Roma e l'assedio di Vienna

Roma e l'assedio di Vienna Duecentocinquant'annì fa Roma e l'assedio di Vienna Duecentocinquanta anni fa, regnava sulla Cattedra di Pietro, Innocenzo XI di casa Odescalehi. Eri un uomo rude, religioso ed austero: duro per sè e per gli altri. Non amava il lusso e la pompa e non arricchiva i suoi parenti. Voeva un'amministrazione rigida e non tollerava abusi. Nel rilasciamento dei costumi -—■ che già cominciava a manifestarsi — intraprese una campagna severissima. Il clero volle riformato secondo uno schema già da lui proposto quand'era cardinale. Non tollerò la moda delle donne che giudicava sfrontatissima e per reprimerla emanò decreti su decreti i quali — come è di consuetudine — rimasero senza effetto perchè non si trasforma una foggia di vestiario nè s'impone la lunghezza dì una gonna. Poiché non riusciva a che e donne non andassero in giro con le braccia ignude e gli abiti scollati, ordinò che fesse loro vietato l'ingresso nelle chiese qualora si presentassero con quelle vesti. Ma a giudicare da quanto avvenne poi, non ottenne gran che e le donne continuarono a portare abiti scollati e braccia ignude anche contro gli editti della chiesa. Abbiamo visto anche noi che, in ogni epoca, è sempre accaduto cesi. Pontefice riformatore dunque e così parco nel concedere privilegi ed esenzioni, che si alienò gran parte del popolo romano il quale alludendo alla severità con la quale egli trattava il nipote, soleva dire, parlando dì un qualunque individuo contro cui si accaniva la sorte « Ha la fortuna di Livio Odescalchi ». Del resto — sia. detto di passaggio — se una parte dei pasquinanti se la prendeva col papa per la sua avarizia, la maggioranza lo ammirava e — pur brontolando contro le sue innovazioni e i suoi balzelli — lo paragonava ad un altro Sisto V. Ma anche questo non era vero, che molti tratti lo distinguevano dal suo precursore marchigiano, tratti che non è qui il caso di specificare ma che tornano tutti ad onore del Lombardo. Economìe economie I romani brontolarono contro le sue innovazioni e i suoi balzelli — ho detto — e certo molti abusi egli dovette abolire di cui usufruivano i titolari di certi appariscenti incarichi pontifici, anche quei clienti che vivevano più o meno a spese loro. Ma Innocenzo XI fu un abilissimo e rigidissimo finanziere, che per aumentare con giustizia le tasse doveva prima di tutto far capire al popolo che il suo denaro era ben amministrato e non serviva a spese puramente voluttuarie o ad arricchire individui più o meno — ma assai spesso meno che più — meritori. Di qui l'abolizione d'ogni sua spesa personale, e riduzione fino all'inverosimile della sua corte e proibizione di sollazzi a spese dell'erario e taglio implacabile agli stipendi coi quali si rimuneravano uffici che sotto di lui furono trasformati in titoli unicamente onorari e rinuncia nd ogni costruzione nuova e ad ogni .-.ccenatismo artistico si che sotto il regno di Innocenzo XI poco si edificò a Roma e poco anche si restaurarono o si abbellirono quelli edifici che già esistevano. Al principio del 1683 l'avanzo di bilancio che egli aveva potuto tesaurizzare ammontava — secondo la relazione del Landò ambasciatore della Serenissima — a cinque milioni di fiorini d'oro. Era, per l'epoca, una somma enorme che Innocenzo XI aveva accumulato in previsione della guerra contro i Turchi. Previsione che doveva avverarsi e perchè si avverasse il papa aveva così tenacemente e cosi appassionatamente lavorato. Fu l'ultima crociata: ma questa volta non si trattava di liberare « il gran sepolcro » ma di difondersi, che Maometto IV — o per essere più precisi — il suo gran Vizir Kara Mustafà, minacciavano l'occidente