Entusiasmo di popolo

Entusiasmo di popolo Entusiasmo di popolo a a ò i it _ e'te resistere a qualche cosa che in fine Rlminl, 11 mattino. Il primo monumento a Giulio Cesare in duemila anni di vita e di storia italiana, inaugurato stamane a Rimini, dono del Duce alla città che fu la prima conquista delle sue Legioni nella marcia verso Roma, è nella piazza del rione che porta il suo nome e che vive da duemila anni nel riflesso di quella gloria. Per quanto, nei giorni precedenti la cerimonia, si fosse più volte avvertito che il Duce non vi sarebbe intervenuto, tuttavia della folla che gremiva il Teatro e delle trentamila persone che empivano la piazza, nessuno s'era ancora rassegnato a tale assenza. Quando durante il suo discorso, in imo scatto oratorio, l'on. Bodrero paragonando i fatti di Roma prima dell'avvento di Cesare e quelli dltalia prima della Marcia su Roma, esclamò: « il Duce! » la folla si è rimescolata e, volgendosi verso i palchi, tra le alte colonne che ornano 11 Teatro, ha prorotto in una ovazione enorme, cercando la figura aspettata come una apparizione. Sul palcoscenico faceva da sfondo il famoso sipario del Coghetti che rappresenta appunto, in una raffigurazione drammatica e fantastica, il passaggio di Cesare al Rubicone, in una dimensione di soazl straordinari, fra cavalli e fanti correnti in un cielo tempestoso e balenante di apparizioni. Nel mezzo del palcoscenico era collocata un'erma del Duce, presso la tribuna dell'oratore. La intorno si sono schierati 1 rappresentanti dei Sindacati regionali dei Professionisti ed Artisti con i gagliardetti di Roma, Forlì. Ravenna e Rimini; dei Sindacati dei varii Comuni di Romagna: delle Associazioni Ufficiali in congedo, degli Arditi e Garibaldini, del Mutuati ed Invalidi. Dal .popolo, che aveva occupato i posti assegnati'sino alla capacità della sala, agli invitati, 11 luminoso teatro, fra gli archi dei palchi e le colonne, accoglieva ima folla imponente. Erano presenti i senatori Facchinetti. Di Bagno, Pullè, Rava, Cappa, Albicini ed i Generali della Divisione di Ravenna, della Divisione di Ancona, della Divisione di Bologna, e S. E. Grazioli del Corro d'Armata di Bologna, Cornelio di Marzio per la Confederazione Professionisti e Artisti; inoltre gli accademici Bazzani, Panzini. Marinetti. i Prefetti di Ravenna, di Forlì e di Rimini, col Podestà di questi comuni e il Podestà di Predappto. i Segretari federali di Forlì, Rimini. Ravenna, oltre ai rappresentanti della Curia di Forlì e di Ravenna. L'orazione dell'on. Bodrero Già nella mattinata S. E. Francesco Saverio Grazioli, il Prefetto dì Forlì, l'on. Davide Fossa avevano, sul lungomare, passato in rivista 5000 Giovani fascisti qui convenuti dalla provincia, 1200 Giovani fascisti di Rimini e 120 venuti da Verona. Alle 10 la folla si era riversata nel Teatro e nella piazza adiacente, attraverso la città imbandierata ad ogni balcone, fra le scritte di « A noi » e « Duce siamo con te » fin nei vicoli più remoti e che, per le strade principali, formavano una decorazione di ogni forma e colore, da quella a caratteri neri in rilievo a quella composta con fiori e lampade elettriche. Ha presentato l'on. Bodrero, l'onorevole Davide Fossa, Segretario federale di Forlì, iiymale con parola incisiva ha elevato iiyjensiero di tutti al Duce nel cui nome queste manifestazioni si compiono', riaffermando come « il popolo italiano vive e vince la sua dura battaglia nel solco del genio mussoliniano ». Uno scroscio di applausi e di acclamazioni al Duce ha accolto le vibranti parole dell'oratore. Dopo di che l'onorevole Bodrero ha pronunziato il suo discorso più volto interirotto da approvazioni e alla fine coronato da un'imponente ovazione del puXvblico che, nelle parole incisive dell'oratore, ha seguito l'acuto parallelo fra la figura del dittatore romano e quella di Mussolini, fra eventi antichi e moderni. S. E. Bodrero ha iniziato dicendo come la figura di Cesare sia ,3tata sempre presente nella tradizione popolare italiana e come la figura del grande romano sia oggi, più che mal, viva e familiare come forse non mai da duemila anni a questa parte. Passando poi al raffronto ed allo riavvicinamento fra il passaggio del Rubicone e la Marcia su Roma l'oratore considerando le figure dei due Capi ha soggiunto: «Non c'è infatti nella storia uomo che più somigli a Cesare, di Mussolini. Certo, molte affinità con il grande Ramano presentava Napoleone. Anch'eg.U accompagnato dalla gloria militare di'' smisurate per quanto