Gli occhi azzurri di Maria ed il calesse di Sciaffusa

Gli occhi azzurri di Maria ed il calesse di Sciaffusa Cinematografia al volante Gli occhi azzurri di Maria ed il calesse di Sciaffusa FRONTIERA DI PONTE CHIASSO, Al posto del palo c'è, adesso, una cancellata grigio-celeste, ma le costruzioni, al passaggio, son quelle di allora, quando, anche per noi, la grande guerra si iniziava. Quel palo! Quindici metri di varco; e la pace, che pareva stampata anche nelle cose, anche nelle frasche che sconfinavano senza brividi. Le radici erano interrate di là, suolo senza sangue. Un palo: divideva gloria, mistero, pianto; zona serena e nel contempo ermetica; zona di concentramento giornalistico. I grandi giornali avevano disseminato gli inviati a Lugano, a Zurigo, a Basilea, a Berna dove ri spogliavano 1 quotidiani nemici; ed ogni giorno 11 servizio era portato a mano, sull'imbrunire, alla frontiera: un collega di qua, un collega di là, uno scambio di buste gonfie, poi la revisione, la trasmissione a Roma, a Bologna, a Milano, ecc. Non era eccessiva la sorveglianza in quei primi tempi, tuttavia i giornalisti erano 1 soli — per uno speciale « visto » del Ministero della Guerra — che potessero eludere la sosta alla dogana ed alla polizia, e, soprattutto, usufruissero il privilegio di pigliare il tram per Como in coincidenza con l'arrivo del diretto a Chiasso. Per tutti gli altri, la partenza doveva protrarsi di un'ora, e se vi era un'eccezione toccava a qualche pezzo grosso, molto grosso. Ma una sera ci meravigliammo in massa di veder salire con noi, verso l'Italia una signorina che, nello stesso treno, avevamo notata a Bellinzona. Nè sosta, nè indugio! Un pezzo grosso, anche lei? Non poteva avere più di vent'anni: alta, affusolata, una camicetta di seta rosa, un collarino bianco ed una sottana blu a piegonl: nessuna valigia, nemmeno una minuscola borsetta. Maria: occhi di un azzurro da Iago alpino, capelli già corti o biondi come l'ossigeno doveva farli di moda dieci anni dopo. L'hanno fucilata gli austriaci, nei pressi di Lubiana, la prima settimana, di marzo del 1916. Era una triestina, studentessa di lettere, che intendeva servire l'Italia e la sua guerra come poteva: la mamma, malata e Immobilizzata nella città irredenta, il babbo in un campo di concentramento, un fratello prigioniero del russi; e lei che faceva la spola per esserci, ad ogni costo, utile. Portava le informazioni nel taccuino della sua memoria; ima scrollata della zazzera bionda, e giù, le srotolava tutte. Tanto oro in quella testolina: l'oro dei capelli pei doganieri austriaci, l'altro per noi... Maria: forse, nemmeno ha una Croce dove fu sepolta. AIROLO Non si spiega perchè la Svizzera trascuri cosi testardamente questa strada per Lugano. Va bene che chi proviene dall'Italia sarà esigente e incontentabile, e per quanto viaggi l'Europa, non ritroverà che di rado la bontà e la praticità delle nuove strade italiane. Comunque la Svizzera dovrebbe servire con* maggior riguardo quella vetrina del lusso intemazionale che è Lugano: specie prima di abbordare il lago ci si sfianca su certe strade gobbose, che . rammentano ' le antiche nostre umbertine, con i para' carri piatti e sbrecciati somiglianti alle lapidi. Ed anche quando ci si rallegra del parvet con le mattonelle a dadi tramandateci da Roma Imperiale che confezionava i fondi stradali con la lava, anche allora si sospira l'Italia. In sù, nella Val Levantina, ci han copiate le « piccole italiane »; ma quali sgorbi, Dio mio, son saltati fuori! Niente più la vestina bianco e nera cosi vezzosa, ma sul bianco una