Istambul sentinella dell' Occidente

Istambul sentinella dell' Occidente La crociera dell'"Oceania,, Istambul sentinella dell' Occidente Bon^ar^f^r^ia^ur *Preiioi altri Italiani il nome cristiano e romano è più familiare che quello di Istambùl) senza rileggere De Amicis. Del resto — lo confesso a mia mortificazione — recandomi ad Atene non portavo nella valigia il « Pellegrinaggio del giovane Aroldo », gioia e commozione dell'adolescenza mia e di altri milioni di coetanei. Còspoi'i senza De Amicis In fondo non sono pentito. Sapevo iene che De Amicis mi avrebbe preparata qualche delusione. La Costantinopoli di Kemàl il Gazi non è quella dei Califfi, il Serraglio non custodisce gelosamente belle donne velate, ma è aperto al pubblico che cerca invano di saziare una curiosUà sottile e malconfessata. Istambùl, o Còspoli (così l'ha anche chiamata il Duce in una dedica alle Camicie Nere della metropoli) non si presta coirne panorama orientale,-.forse si presterebbe meglio come fortezza guerriera. Molti compagni di crociera hanno 'dichiarato onestamente che non se la immaginavano cosi, Istambùl. Piuttosto la immaginavano come un noto letterato che viaggia con noi, l'aveva descritta, con i colori, appunto, 'del caro De Amicis. C'è, invece, una piccola differenza. Prima era l'avanguardia dell'Oriente, adesso non è ancora ma vorrebbe essere l'estrema sentinella dell'Occidente. E' una funzione che non Ita inventato Mustafà Kemàl, come 'canno coloro che hanno studiato Napoleone non sulle recenti pagine di Giacomo Bainville. Se volete i/ntendere la moderna Wurchia, dimenticate quella dei Califfi; vi aiuterà lo stesso Gazi con il famoso discorso di dieci anni fa all'Assemblea Nazionale : « Milioni di turchi sono morti nei 'secoli per difendere la bandiera verde del Profeta. Noi li onoriamo, ma non li imiteremo. La nostra bandiera è un drappo rosso con la mezzaluna e la stella a cinque punte: il simbolo dello Stato nazionale. Il resto non ci interessa ». Senza questa premessa, che sottin tende una rivoluzione religiosa — contro il Califfato quale altra arma poteva provarsi! —, l'abolizione del velo sui pallidi volti delle donne, la sostituzione del nostro cappello al fez, l'adozione dell'alfabeto latino non avrebbero l'enorme valore sintomatico che hanno, non avrebbero suscitato tante lotte e diffidenze, e sarebbero probabilmente cadute nel ridicolo. All'opposto le riforme hanno resistito, hanno vinto e adesso dominano incontrastate. Sulla facciata interna della terza porta monumentale che immette nell'ex-palazzo del Sultano sono dipinte due grandi sfere con a caratteri d'oro nell'alfabeto turco i nomi dei Sultani fino all'ultimo; ma navigando ■ Dardanelli sul muro d'una fortezza tuttavia vigilata da visibili batterie costiere, una gran fascia bianca fa da sfondo a questa scritta 15 marzo 1915, sormontata dalla mezzaluna stellata. E' Kemàl che ha fatto scrìvere, in caratteri occidentali, quella data dì vittoria. Egli stesso è della razza di coloro che combatterono contro l'occidente per occidentalizzare la Turchia. Il paradosso è appena apparente, come dimostra la cura impiegata da alcune grandi Potenze europee (i Turchi dicono che persista tuttora) per ristabilire lo statu quo. L'Oceania ha navigato lo stretto i— una fra le strade essenziali della storia umana — tra l'alba e mezzogiorno. Tutti i passeggeri erano sui ponti.- Incontro con gli Avanguardisti Ed ecco in lontananza profilarsi la sagoma lunga, forte di una nave; l'abbiamo riconosciuta prima col cuore che con gli occhi: la Cesare Battisti. E' passata dinnanzi alla nostra come una messaggera di giovinezza. Gli avanguardisti erano tutti sui ponti e il loro lungo alala al Duce si fondeva con il nostro, gridato a voce spiegata. Quel grido sopraffaceva il suono della fanfara che aveva intonato l'inno della Rivoluzione. Erario i mille adolescenti della nona crociera medìtcrranea-orientale organizzata dall'O. N. B., reduci da Costantinopoli e avviati in Patria.