Prosa americana

Prosa americana Prosa americana Forse il più grande elogio che può farsi dcìì'Oxford Book of American Prose compilato da Mark van Doren è che, leggendolo, ben di rado vien fatto d'esclamare : « Ecco un bel pezzo di prosa ! ». Restano in mente le cose dette, e cosi non potrebbe essere se non fossero state dette bene; ma io ricordo un'antologia di nostri scrittori nuovi, della cui lettura non restava altra impressione che di un bello e dolce stile elegiaco, , senza memoria possibile di cosa alcuna, se non di un vago e universale elogio dell'estate; e questo risultato pratico dovrebbe bastare a far preferire ai criteri del compilatore italiano, ancorché dettati. da scienza estetica degnissima, quelli tanto più eclettici e impuri, ma insomma efficienti, del compilatore americano. Il van Doren evita ciò che gli anglosassoni chiamano il purple patch, la toppa di porpora, il « pezzo da antologia » ; non crede al frammento, e mette i suoi autori alla prova in saggi di lungo respiro: la prosa vuole spazio. Non crede neanche al grand style, allo stile grandioso, retorico. Tendenziosa è dunque la sua antologia, come ogni altra : risponde a un determinato ideale di stile, sobrio, efficace, più logico che immaginifico. E' stile concepito come strumento per significar cose, non come fine a sè stesso; onde ì'Oxford Book of American Prose non è, come quell'antologia nostra di cui parlavo, un esanime campionario di bella calligrafia, un cartoccio di caramelle. Dà, piuttosto, una quintessenza dello spirito e della storia d'America, ed è per questo rispetto che ne va con sigliata la lettura agl'italiani. ' Non son sicuro che l'armoniosa impressione duri fino alle ultime pagine, ma certo il quadro di vita evocato dalle prime trecento è di quelli che non si dimenticano facilmente. Se oggi ci si rappresenta l'americano come prima di tutto un uomo d'affari, non bisogna dimenticare che fino al secolo scorso americano era sinonimo di coltivatore. E li troviamo alla soglia della nostra antologia questi Puritani armati di vanga e di Bibbia, rigidi nei loro princìpi fino a dar l'impressione di machiavellici (« L'esperienza insegna alle chiese e ai cristiani che è assai meglio vivere in uno stato unito, benché un po' corrotto, che in uno stato in cui alcuna parte è incorrotta, e tutto il resto diviso» — son parole di Nathaniel Ward), rigidi e consequenziari al punto di non esitare a bruciare le persone in fama di stregoneria. Raccomando la lettura del processo di George Borroughs •svoltosi a Salem nel 1692 (tolto dai Wonders of the Invisible World di Cottoti Mather, 1663-1728) poiché in tali primordi possiamo troj var la chiave di certe manifestazioni della vita americana d'oggi atte a "sorprendere gl'ignari. « Fin dal principio'— "nota un nostro ■contemporaneo» van Wyck Brooks, in un lu'mfflòso'' saggio che figura nelle ultime pagine dell'antologia, 'Highbrow' and 'Lowbrow' — troviamo nella mente americana due correnti parallele e di rado commiste : una corrente di note alte e una di note basse, ed entrambe ugualmente insociali. Da un lato la corrente di trascendentalismo, che trae origine dalla devozione dei Puritani, diviene filosofia ih Jonathan Edwards, passa per Emerson, e produce l'ombrosa e schiva sensibilità dei principali scrittori americani, e, via via che gl'ideali e gli articoli di fede del trascendentalismo si disgregano e si cancellano, riesce al definitivo straniamento dalla realtà proprio di gran parte della cultura americana contemporanea; e dall'altro lato la corrente di opportunismo spicciolo, che trae origine dagli espedienti pratici della vita puritana, diviene filosofia in Franklin, passa per gli umoristi americani, e riesce all'atmosfera della vita d'affari odierna ». Nell'antologia possiamo risalire alle origini di questo processo. Ecco la narrazione personale dell'esperiènza mistica di Jonathan Edwards, esperienza simile a quella di tutti gli altri mistici sotto ogni cielo, ma con speciale accentuazione del senso della propria perversità, su cui il devoto s'indugia per assaporare più acutamente la voluttà di « prostrarsi infinitamente in basso dinanzi a Dio ». Ecco, in forma molto ingenua, il compiacimento del coltivatore