fascia nera, come dalla nuca a mezzo busto: una gala da vecchie civettone. SAN GOTTARDO Hanno ragione ad Airolo di proporre il trasbordo delle vetture: venti e più chilometri di galleria sotterranea e con l'automobile sul treno si sbuca ad Andermatt avendo lasciato il Gottardo alle costole. E' un trasbordo che a molti conviene, anche In piena estate: non che la strada sia pericolosa ed irta — quella dello Stelvio la supera per scabrosità e vertigini — ma per tre quarti è inutile: inutile alla vista, all'audacia, alla fatica, al godimento, al fremito, a qualsiasi emozione, insomma, bene spesa, poiché il Gottardo è il più geloso e segreto e ringhioso valico d'Europa. Non si mostra. Anche se nei due versanti il sole sfolgora e non ci son nubi a cercarle col binoccolo, il passo del Gottardo eternamente è incapucciato e invisibile. Crea le nuvole per proprio conto allo scocco dei duemila e le scarrozza da un burrone all'altro e le inghiotte e le sputa e le stiracchia e le aggroviglia con la furia pazza di un mostro che giochi con la sua capigliatura di venti. Un gigante asmatico e inferocito. Su questo ciclope di granito pesa la maledizione di qualche stregoneria. E' un vulcano di raffiche e di nembi: non si placa per variar di stagioni, erutta un'incessante rabbia di tempeste, si vendica col cielo e con l'altezza. I motori lo molestano, son le formiche che gli danno crampi e pruriti sul corpo velloso; cosi ulula e sbraita e vomita uragani. E' il passo del Sabba infernale. E, sul vertice, è una cisterna di pianto: raccoglie i singhiozzi del suo stesso terrore. Se ad Andermatt alzi lo sguardo di contro all'azzurro, avverti sul Gottardo il bioccolo candido di una schioppettata. VALLE DEL REUSS Chi resta in casa, alla domenica, nella Svizzera tedesca? Manco le serve che le incontri a cavalcioni delle biciclette dietro 11 pedalatore che fa da mantice. Auto, moto, cicli, carrettelle, in un via-vai da corso centrale di una metropoli. Questa è la valle d:!le oleografie ottocentesche, squisitamente nazionali: ancora le rintracci sui muri delle trattorie indigene. Valle del Reuss, scenografia da palcoscenico: le montagne si aprono come | sipari e tra quinte di abeti vi mostrano fondali di neve. Ma questo, del ghiacciaio del Wittemberg, che si spalanca alla sinistra di Wessen, l'hanno ritoccato e accomodato gli uomini: la natura è perfetta perchè mai è leziosa. Questo fondale è artificioso e leccato: il ghiaccialo s'offre levigato con un ferro da stiro, Inclinato dolcemente quale una mastodontica lavagna di scuola. Bisogna pensare che andranno su le bufere a scriverci sopra le loro parole di collera; se no, lo disprezzi, come innaturale e artefatto. dtescedneziessi1 unfegnmacfapdfrpaldqupsauvfonde ggbtovtrstgnnqtorqcètàtictes(repstuitsSspriilspmc; efq—«pCvhqpcstdblagqramnMidlcIacfaGlppDssmssmp Il Reuss è uno del torrenti più sonori d'alta montagna, alimentato da cascatene tra le più morbide e pudibonde: scolano a filo, senza capricci, rispettose ed educate come nascessero da rubinetti d'acquedotto. Attenzione! Attenzione! La strada è costellata da punti esclamativi: 11 segno più frequente, visibile e comprensibile fra quanti sono 1 segni indicatori del turismo svizzero: un pugnale nero su fondo bianco che vi ferisce ogni duecento metri. Trenta gradi al sole ad Amsteck: caldo che non compariva da anni. Sul tetti squamati di abete rovesciano secchie di acqua. ZURIGO Alcuni hanno detto che i tedeschi fanno poco all'amore. Heine lo ha ripetuto più volte ma si sa che i giudizi dell'autore dei « Reisebilder » nel confronti dei suol