"Un giorno a Madera,, in cinque capitoli

"Un giorno a Madera,, in cinque capitoli DI PORTO 13ST PORTO "Un giorno a Madera,, in cinque capitoli ( Dal riostro inviato speciale ) MADERA, agosto. CAPITOLO I. Chi ha la tabe letteraria nelle vene s'accosti compunto a questi lidi. Questa è l'isola — mais celebre por nome que por fama — che in versi ampi e fluenti il Camòens cantò; e con lui il professor Mantegazza. Un nome dolciastro di passito e di marsala, l'incontro più frequente sui bancherottoli di libri usati. CAPITOLO II. « Di quanti dolori può mai impregnarsi quella spugna che chiamiamo cuore.'». Ai tempi del romanzo la partenza d'un vapore verso terre d'oltremare era almeno un commiato per la vita e per la morte; e dal molo alle murate, con lo sventolìo dei moccichini, si diffondeva il brivido del bel naufragio. Quando però il dottor Paolo Mantegazza ti vide a bordo del « Thames », o William, sùbito ti disse in corsivo: Ecco un uomo. Avevi un sigaro fra le labbra, e non fumavi. Avevi un libro tra le mani, e non leggevi. Tardea il desiderio di giungere a Madera, di ritrovare finalmente la tua dolcissima Emma, accanto alla villa del Conte di Carvahal, « celebre patrizio portoghese che introdusse le prime rane nell'isola, infeli cissima prima di lui di non possederne ». Ma ancóra una volta, per questi viottoli, f aveva preceduto il dottore. Procedeva assorto, pensando alla fi siólógià del piacere e del dolore, al libero arbitrio, all'ereditarietà dei mali; quando all'improvviso (« Mi pareti di sognare, mi credea in pieno Ariosto ») scorse distesa al suolo una giovine, svenuta di certo alla primissima diagnosi. Aveva appena riempito a una provvida fonte la sua borraccia, ne aveva appena spruzzato il bel viso (« Sir I thank you»; una caviglia s'era un poco scoperta, ma più che lo strazio potè il pudore), ed ecco d'un tratto, al gran trotto, sopraggiungere William. Due gridi echeggiarono, si tacque per un istante l'orchestra del mare e della selva: U gran duetto d'amore e di morte stava per cominciare. Dovette così il giovane Mantegazza allontanarsi, con un po' di rammarico, in punta di piedi; ma poi si arrestò; e cercando per le tasche il taccuino, « Qui, se non mi sbaglio, c'è da cavarne un romanzo ». CAPITOLO III. Non avevo mai letto la troppo patetica istoria. L'ho trovata ieri sera, nella biblioteca di bordo, al numero i m[mluqidhncWcsi di catalogo seicentotrentatre. Il mlezzo di corsìa che sorgeva da quelle pagine, quell'atmosfera rarefatta di sanatorio, persino quel numero sulla costura di marocchino (« Dica lentamente, trentatre trentatre »), m'avevano destata un'ira sorda verso questo paese. Era il luogo donde si sprigionavano arcani gridi d'amore (« Vedere il cielo e non toccarlo mai, sentir Dio. e non intenderlo, abbracciare il mondo e morire di mal di ventre »); era il luogo dove sùbito si presentava il bel caso clinico (« Eravamo godici figliJ. sono «*■ PmasSDcr a i . l i i o o a a a a k o è l e e e i l , , o i mosto sola; e nascendo uccisi mia [madre»); era il recàpito che per l'idillio epistolare esigeva procedure un po' complicate ( « Stava copiando quella mia lettera che t'ho scritta ieri, e la stava collocando fra due delle tue; così come sempre, dacché ho saputo che tu facevi lo stesso ») che è poi anche un bel modo di non fidarsi, con tanto di protocollo e copialettere. Era il luogo, infine, che dopo averci mostrata un'Emma quasi ristabilita, e in tutta la notte tossisce una volta sola, e si sposeranno, e dopo tanto penare saremo tutti contenti; eccolo freddamente suggerire, malvagio come può esserlo soltanto un 'positivista, di far giungere all'improvviso, al povero William, una lettera della zia Anna che senz'altro gli dice : « La nostra Emma è morta ». Soggiunge, è vero, che potrà ancor vedere il cèmbalo aperto, l'ultima musica sul leggìo, l'orologio che camminò per altre sette ore; ma come disperdere la sicumera al creosóto di questo ro manzetto, troppo sicuro di essere almeno un cugino dell'Ortis e del Werther'! L'alba schiariva l'oblò, faceva impallidire la lampada. Le troppe sigarette fumate al séguito della defunta mi facevano sovente tossire (trentatre, trentatre); e riuscii finalmente ad addormentarmi desiderando soltanto l'istante, prima ancóra d'esservi giunto, dì poter abbandonare questa jettatrice d'un'isola — nefasta alle tubercolotiche è alla letteratura. CAPITOLO IV. Ma stamane, non appena salito sul ponte, tutta s'offerse ammantata di verde. La baia di Funchal era tranquilla, lago cerùleo dinanzi all'oceano; e vi si specchiavano palme e tigli, aranci e lauri, magnolie ed eucalipti, nel lieve respiro del fresco mattino. I monti sorgevano ròridi e ombrosi, ergendo il capo fra nubi rosate, in una luce dolce e serena che blandiva le chiome delle pinete, i muschi delle scogliere; gli stormi dei gabbiani eran come di rondini attorno al tepido nido; e ad ogni àlito di brezza, con la salsedine del mare, pareva di cogliere un nuovo profumo sottile. Era nell'aria un sorriso giovane e antico, quasi d'un mito