^ Tornavano dalla metropoli turca cui avevano portato il saluto della grande Nazione amica. Il console comandante ha inviato ad Andrea Gastaldi il seguente messaggio: « Ufficiali e avanguardisti della nona crociera mediterraneaorientale augurano buon viaggio ai crocieristi dell'?. Oceania » e inviano alala r>. Gastaldi ha così risposto : « Agli ufficiali ed agli avanguardisti i milletrecento crocieristi dell'* Oceania » ricambiano con lieto orgoglio fascista augurali alala ». / due messaggi sono'poi stati letti a mezzogiorno, al levar delle mense, insieme con la acclamatissima risposta inviata da S. E. Starace al devoto omaggio del Segretario federale di Torino: «Ai crocieristi dell'Oceania ricambio il gradito saluto con viva cordialità ». Un tonante evviva ha echeggiato nell'immenso salone. Su tutte le labbra, come nel vivo d'ogni cuore, era un nome di ferro e di luce : Mussolini. L'apparizione Improvvisa come un dono del Signore appare Costantinopoli. Tutte le sue case, i suoi palazzi di marmo, le torri venete e saracene, le moschee dalle cupole azzurre, addossate come sono le une alle altre, sembrano essere scese dal monte e star ferme suU bocretemnridill'pdtisfvcifopnapCsclosdrcme ssclaaslesmIilcGCAccnGcsraos—Ctnissrssn1nslnsdsidpdnNarlmvptadopqvdTasnCetgètagtcps * sponda sìnuosa> »»««« contem- Pto«™ Bos/oro. Guardano il mare blu scuro striato di itero, insaziaSi direbbe che non hanno u i e , e e U bilmente occhi che per lui. Solamente i mina reti guardano in alto, lande puntate verso l'indifferenza del cielo. Il porto è denso di traffico. Navi mercantili battono bandiere di lontani Paesi. Lembi di Patrie straniere, riposanti su questo estremo mare della civiltà d'Occidente. Ma ^'Oceania procede al largo per il rituale giro del Bosforo fin dove l'occhio spazierà sull'immensità cupa del Mare Nero. Quella è Scutari, dìrimpettaia civettuola che ha moltiplicato le sue case di legno per non sfigurare in confronto della grande vicina. Quelle piccole, tristi case nere cinte di mura così alte che paiono fortezze, sono le dimore degli ebrei poveri. Quei giardini che si specchiano nelle acque non sono giardini ma antichi cimiteri. I morti vi venivano portati avvolti in un semplice Zino. Calati nella fossa, sugli occhi aperti scendeva l'aulente terra. Soltanto allora si addormentavano per il lungo sonno, custodito dal giusto Alla e dalla cantilena del Bosforo. L'approdo ad Istambùl ci doveva riservare la gioia del primo incontro con gli Italiani che qua fanno altamente onore, con la dignità della vita e del lavoro, alla Patria lontana. Già sulle acque di Terapia avevamo scambiato il saluto alla voce con la lancia della Regia Ambasciata; qua, appena ormeggiato il piroscafo, sono saliti a bordo il Console generale Salerno-Mele, il vice-Segretario del Fascio dottor Pellegrini, il cav. uff. Primi, direttore del Messaggero degli Italiani, il cav. Spergo della « CU », il dott. Bonetto, i quali, ricevuti dal comandante deW'Oceania, da Andrea Gastaldi, dal cav. Casilli, dal conte Chiesa, dal dott. Molari, dall'ing. De Amicis, dal prof. Bargellini e dal cav. Campagna, hanno recato ai ero cieristi il fervido benvenuto dei connazionali. Ad essi ha risposto Andrea Gastaldi inneggiando, fra ardenti ac clamazioni, al Duce ed all' Italia fa scista. Figli d'Italia Il giorno dopo il Segretario federale ha voluto visitare la sede della antica Società operaia Italia, che si onora d'essere stata fondata da Giuseppe Garibaldi, e quella magnifica — già Ambasciata d'Italia — della Casa degli Italiani, dove sono ospitati con il Fascio e con l'Associazione dei Combattenti tutte le Società italiane culturali, professionali sportive. Benché le vìsite non avessero carattere di ufficialità, numerosissimi erano i connazionali presenti (la nostra colonia conta circa settemila anime e milleduecento so no gli iscritti al Fascio, fondato nel 1921). Nel grande salone delle adunate, raccolti attorno al bronzeo busto del Duce, il Console