La guerra navale nell'Adriatico

La guerra navale nell'Adriatico La guerra navale nell'Adriatico in una pubblicazione ufficiale austriaca VIENNA, settembre. Mentre la storia ufficiale dell'ultima campagna sostenuta dagli eserciti austro-ungarici è giunta all'estate del 1916, già completa è la storia della guerra navale, terminata con il dissolvimento dell'imperiale regia flotta. Lecito è dunque esprimere un giudizio sulla maniera in cui la si è redatta: sia stata mancanza di mezzi o che il lavoro rimane assai inferiore alla storia della guerra ter restre. Comprendiamo le difficoltà molteplici davanti a cui può essersi trovato il compilatore, sottotenente di vascello Ugo Sokol, tuttavia restiamo dell'avviso che se ingrato è il doversi rassegnare a riferire un documento dopo l'altro, così è sbagliato l'idea il tentare, qua e là, fra un documento e l'altro, l'innesto di un abbozzo di critica dettato da sentimentalità ; forse anche a motivo della-poca distanza intercorsa fra avvenimenti e commento, il commento sembra scaturito dalla penna del romantico più che da quella del tecnico o dello storico. Nè vorremmo che tale apprezzamento venisse attribuì' to al tono, quasi sempre altezzoso, adoperato nei riguardi dei nemici: il non sapersi liberare da passioni fino a garantire l'imparzialità dell'opera deve per forza provocare pure questo risultato, che poi ritorna a danno proprio sopratutto quando alla svalutazione dell'avversario non risponde la vittoria finale. Noi consideriamo la storia della guerra navale austriaca, dovuta alla iniziativa di un gruppo di ex-ufficiali di marina e stampata dalla casa Amalthea, una semplice raccolta di documenti, o poco più ; e chi un giorno vorrà mettersi a scrivere la storia vera, potrà ad essa attingere come a una ricca fonte. Così noi, oggi, sulla base di documenti nel volume riportati, rianderemo a fatti che nej periodo conclusivo rivestirono importanza particolare. All'ultima fase della guerra nell'Adriatico e nel Mediterraneo, conferiscono impronta il crescere della attività delle armi aeree e subacquee, quindi l'entrata in azione dei Mas e dei barchini-saltatori ; nel frattempo ii nemico effettua vani tentativi di spezzare la resistenza italiana per mezzo di propaganda, tentativi ai quali, più tardi, segue Ja rivolta proprio sulle unità austro-ungariche. In merito alla campagna dei sommergibili contro le navi mercantili, la pubblicazione sa dirci che nell'ottobre del '17, periodo dell'attività massima, si trovavano nel Mediterraneo 32 sommergibili tedeschi e 14 austro-ungarici; .4 sommergibili tedeschi.stavano di stazione a Costantinopoli. Siccome allo spirito aggressivo delle Potenze centrali rispose un'intelligente e formidabile azione difensiva della Intesa, gli sviluppi di quella campagna finirono col dipendere dalla possibilità • o meno, per i cantieri del blocco del centro, non solo di colmare i vuoti aperti dalle perdite, quanto di accrescere la flotta sottomarina. Disponendo di flottiglie numericamente e. qualitativamente superiori, ai tedeschi tocche di assumersi nel Mediterràneo il compito più gravoso: fra il marzo del '16 e il novembre del '18 essi perderono, nell'Adriatico e nel Mediterraneo, 16 sommergibili. La flottiglia austro-ungarica si tente invece quasi sempre nelle acque di casa, cercando di attaccare convogli e nervi da pesca. Circa venti pagine sono dedicate dal Sokol a riassunti dell'attività svolta da ciascun sommergibile i. e r. ed in nessuna troviamo episodii meritevoli di cenno.1 La tecnica austro-ungarica non riusciva a costruire sommergibili paragonabili ai tedeschi, e l'Italia, per contro, si dava a utilizzare con grande successo i tremendi Mas, che sul principio risentivano dell inconveniente