connazionali occorre prenderli con le molle. Sta di fatto che, almeno gli svizzeri tedeschi, in riguardo all'amore debbono farne assai più di quanto non fosse calcolato in quella percentuale del 60 per cento che Alessandro Manzoni rimproverava agli umani. Prima e dopo Zurigo, dove scivoli su strade parapettate da boschi di folti conifere, i posteggi d'amore sono numerosi siccome i paracarri. Coppie di qua e di là, sono i festoni dei larici e dei pini; l'auto a sghimbescio sul ciglio d'una callaia, un canestro, bottiglie di birra. Coppie, intendiamoci, non brigate: sul velluto dell'erba al cospetto di tutti. Sarà perchè è festa. Cosi non stupisce che Zurigo sia inverosimilmente vuota. Perchè vanno i trams? Perchè gracchiano le orchestrine ? Che stanno a fare 1 vigili, infagottati di panno verde al crocicchi? n novecentismo architettonico della vicina Germania, è profuso, a Zurigo, nei quartieri nuovi: case piatte, senza tetto, color crema, finestre da acquario. SCIAFFUSA Poche città del globo hanno procurato tanti grattacapi agli etimologisti quanto Sciaffusa, per via del nome, la cui interpretazione, anche ai di nostri, è controversa: porto delle barche o città del montone? L'interpretazione che tiene a galla le barche si rifa al Reno che qui conclude (o comincia) la parte navigabile, in causa a quelle tali cascate che furono spacciate un tèmpo (esagerati i nonni...!) per l'ottava meraviglia del mondo; quanto al montone, eccolo sullo stemma della città in campo d'oro, ed eccolo sul campo della lista delle vivande in ogni albergo, trattoria od osteria. L'ho trovato anche in un ristorante che prometteva « cucina italiana », al di là di un rigagnolo che si insinua nel centro di questa vecchia Sciaffusa, pittoresca per quello che è stata con tante torri e manieri e non per come si presenta angusta e scolorita, tarlata e assonnata. Se il Reno, il maestoso e valchiriano Reno, non si stendesse a valle e non costituisse II panorama promesso da tutte le alture, muragliate di ruderi, questa estrema città confederale, non avrebbe richiami. ; Parlavamo di montoni e di osterie; e fu per l'appunto in un'osteria di Sciaffusa che capitò a Victor Hugo il. quale era discéso pel Reno da Colonia — quell'esilarante equivoco che nelle « lettere ad un amico » formano una pagina, senza sottigliezze, farsesca. Com'ebbe sotto il naso la lista delle vivande e lesse, in un francese tartarico: haumelette au chantpinnions, biffeteque au cràison, caldische à la choute, puntò il dito sull'ultima. Intuì una specialità della cucina sciaffusese e ne fu stuzzicato e passò l'ordine. Aveva fame. — Penisslmo, signore. Tomani mattila. — Ma che, subito, subito. — E' tardi H siniore non bodrà federe. — Vedere? E veder cosa? E' cosi bella da vedere la' vostra caldische à la choutel — Pellissima, siniore, mlraplle, magnifica, — Ebbene, v'accenderete intorno quattro candele. — Guatre candele? H siniore fuol ritere. Io non gaplsco il siniore. — Perdio! — e il Grande cominciò a spazientirsi. — Mi capisco io, ho fame e voglio mangiare. — Mandare cosa? — Mangiare il vostro caldische. — Il nostro calese? — La vostra choute. — La nòstra gascada? Mandare la nostra gascada? Il siniore scherza. Mandare la gascada del Reno? L'ortografia dell'albergatore aveva ingannato Hugo, il quale, la mattina dopo, per dieci franchi noleggiò il calesse ch'era nel menù, e si recò alla cascata. Come noi lo abbiamo imitato, In auto, esattamente novantaquattro anni dopo. GIUSEPPE BEVILACQUA

Persone citate: Alessandro Manzoni, Bellinzona, Giuseppe Bevilacqua, Heine, Reuss, Tomani, Victor Hugo