza siamese di Cerio è celebre; tutte le ville di Capri sono decorate da due piccole tigri con gli occhi di madreperla — è quasi la firma che Cerio mette alle sue ville quando le ha finite: nelle grandi finestre, nelle logge a dolci archi egli imprigiona un brano di mondo, qualcuno dei più bei brani di questo mondo, ed al momento di consegnare la villa, vi lascia dentro due gatti siamesi. Chi sa che diabolica intenzione nasconde l'angelico Cerio sotto questo atto pieno di gentilezza, e di un senso un poco decadente della bellezza? Ad ogni modo, ricevere il dono era un grande privilegio, un fatto raro, poiché prima non ci si era fatto costruire la villa. Finalmente una sera arrivò un bi gliettino: «Domani potete andare £ prendere la gattina; non è morta ma ha molta tosse. Si chiama Rapadravalahala Samà, che vuol dire Principessa della Notte Profumata; è figlia del Principe del Piume Rosso Tramonto e della Principessa Goccia d'Argento e Oro Ramato — i nomi precisi sono scritti in qualche posto che non ricordo; se li volete ve li troverò ». Si andò a letto ripetendo Rapadravalahala Samà, colla speranza che all'indomani si sarebbe saputo a memoria il nome della Principessa. Ma nessuno venne a capo del terribile scioglilingua. L'indomani mattina si andò ad Anacapri, ed Eva ci accolse con un certo sospetto. I gatti li allevava lei, e non le piaceva che andassero in mano di sconosciuti i quali non possedevano neanche una villa per alloggiarli. Con brutta maniera ci chiese se volevamo Cicillo o Maruzza. — L'ingegnere ci ha scritto che era per noi Radapra... Radravapa... — L'ingegnere scherza sempre. Volete il maschio o la femmina? Cosi la Principessa della Notte Profumata, intesa Maruzza, ci venne messa fra le mani. Aspetto e temperamento Era l'animale meno principesco che si potesse immaginare; una specie di gattuccio stento, color rosa sporco, con una coda lunga e magra tutta nera, la testa nera, le zampe nere, ed un occhio di un magnifico color madreperla carico, azzurrino, fra il bianco ed il celeste, lucido, smaltato. Un occhio solo, quell'altro era chiuso e incatarrato; ed ogni tanto uno sternuto fragorosissimo scoppiava dal nasetto tondo e nero del piccolo animale. — Morire, non muore, ma bella non è — conchiuse Eva. — Cicillo è ancor peggio. Pelici che Maruzza fosse meglio, ce la prendemmo in'collo,'-* ci 'avviammo fra le case di Caprile. Quegli sternuti periodici e quell'occhio guercio ci avevano un poco indisposti. Ma, principi 0 plebei, i gatti sanno vivere. Maruzza si trovò un posto comodissimo sul nostro braccio, s'era fatta un nido nella piegatura del gomito, ed era andata a ficcare il naso sotto l'ascella. Là dormiva starnutendo, cercando nel caldo del nostro corpo un poco di sollievo contro il suo raffreddore cronico, perrettamente indifferente alla strada ed alle orrende avventure che avrebbero spaventato qualunque altro gatto. Ma 1 siamesi sono un razza a parte: la conoscevamo da un quarto d'ora, e Maruzza era già felice di vivere vicino a noi; pareva che Iddio avesse fatto l'uomo con un'ascella cava, tonda e calda, perchè le principesse siamesi vi potessero nascondere la loro testa quando avevano voglia di dormire. Non era bella Maruzza; ma il suo modo di fare era veramente imponente. Si capiva già che mai, in nessun caso, le si sarebbe potuto dire di no. Cosi Maruzza scese dall'autobus di Anacapri ed entrò nella nostra vita. Vi entrò da padrona, ma con molta semplicità. Facendo sempre i propri comodi, ma colla dignità Ìnsita nella sua razza principesca. Se qualcosa non andava secondo i suol gusti, gridava forte, senza però perdere la calma. Nessuno avrebbe osato dire che miagolava: i suoi erano autentici gridi, fermi e convinti, pieni di una formidabile forza morale. Cosi strepitava se era in ritardo la colazione o se non trovava aperti gli sportelli dell'armadio dove le piaceva dormire; strepitava se non si era pronti a prenderla in collo, quando si degnava di venire a farci una visita, o se, nelle serate fredde di autunno, saltava sul focolare e lo trovava spento. Ma sopra tutto strillava se si osava ribellarsi alla sua legge fondamentale, che era quella di dormire sotto le nostre coperte, bene inciambellata addosso a noi, fra la spalla