Il segreto di Paolo Bonaparte

Il segreto di Paolo Bonaparte Tragedie nell'ombra Il segreto di Paolo Bonaparte Nei primi giorni d'agosto del 1827, una goletta, proveniente dalle coste italiane dell'Adriatico, approdava all'isola di' Zante e vi sbarcava un giovine senza passaporto, senza carte d'identità e senza bagaglio, il quale veniva accolto con ospitalità tutta orientale da un commerciante di nome Giorgio Vitali, che senza domandargli nè donde veniva nè perchè e senza nemmeno curarsi se il nome che gli aveva dato era veramente il suo lo colmò di ogni gentilezza più affettuosa. Questa accoglienza cosi benevola e — aggiungeremo — cosi inaspettata, commosse talmente il giovine viaggiatore che si fece uno scrupolo di non celargli più a lungo la sua vera personalità e si rivelò per quello che era veramente: il principe Paolo Bonaparte, fi. glio di Luciano e nipote perciò del grande imperatore che da soli sei anni era morto nel tragico esilio di Sant'Elena. Perchè avesse lasciato Bologna — dove viveva presso la sua sorella Anna vedova del principe Hercolani — egli non disse o per lo meno non risulta che dicesse. Annunziò soltanto che egli voleva combattere per la libertà della Grecia e che solo per questo cercava di raggiungere qualche nave che veleggiasse verso le rive dell'Eliade. Naturalmente il Vitali fu colpito da questa rivelazione; colpito e preoccupato di una cosi grande responsabilità, si che si affrettò a scrivere in Italia, al principe Luciano, per avvertirlo che suo figlio era presso di lui fermamente deciso a recarsi in Grecia per combattere contro i turchi. Ma la lettera non arrivò a tempo, che mentre si aspettava una risposta, giungeva a Zante uno schooner inglese di 158 tonnellate V Unicom armato di due cannoni e avente a bordo tre passeggeri: il greco Giannopoll, il dottore francese Charles Blondeau, e quel George Sulton Cochrane, autore di un volume Wamdem&g in Greece e come molti dei suoi compatrioti ardente filelleno. Era il 16 agosto di quel 1827, alle ore 6 del mattino. A bordo della « Hellas » « Ero da un'ora appena a Zante » scrive il Cochrane nei suoi ricordi « allorché il mio servitore mi venne ad annunciare all'albergo' dove ero disceso che 11 principe Paolo, figlio di Luciano e nipote di Napoleone, desiderava vedermi. Mi aspettava da basso. Lo invitai a salire in camera mia e ci mettemmo a parlare. MI disse che il suo spirito era molto esaltato dai racconti che gli avevano fatto della guerra ir Grecia, che desiderava ardentemente di prendervi parte e che sollecitava il favore di combattere sotto la bandiera di Lord Cochrane. Pranzammo e passammo insieme la sera. La sua conversazione era viva ed animata e sembrava molto entusiasta sul conto dei Greci. Era un bel giovane di 18 anni: aveva 6 piedi circa di altezza e rassomigliava straordinariamente a Napoleone. Il giorno dopo (e cioè il 17) fu segnalato il brick Sauvsur, due ore dopo levammo l'ancora e la dimane eravamo a Poros ». Fu in questa piccola isola che egli fu accolto a bordo della fregata Hellas costruita in America ed armata di 64 cannoni con 150 uomini di equipaggio. Lo stato maggiore era tutto inglese e composto da un certo numero di ufficiali comandati da Lord Cochrane, che aveva come suo alutante di bandiera il tenente Hutchings, il quale facendo parte della Marina Reale si faceva chiamare Saint Georges per evitare difficoltà con l'ammiragliato. Gli uomini dell'equipaggio erano tutti greci e non capivano l'Inglese: ma 11 Saint Georges parlava perfettamente l'Italiano ed era in questa lingua — familiare a tutti gli abitanti dell'Arcipelago — che venivano trasmessi gli ordini di comando. Il giovine principe fu accolto con grandi feste, sia per la sua parentela imperiale — gli ufficiali della Marina inglese erano sempre stati grandi ammiratori di Napoleone forse perchè non mal da lui sconfitti, sia per se stesso. « Era — ha lasciato scritto il Gosse — un giovanotto piacevolissimo, notevole per la sua buona volontà, per la gentilezza del suo carattere, la solidità del suo giudizio _e della- sua istruzione, per la moderazione del suoi