effimere conqui- ste, anch'egll figlio di una grande rivoluzione, anch'egll tenace nel voler attuare una grande riforma civile ed amministrativa. Ma oggi, ad oltre un secolo di distanza e con il nuovo elemento di confronto di cui disponiamo, noi possiamo vedere quanto numerosi siano i tratti che mancano a render compiuto e persuasivo quel parallelo. Napoleone anzi tutto non era francese e la nazione non lo sentì mal come tale: ne sfruttò il genio, fu orgogliosa dei trionfi che egli consegui in suo nome, ne subì il fascino, ma stette continuamente a fare il bilancio di quanto in uomini e denaro quella gloria veniva a costarle e quando s'accorse che il bilancio non quadrava più a suo vantaggio lasciò cadere il condottiero e lo perdette senza rimpianto, come, oltre mezzo secolo dopo fece forse per le stesse ragioni, dopo Sédan. La Francia invece era sempre rimasta solidale, e legata con i suoi re non ostante ogni loro rovescio politico ó militare. Napoleone oltre a ciò dovette contlnuamen- fu più forte di lui, un'implacabile Inghilterra, un'implacabile Austria, una implacabile ancien regime, e non potè mai fare una politica autonoma e creativa. Nessun altro generale è stato più di lui costretto a riportare un più gran numero di vittorie. Poteva in guerra forzare il nemico a combattere sul terreno scelto da lui; non giunse mai a far questo in politica. Dovette esaurirsi a resistere contro forze che gli sfuggivano sempre e che rendevano le sue vittorie tanto più inutili quanto più luminose. Il suo regno fu una sola batta- f;lia conclusa a Waterloo, la sua poliica una sola sconfitta conclusa a Vienna, la sua vita un seguito di mirabili episodi senza un solo avvenimento risolutivo. Lo sviluppo dell'Idea romana « Cesare invece era la quintessenza della romanità, ed il Popolo Romano lo sentì veramente come il suo primo cittadino. Ebbe sì contrasti e resistenze asperrime dentro e fuori del regno, ma seppe dominarle perchè fu sempre padrone di scegliere la via da seguire. « Nessuno a proposito di Cesare può parlare di quel determinismo che nella vicenda di Napoleone ha trovato la sua esemplificazione più trionfale, perchè Cesare creava e guidava egli stesso le circostanze della sua azione. Il còrso poi appare quasi sempre inasprito, irritato, aspro, violento e la più gran parte degli aneddoti che si rammentano di lui ce lo mostrano cinico o sfiduciato, insensibile o artificioso, letterato troppo spesso, sì che quei pochi tratti di bontà, che gli sono attribuiti sembrano creati ad arte perchè sian raccontati. Non c'è invece gesto di Cesarei, che non sia grandezza,. generosità, bontà, dignità, nobiltà, perdóno, indulgenza, liberalità. Di più per Napoleone il popolo non fu che la riserva onde trarre i soldati, e le sue riforme consolidarono la rivoluzione a vantaggio della sola classe borghese a traverso la forma assurda ed immorale di proprietà consacrata dal Codice civile, forma a cui si deve l'equivoco politico, morale, sociale, economico in cui ha vissuto il secolo XIX ed alla quale solo ora, per mezzo dello Stato Corporativo, reagisce la Rivoluzione fascista. Cesare volle invece che il frutto della rivoluzione fosse eguale per tutti, popolo ed esercito, borghesia e patriziato, con un senso di giustizia e di equilibrio che resta ancor oggi un ammonimento per ogni governante ». Nella vasta e profonda disamina del raffronto storico S. E. Bodrero considera quindi il rivolgimento sociale e politico portato dalla rivoluzione francese e quello più vasto, di carattere morale ed imperiale della riforma cesariana ed ha quindi soggiunto: « L'umanità, in tutta la sua storia non ha mai creato un uomo così universalmente potente come è stato l'Imperatore Romano. Sovrano del mondo civile, avendo a poco a poco respinto ai margini estremi dell'Impero i barbari, reggitore di quanto si conosceva allora della terra abitata, nella continuità ininterrotta del territorio dominato, monarca assoluto per diritto divino ed umano, l'Imperatore era veramente investito di quella responsabilità. Carlo Magno, Napoleone, il più grande pontefice, il sultano più autocratico, il Re d'Inghilterra, il Presidente della Repubblica Stellata, nessuno dopo l'Imperatore Romano ha avuto un potere cosi grande, assoluto, esclusivo, universo. Il nostro giudizio su la psicologia degli Imperatori romani a cominciare dal primo e dal più grande di essi, Giulio Cesare, deve porre a suo fondamento principale tale accertamento. Una volta sola nella storia, con una