dei motori rumorosi, ma subito dopo furono provvisti di motori silenziosi ed elettrici: in Adriatico essi fecero mirabilia. ■ Nel giugno del '18, essendo lo Stretto di Otranto sbarrato in modo che i sommergibili austro-tedeschi non potevano più andare e venire dall'Adriatico nel Mediterraneo, il contrammiraglio Horthy, comandante dell'i, r. flotta, decise di violare lo sbarramento e al tempo stesso di attaccare la base degli idrovolanti di Otranto. Fra le navi di battaglia che parteciparono all'azione, si contavano la Santo Stefano e la Tegetthoff, scortate da sei torpediniere e dal cacciatorpediniere Velebit. La partenza da Pola d'elle due grosse unità avvenne la sera del l.o giugno con ritardo, essendosi perso tempo ad aprire il varco nel campo di mine. L'impresa fu sin dall'inizio sotto cattiva stella: si stavano accendendo le caldaie della Santo Stefano e della Tegetthoff, allorché si vide passare il Velebit con la bandiera a mezz'asta, avendo l'esplosione di una granata ucciso alcuni uomini dell'equipaggio. Il surriscaldamento delle turbine (è lo storico austriaco che parla) fece ridurre a dodici nodi e mezzo la veloeità della Santo Stefano — e tu conseguenza della Tegetthoff — che avrebbe invece dovuto essere di diciassette e mezzo. Comunque, verso le 3,30 del mattino la velocità aveva potuto essere portata a quattordici nodi. A nove miglia a sud-ovest di Premuda, la Santo Stefano è raggiunta da due siluri lanciati da un invisibile avversario... Infine scoperto, il Mas 15, che aveva fatto il-Dellisaimo colpo, si ritirò assieme al Mas 21, il quale, meno fortunato, aveva visto due siluri lanciati contro la Tegetthoff mancare il segno. La nave di battaglia s'era salvata con un rapido mutamento di rotta. Ma il primo duro colpo i Mas lo avevano inflitto alla marina austro ungarica nel maggio del '16, siluran do a Trieste il Vienna. Da quel gior no, l'i. r. Comando, al quale il Sokol rimprovera il non avere intuito a i o n l i e l e e n r l i e o i e , a a , a . è e u e o a i i n l o a n o l a tempo i pericoli della guerriglia fatta da piccole unità, s'era fervidamente augurata la cattura di un Mas, per poterne studiare la costruzione; a lale scopo, nell'aprile del '18 (cioè i& dire prima dell'affondamento della Santo Stefano) il Comando tentò poi una sorpresa nel porto di Ancona. La notte del 4, la torpediniera 96 rimorchiò fino a 15 miglia a nord del punto di sbarco designato (a nord-ovest di Ancona) una barca a motore, con 55 uomini al comando del sottotenente di vascello Veith e cinque cadetti. Secondo la pubblicazione .austriaca, il cattivo funzionamento della bussola fece scambiare Falconara con Ancona, tuttavia il distaccamento sbarcò inosservato a Marzocca, lasciando nella barca due soli uomini Arrivati a venti chilometri da Ancona, gli austriaci si nascosero in una casa, i cui abitanti rinchiusero-in cantina, e cercarono poi di studiare la situazione nel porto: assai contrariati, videro che nel posto prima occupato dai Mas c'era un solo battello. La delusione crebbe a dismisura, quando, più tardi, risultò che i motori di quell'unico Mas erano smontati. Nel frattempo gl'italiani — avvertiti, lascia intendere il Sokol, da un marinaio della spedizione, di nome Paviani — avevano dato l'allarme: al Veith non rimase che arrendersi con i suoi uomini. La sera del 13 maggio, però, tentando di forzare il porto di Pola, il barchino-saltatore Grillo, che avanzava bravamente sugli ostacoli, fu preso dai riflettori nemici e mandato a fondo da una granata. Vistosi perduto, il comandante Pellegrini, qualche minuto prima, aveva già dato l'ordine di aprir le valvole: l'acqua, infatti, entrava rapida nell'imbarcazione. Ma pur sapendo che si affondava, uno dei tre marinai