americano nelle pagine di St. John de Crèvecoeur (su questo colono e scrittore americano d'origine francese, nato Michel-Guillaume Jean de Crèvecoeur e naturalizzato John Hector St. John, ha scritto quest'anno ima bella monografia Howard C. Rice, pubblicata a Parigi dal Champion) : « Il momento che io metto piede nelle mie terre, la luminosa idea di proprietà, di diritto esclusivo, d'indipendenza, m'esalta l'animo. Suolo prezioso, io mi dico, per qual singolare costume di legge accade che tu fossi destinato a costituire la ricchézza del proprietario? Che cosa saremmo noi coltivatori americani senza il possesso distinto di quel suolo? ». Pone il proprio figlioletto a sedere sull'aratro : « Il padre che ara col bambino, per sostentare la famiglia, è inferiore soltanto all'imperatore della Cina che ara per dare esempio al suo impero ». E tanto si sente sovrano, che si esalta in un elenco delle proprie multiformi attività : « io... io... 10... ». In fondo, non ci vuol molto a vedere che tra il mistico Edwards e il coltivatore St. John la differenza è poca. Il centro, il cuore dell'antologia <': Thoreau. Ben dice l'Emerson, nel saggio sul Thoreau qui riportato, che nessuno fu più americano di lui. Questo eremita orgoglioso, casto, caparbio, autodidatta e terribilmente serio, adoratore a suo modo della Natura, che per asserire la propria indipendenza si rifiuta di pagar le tasse, e, nello storcersi un piede cadendo, non tralascia di osservare sul mirdi tracheto invuomchero unho plibedlontrocolteifinJodevevaJolacredeprThlo inEdMrivrodegrnovecorasilchpeCostveM—sevenoviNtinParegiusqulusadera(uG(uamcaMvitefrdvabtomvdcinotel'dndqcpp<:qfidn«tcftnaGsgVmdrsmcRgddnpslnnrorsulrs terreno le foglie dell'amico mollis, personifica il carattere puritano in tutti i suoi estremi. Noi latini possiamo rispettarlo, ma quanto ad ammirarlo, ne dubito; e sarei curioso di sapere se e quanto si sia diffusa tra noi la versione del suo Walden che anni fa ci dette il Ferrando. Certo alcune sue parole suonano assai invecchiate oggi : « Sappiano tutti gli uomini per mezzo di questi presenti che io, Henry Thoreau, non desidero di esser considerato membro di una società organizzata a cui io non ho di mia volontà aderito ». « Io semplicemente desidero di rifiutare obbedienza allo Stato, di ritrarmi e star lontano effettivamente da esso ». Ritroviamo qui l'« io » del mistico e del coltivatore, l'« io » sublime, prometeico, ribelle, monade dispotica e infinitamente grottesca. E chi sei tu,, Jonathan Edwards, perchè Iddio debba lasciarsi sedurre dalla tua civetteria d'umiliazione abietta, e curvarsi a carezzarti? E chi sei tu, St. John de Crèvecoeur, che credi che la' terra sia stata esclusivamente creata per ingrassarti e darti la gradevole sensazione di camminare sul proprio? E chi sei tu, Henry David Thoreau, per esaltarti al disopra del-lo Stato, e proclamarti legislatore inappellabile di te stesso? Se gli Edwards, i Crèvecoeur, i Thoreau, alRssvsbstMb avessero realmente fatto scuola nell'America d'oggi, nessun Presidente Roosevelt potrebbe salvarla. Quando dico che l'impressione lasciata da quest'antologia è impressione di cose, più che di stile, non voglio concludere che coloro a cui sta a cuore solo la bella prosa debbano sfogliarla invano. A questi squisiti si può raccomandare la let* tura del capitolo qui riportato di Moby Dick del Melville, sulla Bianchezza della Balena, fantasia di simbolismo mistico che si chiude coll'allucinante visione del bianco essenziale della Natura, ove i colori non sono che illusione, cosicché se dovessimo contemplar le cose nella loro essenza, l'universo paralizzato ci starebbe dinanzi come un lebbroso, « e come caparbi viaggiatori in Lapponia, che rifiutano di portare occhiali colorati, così lo sciagurato infedele fisserebbe gli occhi, fino ad esserne abbacinato, sul monumentale sudario bianco che avviluppa tutto all'ingiro ». Libro, quello del Melville, che basterebbe a dare alla prosa americana.un posto d'onore nella storia del romanticismo, anche se non vi fossero Poe (di cui qui si riporta il William Wilson, ispiratore del Portrait of Dorian Gray del Wilde) e Hawthorne. MARIO PRAZ.

Luoghi citati: America, Cina, Parigi, Salem