quarantina di imperatori, l'umanità ha veramente divinizzato se stessa in alcuni suoi figli, che non possono esser paragonati per ciò a nessun altro uomo, nè giudicati se non con tale criterio di eccezione ». L'oratore passa quindi in rivista le figure rappresentative dello sviluppo dell'Idea romana, da Catone il vecchio ai due Scipionl e al Gracchi, da Spartaco e Mario a Pompeo, Catilina, Cicerone e Catone il censore, giungendo così a Cesare. E venendo a considerare le diverse teorie filosofiche informatrici degli ideali politici, dice: « I Cinici per esempio immaginarono un tipo di uomo che essi posero come centro e scopo del loro sistema morale e per ciò politico, il quale in ben poco però differiva dall'uomo stoico od epicureo, scettico o peripatetico od accademico, richiedendosi ad esso gli stessi requisiti di atarassia e di autarchia che agli altri. Rousseau ed i suoi seguaci esaltavano le virtù del selvag- sssescdbsmcdrzrdacFr i gi e tutta una letteratura si formò su Iquesta illusione non ostante che gli esploratori ed i navigatori, di mano in mano che tornavano dal loro viaggi descrivessero la realtà sotto colori ben altrimenti diversi. Ora questo sforzo letterario non conduceva a formare altro- tipo di uomo che quello dell'elettore Liberale. Tutti costoro in genere credono che l'uomo, sia solo quale lo ha fatto la natura là dove esso è anche, e sorto l'aspetto politico, soprattutto quale" lo ha fatto l'esperienza, quale Ir* fa la -.realtà vera in cui vive. « Pe\r questo credo convenga diffidare di* tutti quelli che quando parlano di Fascismo vogliono classificarlo entro gli schemi dottrinali correnti ed inserirlo pf.r ciò nel quadro dialettico dei sistemi filosofici e politici vigenti. Pericoloso eÉTore il quale ci fa apparire arretrati di un secolo coloro che lo commettono e t'he. se fosse perpetuato, porterebbe a definirci e per ciò a comprometterci' «secondo le terminologie che abbiamocela ripudiate e che ci trascinerebbe per forza o per ingenuità sul terreno dei nostri avversari. Vi son frasn a a i à d o e e i o n a o e e o o o e n o d i i - poi francesi che esul't\ano nel credere di poter affermare che Proudhon, Sorel e Bergson sono i ver.i1. patriarchi della nostra dottrina e che per ciò è il pensiero francese che stai alla radice del Fascismo. VI sono tedeschi che gongolano nel pensare Nietzsi 'he come inspiratore del Fascismo ed -Mitri che ritengono lo Stato Corporativo una loro creazione perchè le Corporazioni esistevano nella Germania m edlevale. Per le stesse ragioni credo convenga diffidare anche della parola democrazia che da qualche tempo va stranamente riaffiorando fra noi in scritti e' discorsi e che sembra densa di comp.romissioni non sempre del tutto chiare. NV)i vogliamo invece si dica addirittura c\i noi che abbiamo abbandonato un piantata sempre più freddo ed oscuro e sem pre più lento, per un nuovo astro rapidissimo e tutto folgorante di nuovissimi* luce. Lunga, deriha e vivissima è l'ili astrazione dell'oratore della prepara'alone programmatica, militare e politica di Cesure prima e dopo il passaggio' del Rubicone, dopo di che il raffronto' fra 1 due Capi, romani nello spirito e nelle Opere ritorna in tutta la sua verità ed evidenza. S. E. Bodrero conclude la sua orazione dicendo che oggi ogni italiano può fieramente chiamarsi « elvis ro-> manus » e dice: « Ciascun di noi ha il diritto di chiamarsi così: oggi ohe il genio di Roma riapre di nuovo la sua grande ala sul cielo della Patria, sappiamo esserne degni ». Cade il velario In piazza Giulio Cesare, alle 11,30, la folla ha già invaso tutto; si è arrampicata sulle colonne dei porticati, su per i lampioni ornati di verdi festoni; è affacciata alle finestre pavesate. Sull'edificio di fronte alla torre e al luogo del monumento, una immensa scritta « Duce » occupa l'intera facciata. La statua sotto il velario è coperta dal vessillo di Roma e da una grande bandiera nera in cui campeggia l'insegna del Fascio. Il gonfalone del Comune di Rimini, coi valletti in parrucca, è là presso e a sinistra è il palco delle autorità. Sulla piazza sono schierati gli allievi della scuola di navigazione a vela, gli aviatori premilitari rappresentanti della Milizia, al comando del console Brandimarte, reparti di artiglieria e le rappresentanze provinciali del Gruppo universitario. Sono trentamila persone impazienti. Fra grida e inni nell'attesa dell'oratore, improvvisi movimenti della folla u i n n o a e, o r* o ei e o, e à n fanno credere che il