pur allora sbocciato, in una pausa degli alisei e dei maestrali: tra le furie dell'oceano oasi offerta a un'eterna primavera, incanto sospeso sull'azzurro dell'acque e l'azzurro del cielo. « Fra tutte che Venere predilige, se anche questa le appartenesse, di- pucpCtnpsdefpfsmnl l menticherebbe l o ■ Cipro e Cnido e Pafo e Citerà » ; caro vecchio Camòens, dinanzi a questo miracolo e agli snob non temevi d'entusiasmarti: Se lhe avantajam quantas Venus ama, Anteo, sendo està sua, se esquecera De Cypro, Gnido, Faphos e Cythera. CAPITOLO V. Non bisogna soffermarsi nella piccola città pretensiosa, dallo stemma che ostenta quattro pani di zucchero come l'insegna di un droghiere-i »n ficaia minuscola, capitale^ un [ po' spagnuola e un po inglese, con un breve viale di platani centenari che ricordano quelli di Costantinopoli, con qualche vialetto di palmi i indolenti che ricordano quelli di Ceuta e di Tangeri. Non incuriosirsi troppo delle slitte, trainate da uomini o da buoi, che le fanno scivolare per queste vie lastricate di lucenti scaglie di lava; non pretendere nulla dal Casinò, piccola bisca provinciale; e non indulgere al giocattolo della funicolare, e ai richiami che ad ogni passo vorrebbero farti assaggiare un bicchierotto di questo vino, affatturato con aguardiente e con zucchero di canna. Non credere a chi ti' vuol mostrare la vera casa dove nacque la moglie di Cristoforo Colomboi don-, na Felipa Munoz; e guarda appena la mediocre tomba dell'ultimo mediocre re degli Asburgo. Non illu derti sul festoso lancio di fiori che i bimbi ti fanno ad ogni crocicchio non vogliono un trionfo floreale per te, ma « one penny » per loro. Non soffermare lo sguardo su questi disgraziati, eterni co oli es de Ila loro vita, sfruttata da Lisbona, minata dal male che corrode i troppi incroci fra gli isolani; sbircio appena que sti pizzi e questi scialli, queste cataste di mobili di vimini, questi fiori di piume, queste pagliette dal nastro di carta; diméntica, soprattutto, i sanatori, le case di cura, le pensioni « igieniche », gli alberghi traccomandati» ; e procedi invece al più presto, oltre gli ultimi sobborghi, verso l'interno. Ci si inoltra fra bananeti grevi di frutti dorati ricolmi di miele, fra macchie di bambù e di cactus; dai muricciuoli fucsie e begonie ricadono in grappoli densi. La palma sorge accanto al castagno, ai mirti, alle ginestre; e interrotti ogni tanto dalla canna da zucchero si stendono vigneti dai tralci quasi spogli di pàmpini, perchè i grappoli siano tutti offerti al bacio del sole. La stra da s'inerpica incurante dei poggi, l'orizzonte posato sull'oceano appare sempre più ampio; e nell'acre effluvio dei profumi, alla brezza umida e tepida, tutta la parte bassa dell'isola è veramente un'immensa serra che accoglie il noce e l'ananas, il mango e il carrubo, il sughero e il cedro. Ma non appena - superata la prima dorsale, in pochi minuti, la visione si trasforma. Dopo un bosco d'araucarie giganti si procede per\ pinete fitte dove non penetra il sole, dal sentóre di resina acuto: par di essera sulle alpi, sotto gli ultimi pascoli. Ancóra pochi minuti di strada, e il monte si fa invece arido e brullo, d'un giallastro che ricorda il giallo sulfureo dei cratèri spenti, in ampli pianori sospesi sul mare; e subito dopo, superato il colle del Poiso Pass, un paradiso di verzura introduce agli ultimi valloni. Qui si comprende come i primi che sbarcarono nell'isola la chiamassero semplicemente foresta, madeira. Sentieri tagliati a mezza costa, seguiti da piccoli canali talvolta pénsili, procedono tra cespi di felci e di rododendri che sbocciano per cqni dove, fra i tigli e gli abeti, fra i massi muscosi; rose e garofani, dalie e azalee e camelie, suscitate dai venti, palpitano ai piedi di queste vette che sorgono a picco, rosee dolomiti di basalto e di lava rivestite di fiori; e su tutto, il frèmito azzurro dell'oceano che appare al fondo d'ogni valle, alte reggendo, all'orizzonte circonfuso di vapori, altre isole felici. E' qui, nell'interno, la favolosa e indimenticabile bellezza di Madera, in queste valli dove le strade non giungono, e sorge soltanto qualche capanna: paesaggio dei primordi, sopravissuto al fluire delle leggende, pervaso di selvagge dolcezze e di serene delizie, terra che ignora lo strisciare d'un rettile e che con le Canàrie ascolta tra le sue fronde canti più trèmuli: estrema guglia d'un monte sommerso dalle acque [dei mari, e le onde sospinsero per le valli le loro conchiglie, ad occhieggiare fra le coltri fiorite. Ci si dimentica del tempo e dello spazio dinanzi a queste lente migrazioni di nubi che fumano tra le vette, e poi le abbandonano per scendere all'oceano; ma fra pochi anni anche queste valli saranno solcate dagli asfalti, arricchite di bar e di belvederi, pettinate dai golf dei grandi alberghi; e allora, un giorno a Madera, sarà forse più banale del suo romanzo. MARIO CROMO. I Madera: La baia di Funchal

Luoghi citati: Cipro, Cnido, Costantinopoli, Funchal, Lisbona, Madera, Pafo, Tangeri, Villa Del Conte