dell'equipaggio voleva lanciare ancora una torpedine: la granata raggiunse il Grillo in quell'istante. Subito ripescato, il barchino-saltatore, danneggiatissimo, fu tratto a rimorchio in arsenale: le unità austro-ungariche messe in cantiere secondo il suo modello, al momento del crollo della Monarchia non eran pronte. Rinviando ad altra volta l'esame di quanto rientri nel campo della politica e della propaganda, accenneremo, concludendo, alla attività della aviazione navale austro-ungarica dal maggio del '17 sino alla fine della guerra. Povera di apparecchi e di uomini allo scoppio delle ostilità, nel settembre del'18 essa poteva disporre di 266 aeroplani, dei quali 164 nelle basi e 102 non ancora impiegati al fronte; scarso, invece, il personale, tanto, che la base di Pola, la più potente, contava 53 apparecchi, con 18 piloti e 16 osservatori. Il Sokol afferma che nell'ultima fase l'aviazione navale fu prevalentemente impiegata nella difesa e nella esplorazione: nel maggio del '17 il Comando supremo aveva esplicitamente ordinato di non utilizzare h Fokker per altri scopi, avvertendo, anzi, i piloti a non varcare mài i limiti della propria zona. A quanto sembra, si desiderava mantenere il segreto 3ugli organi di trasmissione dei Fokker. Un giorno, l'aviazione ebbe voglia di attaccare Venezia, e un ufficiale di marina andò a consegnare all'Imperatore Carlo un impressionante memoriale : in esso, per caldeggiare la tesi, si sosteneva, fra l'altro, che l'Italia interpretasse i riguardi usati a Venezia come mancanza di coraggio da parte degli aviatori austriaci. Per ottenere facoltà di agire anche contro la città dei Dogi si sarebbe potuto far ricorso ad argomento più soldatesco. E la facoltà fu concessa : grazie all'intervento del Comando Supremo, l'aviazione navale potè infatti intraprendere attacchi contro l'arsenale e le batterie di Venezia. Più tardi, in seguito a passi compiuti dalla Santa Sede, sopravvennero disposizioni restrittive, nel senso che si sarebbe dovuto « fare il possibile » per risparmiare gli oggetti del culto e gli oggetti d'arte, « come, ad esempio, la Basilica di San Marcò a Venezia » ; tuttavia le restrizioni non toccarono « i compiti assegnati alla base navale aerea di Trieste ». Venezia gli austro-ungarici volevano, ce non proprio distruggerla, pren: derla. Il miraggio di una occupazione fu particolarmente forte durante l'offensiva terrestre dell'ottobre del '17 : « Il morale degli uomini — scrive il Sokol — era migliorato grazie alla speranza, ingenerata dalla vittoriosa offensiva terrestre, che la flotta potesse a sua volta entrare in azione e grazie alla seducente prospettiva che di tale azione Venezia potesse essere il premio. Ma purtroppo la speranza di occupare la città delle lagune, da tutti a bordo coltivata in segreto e con grande amore, restò delusa ». Del quale commento ammiriamo molto la fedeltà storica e alquanto meno il languido romanticismo: fiacche questo « grande amore » inlato fra le righe di una storia militare potrebbe far credere che gli austriaci anelassero di entrare a Venezia sognando le gite in gondola al chiaro della luna. ITALO ZINGARELLI Gruppo di arabi partito da Bengasi par conoscere l'Italia fatoista Bengasi, 22 notte. Con il postale Città di Trieste sono partiti 21 arabi diretti a Roma per visitare la Mostra della Rivoluzione. L'Iniziativa è dovuta al direttore del giornale arabo di Bengasi « Beridbarca » dott. Mohelscl. L'avvenimento ap- Sare particolarmente eloquente polche la prima volta in ventidue anni di nostro dominio che nasce spontaneo nel popolo arabo il desiderio di conoscere l'Italia e di seguirne le vicende . »-V»ri'»«e.

Persone citate: Horthy, Marzocca, Pellegrini, Premuda, Ugo Sokol, Veith