principi». Con tutte queste qualità personali e per essere figlio di quel Luciano che lord Cochrane aveva conosciuto quando era stato prigioniero in Inghilterra, Paolo Bonaparte fu accolto con grandi manifestazioni di stima, fu subito nominato aspirante ed ebbe — a tavola — il suo posto alla destra del Comandante. Fu sotto questi auspici che Incornine '• la sua avventura guerresca. Ma non durò a lungo, come vedremo, che un malaugurato e misterioso Incidente doveva troncarla fin dal suo inizio. . La strana sciagura Infatti, 11 6 settembre, alle 9 del mattino, mentre le vedette avvistavano la flotta namica e a bordo dell'Heltas si davano frettolosamente ' gli ordini di combattimento, si udì un colpo di arma da fuoco proveniente dalla cabina di Paolo Bonaparte, seguito da questa aaclamazione soffocata: «Mio Dio, sono morto! ». Un ufficiale dello Stato Maggiore — certo Curillo — essendosi precipitato nella stanza la trovò piena di fumo e per terra il giovane principe gravemente ferito e con gli abiti che cominciavano a prender fuoco. Quali esano, state le causo del tragica ucci¬ dente? Il cameriere del Principe — si chiamava Lambarti ed era romano — disse subito di trattarsi di una disgrazia, e lo stesso ferito al medico di bordo — il dottor Johnson — riferì che volendo prendere la pistola appesa a un gancio della parete per armarsi, questa aveva esploso improvvisamente e lo aveva colpito. Se bene la testimonianza della vittima dovesse «ssere definitiva, pure cominciarono fin da principio a circolare strane voci sull'origine del dramma. Giorgio Cochrane — che fu 10 storiografo della campagna — ci fa sapere che in un primo tempo si sospettò il Lamberti di aver ucciso il suo padrone «sia volontariamente, sia per caso ». Ma il Gosse nel suo rapporto — che è stato accettato da tutti gli storiografi greci, ultimo dei quali per ordine di tempo, Splridione Pappas — accettano il rapporto ufficiale del Gosse 11 quale non fa che riprodurre la dichiarazioni del ferito. La morte H quale, intanto, andava peggiorando e soffriva molto chiedendo con insistenza che si estraesse la palla dalla ferita. Ma a questo suo desiderio si opponeva risolutamente l'Arki Kirourgos della squadra, che era il dottor Howe, americano, chiamato a consulto in tutta fretta. Il caso appariva disperato e i due medici non volevano sottoporre il paziente a operazioni inutili e dolorose. E infatti la morte si avvicinava implacabile. Alle 8 di sera, dopo un breve periodo di calma, Paolo Bonaparte ricominciò a dare in smanie. Era stato trasportato nella cabina accanto a quella dell'ammiraglio, che lo assisteva personalmente insieme col Gosse e col due dottori a cui se ne era aggiunto un terzo: il Bryce. Siccome le sofferenze divenivano atroci, qualcuno, per fargli coraggio, gli rammentò che era un Napoleonide e questo bastò a dare un nuovo impulso alla sua fòrza di volontà. Verso le 11, fu salassato ma con scarsi risultati che oramai era cominciato lo stato preagonico. Intorno a lui tutti avevano perduto la testa e più d'ogni altro lo stesso Lord Cochrane che nutriva per il suo giovane aspirante una vera e profonda simpatia. Ma poco rimaneva oramai da fare. Verso la metà della notte 11 povero agonizzante mormorò: «Che sofferenze!» poi tacque di nuovo e fu in questo suo eroico silenzio che spirò alle 2 di mattina, 11 7 settembre dell'anno 1827. Ma con la morte non finirono le peripezie della sua breve storia. Verso le 5 del pomeriggio — il caldo era grande e 11 corpo cominciava a corrompersi — fu chiuso in ima bara di noce e posto nell'imbarcazione che doveva condurlo a terra. Era accompagnato dal cappellano Giorgio Vitali e dal comandante Villicsvich. Prima di quest'ultima cerimonia il dottor Dussi — francese — tagliò una ciocca del suol capelli e il sacerdote lo baciò in fronte. Dopo di che il corteo navale si mise tristemente in moto e-sbarcò a Sfactaria, ai piedi dell'antica ridotta di Ibrahlm. DI là, a Graecia, la cassa funebre fu portata sopra un colle che guarda il mare, dove venne sepolta. Sulla fossa parlarono due soli oratori: il greco Manganare e il francese