cristiano. Grande paura e grande discordia dei principi in Europa: solo tenace, ostinato, immutabile, papa Odescalehi, il solo sovrano occidentale che l musulmani temessero e avessero in considerazione. Gli altri indecisi e qualcuno apertamente ostile, come Luigi XIV che non solo non voleva prender parte alla guerra ma ostacolava in ogni modo la costituzione di una lega antiturca. La guerra contro i Turchi Le trattative per un accordo fra principi cristiani per una guerra con tro la Turchia fu la grande impresa politica del pontificato di Innocenzo XI che — bisogna ripeterlo — era molto ben informato delle condizioni dell'Impero ottomano e sapeva con certezza quanto fosse propizio il momento per una definitiva riscossa. Suo informatore era stato un modesto cappuccino — Fra Paolo da Lagni — il quale avendo dimorato lungamente in Turchia ne conosceva molto bene l'organismo politico e le sue potenzialità militari. Costui, fin dal 1778 aveva presentato al Papa quattro relazioni che si conservano ancora nell'archivio Vaticano e che sono un mirabile esempio di precisione, di acutezza e di diplomazia. « La mezzaluna •" calante » afferma l'umile monaco italiano: troppo vasto il suo impero per provvederne alla di fesa se attaccato su più punti; cattivo il governo e tirannico si che aveva scontentato molte fra le popolazioni cui l'antica probità musulmana era stata di garanzia, corrotta l'amministrazione sì che i Pascià e i Cadi ad altro non pensavano che a far denaro; grandemente diminuita la popolazione ridotta oramai ai nove Pnelopdecimi di quella pri-raitiva; in piena decadenza l'armamen-to militare, la marina ridotta a pochegalere, abbandonate e cadenti le for-tezze, scomparso lo spirito guerrierodei soldati non esclusi quei giannizzere quelli Ipahi che una volta avevanoriempito di terrore 1 Europa. Esseredunque ottimo il momento per una im-Dresa contro la potenza turca. A que-ste osservazioni ottimiste si opponeva-no i raoporti di Sem:n Regnier — rssi- dente imperiale al Corno d'Oro — e Giovanni Sagredo inviato deliri Ssre nissima alla Corte di Vienna, Ma i fatti successivi dettero ragio ne a frate Paolo, si che quando dopo molte trattative e molti contrasti, non ostante V ostilità della Francia, l'a stensione dell'Inghilterra, le obbiezio1 * ^Romtùo S'ero ' mSÒ L0nti.o n eserciti di Maometto IV, li sconfissero prima rMo Vienna, poi ai|,e P°rt2 dl Buda e finalra-nte a t'uclla |battaglia di Batudschina che segnò in i modo definitivo e irreparabile la fine ideila minaccia turca in Europa. '[ E non ostante il valore del Sobieskvlnon ostante le virtù militari di Luig- [di Baviera, fu trionfo specialmente de e a a o i a a a o n i l o e a I o a r — o i, a o i a Pontefice, di quell'austero, ascetico, tenacissimo Innocenzo, che contro tutti e a dispetto di tutti aveva voluto quella guerra, era riuscito ad accordare più o meno durevolmente le Potenze cristiane, e aveva alla fine veduto l'alba della grande vittoria. L'alba soltanto: perchè quando il 30 settembre del 168? giunse a Roma la notizia del graC successo di Batudschina, papa Ode scalcili era già, morto. 'Notizie allarmanti Si capirà dunque, con quanto interesse si aspettassero a Roma le notizie della guerra. Innocenzo XI, che voleva ad ogni costo la vittoria dopo aver voluto ad ogni costo l'impresa, aveva — l'il agosto del 1683 — indetto un giubileo generale perchè Iddio benedicesse le armi alleate, e ordinava preghiere pubbliche in tutte le chiese e in tutti i conventi cittadini. Quando i Turchi furono sotto le mura di Vienna, vi fu gran pànico nella popolazione romana. « Vienna » scriveva la regina Cristina dalla sua reggia della Longara non può esser salvata che da un miracolo: e una volta perduta, chi si salverà dal vincitore ? ». Fu allora che si raddoppiarono le azioni di grazia: fu fatta una processione solenne alla chiesa dell'Anima dove il cardinale Ludovisi — in sostituzione del papa che la podagra riteneva in Vaticano — compi tutte le funzioni religiose del caso. Intanto le notizie si facevano sempre più gravi: il Sacramento fu esposto a S. Pietro, a S. Maria Maggiore, al Laterano e al Collegio germanico mentre il Papa incrollabile nella sua fiducia, scriveva ai Sobiesky di non disperare che la vittoria era certa. E mentre le autorità ecclesiastiche si preoccupavano dell'incoraggiamento — diremo cosi, spirituale dell'impresa — un gruppo di cittadini si riuniva nella chiesuola di S. Bernardo al Foro Traia. no e vi costituiva la Confraternita del SS. Nome di Maria che aveva'per fine principale di chiedere alla Beata il patrocinio per la vittoria, e per scopo secondario di mantenere alto — come si direbbe oggi — lo spirito pubblico. La notizia delia grande vittoria arrivò a Roma nel pomeriggio del 22 settembre e a recarvela furono il legato del Nunzio di Vienna e quello di Ferrara. L'esplosione di giubilo che essa suscitò fu immensa. Il papa, già infermo, che da tre notti non poteva dormire, si gettò ginocchioni per terra e ringraziò l'Altissimo del gran miracolo. Per due notti di seguito, al tramonto, tutte le campane di Roma suonarono durante un'ora. Le strade erano tutte illuminate e illuminata fu la cupola e la facciata di S. Pietro, mentre salve di gioia si sparavano a intervalli regolari dai bastioni di Castel S. Angelo. Nè mancarono le Cavalcate allegoriche e si vide girar per Roma un fantoccio mostruoso che dov-eya rappresentare il Gran Vizir Kara Mustafà « condotto » scrive il Marescottì sei suo Avviso del 2 ottobre < da varie truppe di diversi quarti » a traverso te vie della città fino al Campo di Fiori dove veniva « justitlato con grandissimo fracasso et baccano ». Il Papa e D'Annunzio Intanto il 25 ottobre, giungeva a Roma il sacerdote Donhaff, che portava al papa per incarico dei Sobiesky quella grande bandiera turca ohe oggi si vede ancora nell'abside di S. Maria della Vittoria, dove tutti gli anni, il giorno in cui ricorre l'anniversario della liberazione di Vienna, si continua a dire una messa di ringraziamento. la di tutti i ricordi impreveduti che la gloria d'Innocenzo XI doveva conservare alla città di Roma, il più impreveduto e il più singolare è senza dubbio questo: l'innalzamento al soglio pontificio di Gabriele d'Annunzio! E la storia è questa. Celebrandosi a Roma con grande solennità il giubileo episcopale di Leone Xin, il principe don Baldassarre Odescalehi, discendente del grande Innocenzo, volle regalare al Pontefice un ritratto del suo avo illustre e incaricò Francesco Paolo Michetti di eseguirlo. Se bene l'iconografia d'Innocenzo sia assai abbondante e in casa Odescalehi si conservi pur sempre la sua maschera mortuaria, il Michetti preferì un modello vivo, e avendo riscontrato nel suo amico Gabriele d'Annunzio alcuni tratti caratteristici di quel papa, lo pregò di posare per lui. Di queste pose rimangono un pastello — che è ti ritratto puro e semplice del poeta — e la figura innocenziana nella quale è appena attenuata la linea caratteristica del suo volto. Il quadro si conserva ancora in Vaticano ma non è fra le cose più felici del pittore abruzzese, che non fu mai un gran ritrattista. Ma non importa, il caso merita di esser ricordato perchè tutto nella sua asipra vita di lotta Innocenzo XI avrebbe potuto immaginare, fuorché di essere un giorno vivente nelle aule papali, sotto le sembianze di un poeta che per di più è stato condannato all'indice! DIEGO ANGELI.