ed il collo. La Principessa non perdeva mai quella calma, quella serenità di spirito che sono alle origini di ogni dignità veramente insita nella persona. Il suo era uno strillo sereno, nato da una volontà che nessuno sarebbe riescito a piegare. E non perdette il suo carattere composto e indifferente ad ogni critica, neanche quando, la primavera che segui, avvennero nella sua vita alcuni fatti straordinari, che portarono alla completa trasformazione della sua pel Uccia, furono seguiti dalla guarigione di quel terribile raffreddore (e gli ocelli di madreperla di Maruzza divennero due, spalancati sul mondo con una freddezza di giudizio che impressionava) e la persuasero che tutto nel mondo è vano, se a dividere la nostra vita non è destinato un solenne e focoso Principe dal nome pittoresco. Il segreto svelato Divenne magnifica, Maruzza, al principio del secondo anno della sua vita: tutta d'un color fumo, che degradava senza trapassi dal nerissimo del musetto al bruno della schiena, al rosa tenero e delicato del petto e del ventre; in quel nero, gli occhioni non parevano veri, cosi stranamente chiari e lucidi; ma lucentezza e chiarezza erano ancora accresciute dal freddissimo spirito con cui Maruzza guardava le cose della vita. Finalmente scoprimmo il suo segreto; anche il segreto di quello strillo con cui reclamava ciò che le era dovuto. Essa era veramente al di là del bene e del male. Ignorava le passioni, ignorava i'desideri, ignorava la paura, Era passato quel tempo in cui, veden* dò Maruzza sul punto di fare un malanno, ci mettevamo a fare: «Ca, osi * ed a pestare i piedi per terra, come se ci mettessimo a rincorrerla. Questa manovra, che ha sempre fatto scappare tutti i gatti europei, lasciava Maruzza indifferente: alzava il naso, e guardava senza troppa curiosità che cosa sarebbe seguito a quel curioso *• sordio di musica e danza. E vedendoci interdetti davanti alla sua calma, voltava la testa dall'altra parte, annoiata che i nostri spettacoli durassero cosi brevemente e non arrivassero a nessuna conclusione degna di nota. Era passato anche il tempo in cui et eravamo provati a misurarle qualche scappellotto: Maruzza aveva ima meravigliosa freddezza di nervi, grazie alla quale seguiva senza battere ciglio la traiettoria della nostra mano, dall'alto dai cieli, fino vicino alla sua te» sta. Non si spostava di mezzo centi-' metro. In breve dovemmo riconoscere che a Maruzza il dolore era sconosciuto. Arrivati a questo punto, bisogna confessare che alla nostra Maruzza ci lego una specie di cieca venerazione. Riconoscemmo finalmente in lei l'animale sacro. Vedemmo la Principessa Goccia d'Argento e Oro Ramato, e sua madre, e la madre di sua madre, su su per secoli di generazioni gattesche, aggirarsi nei cortili del templil della loro patria lontana, bestioline consacrate a chi sa quale incarnazione del Budda, rispettate ccn superstizione e con amore da sacerdoti e da pellegrini. Da migliala d'anni nessuno aveva osato far male alla dinastia dei principi gatti; e ciò che nessuna religione è mai riesoita a creare nel cuore dell'uomo, nel cuore del gatto era fiorito come un miracolo degli antichi tempi dell'Eden; i gatti non sapevano più che fosa fosse il male; la vita per loro era un grande cortile circondato d'archi e colonne, invaso dal sole, dove si -viveva sempre sicuri di sè. Quell'Intangibilità che avrebbe un Dio se domani scendesse ad aggirarsi sulle vie del mondo, una tradizione di cinquanta secoli aveva educato in questi animali unici sotto il cielo, i principeschi gatti del. Siam. Da quel giorno non osammo più chiamare Maruzza la nostra bestiola. Con venerazione le rivolgemmo sempre il suo giusto appellativo: « Altezza... ». Peccato solo che venissero le tempestose notti di primavera, i-lontani echi delle notti d'autunno, a turbare il sangue ed il cuore di Sua Altezza. Quel suol spasimi d'amore ci ricordavano che, in fine, essa non era altro che una creatura di questa terra. Ma proprio allora la ammiravamo di più, che una vera creatura della terra avesse potuto raggiungere una serenità cosi vicino agli dei, una serenità che mai nessun uomo ha sognato di possedere. ALBERTO SPA1NI

Persone citate: Cerio, Samà

Luoghi citati: Anacapri, Capri, Caprile