Dussi il quale dettò anche un elegante distico latino che avrebbe dovuto essere inciso sulla sua tomba. Questo: Gallio,, Napoleo! Cognatwm hinc inde [Nepotem. Graecia libera qidd me cecidisse fleaf. Avrebbe dovuto essere inciso sulla sua tomba, ho detto, ma non lo fu. E forse fu giusto, che quel Gallia suonava male sul sepolcro di un principe còrso nato a Roma e sepolto — il caso è a volte più logico degli storici — accanto all'altro glorioso Italiano morto per la libertà della Grecia: Santorre di Santarosa. Ma dì lui non rimase niente, nè a Canino dove era nato, nè nelle numerose collezioni napoleoniche,, sparse nelle varie città d'Europa, se si eccettui due ritrattlnl di quando era fanciullo: quello nel ben noto disegno di Ingres che rappresenta la famiglia di Luciano Bonaparte e la piccola cera del Pickler, conservata nel Museo Napoleonico di Roma. In quanto alle sue ceneri, trasportate una prima volta a Pylos furono 11 27 aprile del 1827 mandate ad Atene dove ora vengono conservate in quel Museo storico ed etnologico. Singolare luogo di riposo, che gli avanzi mortali del figlio di Luciano espone alla curiosità Inquieta dei visitatori. Una luce nuova Ma intorno alla sua morte non è del tutto diradato il mistero. Fu veramente una disgrazia? Fu una vendetta — poco probabile del resto — del suo ssrvo? O fu qualcosa di peggio come oggi.si può dubitare? La principessa Giulia Bonaparte — marchesa di Roccagiovine — e figlia di suo fratello maggiore Carlo, in un curioso Diario inedito e che verrà pubblicato fra breve sulle pagine della Nuova Antologia, parlando di questo suo zio la cui memoria era ancora viva nella famiglia, scrive queste parole che traduco letteralmente e che gettano una nuova luce sulla fine del principe Paolo e sulle ragioni che lo avrebbero spinto alla sua avventura di Grecia : «Entusiasta ed avventuroso, come tutti i Bonaparte, aveva abbandonato l'Italia secondo gli uni per cercare la gloria, secondo gli altri per dimentica¬ r ò ò re un amore disgraziato. Il padre Maurizio da Brescia [costui fu il confessore di Luciano e il precettore dei suoi figli] mi ha spesso raccontato che Paolo di mirabile intelligenza e di bello aspetto seccato della vita monotona e mediocre che era costretto a condurre a Nusignano e a Viterbo, aveva voluto andare a Roma dove si era innamorato della marchesa Errerà, nata D'Avaray, che aveva sposato uno spagnuolo terribilmente geloso. Dotato di scarsissimi mezzi di fortuna Paolo dovette ben presto rinunciare alla vita di Roma e fu allora che si decise d'imbarcarsi per la Grecia. Parti lasciando nella desolazione sua madre, di cui era il preferito se bene le rassomigliasse cosi poco. Dopo qualche giorno di mare, l'Eliade sulla quale era imbarcato si trovava in vista delle coste greche quando fu segnalata la flotta turca. Vi fu allora a bordo un primo momento di confusione. Sia che Paolo armandosi precipitosamente fosse vittima di una disgrazia, sia che in un momento di disperazione avesse voluto attentare ai suoi giorni, fu trovato agonizzante nella sua cabina colpito da una pistolettata. I marinai del Re di Francia [abbiamo visto che questa asserzione non è esatta] trasportarono a terra il cadavere del nipote del grande Imperatore e lo seppellirono nella sabbia della spiaggia. Durante 30 anni una semplice pietra ha indicato il luogo dove riposava il povero ragazzo dimenticato. Solo poco tempo fa [la principessa Giulia scriveva queste parole nel 1859] per ordine di Napoleone HI che aveva conosciuto e apprezzato suo cugino e che non dimentica nessuno, dette ordine' al conte Wolewsky, suo ministro degU esteri, di far innalzare un monumento là dove i marinai dell'Eliade lo avevano deposto e dove il suo corpo era stato trovato intatto». Ma di questo interessamento di Napoleone HI non è menzione negli ultimi studi su questa singolare figura di napoleonide. Ma le parole della marchesa di Roccagiovine gettano una luce abbastanza viva sulle cause che spinsero alla fuga e forse alla morte il bel principe romano vittima romantica del suo grande nome e del suo grande amore, V DIEGO ANGELI.