generale e le maggiori autorità hanno salutato nei crocieristi deZZ'Oceania i rappresentanti della Patria fatta potente dal genio e dall'animo di Benito Mussolini, nel cui nome hanno rinnovato il giuramento della più orgogliosa devozione. Andrea Gastaldi ha risposto, applauditissimo, tributando l'omaggio della schietta fraternità verso i connazionali che nell'ospitale suolo della Nazione amica e rinnovata tengono alto il culto dell'italianità, luce e speranza del mondo. Converrebbe narrare adesso, a voler essere un cronista diligente, come i crocieristi hanno trascorso le venti ore passate ad Istambùl con la provvidenziale guida della benemerita « Cit ». .Sfa noi, per dire la verità, abbiamo preferito lasciarci guidare dal caso. Ben sapendo che in venti ore non si può « vedere » una metro poli che ha venti secoli di vita — e quale vita! —, abbiamo rinunciato ai vantaggi delle guide ufficiali per goderci il-piacere di andare a zonzo Tanto a Santa Sofia, al Serraglio e al Gran Bazar saremmo capitati lo stesso. Calamite misteriose attraggono colà gli stranieri. Msci sLa Moschea senza I credenti Santa Sofia! Perchè descriverla? Chi l'ha vista non può dimenticarla, e per gli altri parlano migliaia di fotografie e libri scritti in tutte le lingue dello scibile. Quel che sorprende è questo: moschea non è, non ha po tuto diventarlo. Mosaico di stili, è anche un mosaico di fedi. Se le to gliete i minareti, essa diventa un tempio cristiano senza Cristo in croce e senza Madonne. Infatti vien proprio di pensare: — Qui dovrebbe es serci l'aitar maggiore. — Forse è per questa inopinata assenza, che il luogo è così triste. Il silenzio che incombe non ha anima, manca di spiritualità. Le nostre ciabatte scivolano sui sontuosi tappeti, come una processione senza canti. L'impressione di essere in un museo malamente illuminato non è sopraffatta dalla convinzione dì trovarci, noialtri infedeli, nel maggior Tempio dell'Islam, dove è rituale sostare in preghiere prima di camminare alla Mecca. Ma dove sono quelli che pregano? Oggi è festa, secondo il calendario religioso di qua, e la Moschea è popolata soltanto di stranieri curiosi. In un angolo un vecchio sacerdote parla, parla interminabilmente a dieci o dodici credenti che siedono sui tappeti a semicerchio e forse lo ascoltano, gli occhi distratti. Un tale ci avverte che l'uditorio è composto di candidati al sacerdozio. Dicono che la vita della Moschea sia segnata. Un giorno — domani o fra qualche secolo — la cupola stupenda crollerà. Dio disperda il pronostico dei tecnici dell'ingegnerìa!. vochterogiIl mcochpifrcatepBtivsoratichlee pddlaapteupetaautdst—apinrU—nvmrsrlaedTtsggpmoegrgunccpabTgamlmMscgrSlGlglmcCgdNpnstnrtpMbtstnszc Ma è inutile tentare salvataggi. La scienza contemporanea è impotente, i suoi calcoli, la sue misure non ser- i e l a o !. vono. Forse un giorno un altro vec chio sacerdote parlerà ai credenti nel tempio. Ma nessuno ascolterà le pa rote sacre. Non si trovano quasi più, già adesso, candidati al sacerdozio Il vecchio perirà sotto la rovina dei marmi preziosi. Non per questo la vita cesserà di correre lungo le rive del Bosforo, anche se il ponte di Galata non segnerà più — come ancor oggi — il limite fra il mondo europeo e l'asiatico. Il « Balòn » detto Gran Bazàr Magari avessimo potuto fare una capatina ad Ancàra! Mancandoci il tempo, siamo andati invece — forse per un istintivo amor del contrasto ■ a visitare il Gran Bazàr. Chi ricorda il mercato torinese del Balòn può farsi un'idea approssimativa del Gran Bazàr. E' un Balòn elevato al cubo. Vi si accede attraverso un cortile che è la sala di scrittura dei turchi illetterati. Copisti dattilografi siedono dinnanzi alle macchine da scrivere. I clienti dettano le lettere (molto « Segretario galante ») e quelli scrivono impassibili e sem pre un po' dignitosi picchiando rapidi la tastiera. Il Gran Bazàr è il fondaco dei fondaci, vi si vende tutto a prezzi relativamente modesti: dalla ceralacca ai