Duce debba apparire; ogni movimento nel palco delle autorità sembra confermare tale attesa che poi si propaga fra grida di «Duce! Duce! Duce!» ai più lontani spettatori. E' veramente una piazza imponente degna di accogliere il Capo del Governo. Più ohe l'entusiasmo, è il raccoglimento che colpisce chi osserva. E' lo stesso popolo che, per tanti secoli, fra tante vicende, ha custodito religiosamente il cippo su cui la tradizione vuole che parlasse 11 dittatore, anche se intorno ad esso si svolgesse l'umile vicenda di mercanti e di venditori. Un personaggio era ad ogni modo questa pietra, chiusa oggi in un museo, polche sarebbe stata troppo esigua per reggere il peso della statua di Cesare. Fra gli squilli di « attenti », appena il generale Grazioli è salito nella tribuna, il velario che copriva la statua è caduto, si .sono scostate le due bandiere e il simulacro è apparso nello splendente sole autunnale: il viso imperioso, sottile, chiaroveggente, il oracelo sinistro nell'atto di un pensiero e di una affermazione di volontà decisa, il braccio destro come di chi accenna un movimento di discorso; tutta la ricca lorica, su cui pare di scorgere, nello snodarsi del passo, quasi la ombra di un profilo leonino, il dittatore dal suo bronzo, pare guardare la piazza e balzare al di qua del secoli nella vita. Questa apparizione ha del meraviglioso; ad essa, come se fosse viva, i soldati presentano le armi, la folla saluta mentre una pioggia di fiori, di co rone di alloro e rami di palme volano fini, a lei e in breve ne coprono la ba se. Una di queste corone di lauro si è fermata nel pugno destro della statua. Alla base del monumento è ripetuta l'iscrizione latina del tradizionale cip po della piazza che il popolo chiamava « il pietrone », che in italiano suona così : « Cesare dittatore, superato il Rubicone nella guerra civile, parlò ai suoi commilitoni in questo foro di Rimini ». E' questo il momento in cui la folla, colpita da tale apparizione, grida rapita, chiamando il Duce e non si rassegnerà neppure alla fine della cerimonia, quando il movidento degli ufficiali che aprono un passaggio al generale Grazioli fa sospettare alla folla che debba apparire il Capo del Governo. Le automobili del Segretario federa, le e del Prefetto di Forlì sono, alla fine, prese di assalto al grido di : « Vogliamo il Duce a Rimini » con un tono che difficilmente potrei qui riprodurre. Il gen. Grazioli, alla fine della manifestazione per lo scoprimento della statua, annunziato da tre squilli di tromba che hanno creato di colpo il silenzio, ha parlato di Cesare condottiero. S. E. Grazioli traccia una concisa storia delle dieci campagne di Cesare mettendone in rilievo l'elasticità somma della attuazione e il concetto di azione, l'equilibrio impeccabile nella graduazione dello sforzo offensivo e di. fensivo, il superbo sfruttamento dei fattori morali, il giuoco sottile e geniale di astuzie, gli ardimenti prudenti, gli impeti, il tutto illuminato da un coraggio personale fisico e morale addirittura leggendario. L'oratore traccia una rapida storia delle campagne galliche, facendo brevi e incisivi profili degli avversari di Cesare e quindi della sua marcia su Roma, fino alla sconfitta dei partigiani di Pompeo. La perorazione del generale, che termina il suo discorso gridando evviva al Re, al Duce e all'Italia, è accolta da una poderosa acclamazione. Nel pomeriggio siamo tornati sulla piazza fra la folla che circondava il monumento. A tergo di esso, sotto il portico, è scolpito il testo della lettera che, il 15 aprile di quest'anno, il Duce aveva inviato al Podestà di Rimini, deliberando il suo dono e raccomandando di elevare la statua sul plinto da dove il dittatore parlò ai soldati della 13.a legione, e.aggiunge: «Ogni anno, agli Idi <?1 aprile, voi avrete cura dì adornare con fiori la statua del fondatore dell'Impero romano ». Ma oggi i fiori del popolo coprono 1 piedi del simulacro e la corona di alloro di uno della folla egli la reca nel pugno con un ex-voto. L'on. Bodrero, S. E. Grazioli, S. E. Borri, Prefetto di Forlì, l'on. Fossa, Segretario federale di Rimini, il Podestà di Rimini, Palloni, hanno Inviato al Capo del Governo 11 seguente telegramma: « Oggi Rimini ha inaugurato con grandiosa manifestazione la statua di tulio Cesare da V. E. donatale. L'anima della città grata, disciplinata, fedele ha invocato nel suo nome che il fato d'Italia benedica Voi, Duce della Patria, rinnovatore della gloria di Roma». C. A, varsstnsscpcrgtfeprmeil