quadri d'autore, dai mobili alle pantofole, dai pugnali da salotto tempestati di false gemme ai pennini usati ma ancora buoni. I mercanti parlano tutte le lingue dell'universo e conoscono il valore di ogni moneta forestiera. Tutte le valute sono ammesse, con un piccolo margine dì utile sul cambio a favore del venditore. Che è quasi sempre uomo avvedutissimo, servizievole, eloquente i suggestivo. Mi hanno offerto un piccolo tappeto ricamato in oro. — Ne ho già uno — ho risposto, mostrando il recente acquisto. « Che porcheria hai comprato ? E' tappeto questo ? Venire da ine! Vedere che qualità! Tutti gene ri, tutti gusti e pagare poco, poco » Un altro mi obbliga — è la parola — a comprare un tagliacarte dozzinale ma imitazione di quello che usava l'ultimo Gran Vizir. Per liberarmi dell'importuno, gli offro dieci lire contro le cento che pretende. Mi saetta con un'occhiata cattiva, ma si riprende subito e mi dice con un velato sarcasmo : « Anche tu essere ebreo, come me? Tieni, prendi per dieci lire ». Questo Gran Bazàr è l'ultima Thule dell'Oriente nel cuore della città che si occidentalizza. Il suo opposto spirituale è Pera con i caffè signorili, le automobili lussuose, la gente pulita che frequenta i bagni pubblici e i saloni da barbiere. La lotta tra i due climi, sistemi, modi di vita è continua, sotterranea o visibile, diuturna. L'esito non può essere dubbio perchè la giovinezza ha già scelto. Il vecchio mondo crolla rumorosamente, mentre le abitudini più tenaci — declinano, si spengono poco a poco. Quando V ultimo uomo che oggi va verso i sessantanni sarà scomparso, l'opera innovatrice e liberatrice non troverà più ostacoli nel popolo. La sapienza romana può giovare anche qua : Destruam et aedificabo. Questa volontà inflessi bile è la condottìera della giovane Turchia di Kemàl il vittorioso. E' logico che molti stranieri non abbiano ancora capito il segreto del moto kemalista; è anche logico che noi Italiani di Mussolini siamo stati i primi a rendercene conto. «Jasasum Mussolini !» « Jasasum Mussolini! », « Evviva Mussolini! », grida la moltitudine sulla banchina del porto mentre l'O ceania toglie le cime. Sulla gran folla gli Italiani agitano bandiere tricolo ri e il gagliardetto nero del Fascio S'incrociano « evviva » all'Italia e alla Turchia. Con voce tonante Andrea Gastaldi lancia un appassionato alala al Duce. Fra pochi minuti il Segretario federale di Torino ci darà lettura del seguente acclamatissimo marconigramma inviato al Capo: « Al Duce - Roma — Milletrecento croceristi Oceania nel visitare Atene Costantinopoli hanno sentito ingigantire l'orgoglio di essere figli d'Italia e gregari di Benito Mussolini. Nel far ritorno alla Patria da Voi portata all'odierna grandezza elevano a Voi pensiero devoto e riconoscente. — Andrea Gastaldi - Segretario federale di Torino ». E di quest'altro diretto o S. E. Ciano, Ministro delle Comunicazioni: « Milletrecento torinesi e triestini reduci quinta Crociera Mediterranea « Oceania » ammirati superba motonave che reca per il mondo l'impronta gloriosa della nuova Italia di Mussolini ed entusiasti servizi di bordo salutano in voi l'eroe di Cortellazzo e il realizzatore della rinascita della marina mercantile voluta dal Duce ». Lenta, la nave si muove; il cuore nascosto dell'Oceania riprende a pulsare con giovanile, gagliarda violenza. L'orchestrina deve suonare qual che pezzo d'occasione, ma le note non giungono fino a noi che non vogliamo perdere lo spettacolo incandescente del tramonto. Costantinopoli vi si adagia con un' ombra di languore. L'esercito delle case bianche è incolonnato tra le lande dei minareti cavalcanti all'orizzonte. Laggiù il cielo è basso, di porpora. Si direbbe una immensa bandiera rossa sul punto di avvolgere la città. Tutto è fermo, grandioso e magnifico. Troppo bello. Sembra una oleografia. C. A. AVENATI. prsteta i fidi mizioì rriggeni grl'isusiognnalaingrMmzoavràdiClBnaDUtrFbsafonsuBtsnPCttmCzaazB6rsnCpdlmsvntcpptmmnmevpsnsq