Moeller Van den Bruck e l'Italia

Moeller Van den Bruck e l'Italia Moeller Van den Bruck e l'Italia BERLINO, agosto. All'origine o al punto decisivo di «gru* crisi dello spirito tedesco vi c sempre un «viaggio in Italia»; e non manca nemmeno alle origini della presente rinascita. L'uomo tedesco, quand'è pervenuto alla cima di se stesso, e si guarda indietro e avanti, .si accorge, per un destino immancabile, di trovarsi sul versante d'una discesa dalle Alpi, e intravede a un tratto; con un brivido di mistica gioia, biancheggiar tra gli squarci delle brume le proprie tende su una prima chiara valle lombarda. Un innegabile e irresistibile istinto trac cwi gli uomini come le stirpi dei Germani a farsi per un tratto italiani per esser qualcosa e per esser se stessi; c la forza che trasse sui passi delle Alpi Goti e Longobardi non fu diversa da quella che vi chiamo in ogni tempo, quasi per un ricordo e per un mandato della stirpe, le grandi personalità, da Durer a Goethe, il cui destino culminò e si direbbe si affollò tutto attorno al centrale avvenimento di un viaggio in Italia, onde derivarono luce e calore di rinnovamento per la storia spirituale della loro nazione. Non meno che per gli altri, anche per Moeller Van den Bruck, il profeta del Terzo Reich. la vita si condenso tutta e si decise sulla spirituale vicenda di un viaggio in Italia, attorno a cui tutta l'opera aderi come su un asse direttivo e orientatore. Se il « Terso Reich » è di Moeller van den Bruck l'opera più nominata — non diciamo con ciò che sia la. più nota — la « Bellezza italiana'» è certamente dell'artista e del pensatore l'opera più matura e più significativa. E poiché non si tratta di un artista creatore ma di un artista riflesso, che fu un critico e un pensatore, il viaggio in Italia non è in lui soltanto vita, ma è una chiara presa di coscienza, una confessione e una guida spirituale per se e per i suoi connazionali; e, insieme, infinitamente di più, è una storia e una filosofia, una storia artistica dietro cui sta una filosofia politica, una metafisica politica, si potrebbe dire, o piuttosto, com'egli stesso diceva per evitare la diffamata parola, una metapolitica. Il libro, uscito nel 1913. non fu allora capito, e fu semplicemente preso per un libro di storia dell'arte. per un Cicerone alla Euckhardt. Era, |mvece, un'opera di liberazione per l'autore, e di esame di coscienza per la nazione. Tutto Moeller del resto non poteva essere e non fu compreso dalle generazioni dei suoi contemporanei. La sua breve vita, nella quale rivoluzionò un mondo e scoperse uno stile, egli passò circondato di silenzio e di irrisione; e la chiuse, non ancora cinquantenne, nel 1925, fasciato d'ombre oscurissime, dopo aypr sempre e soltanto seminato, senza aver visto il raccolto della' sua mésse, che fu dato invece, in Italia, di vedere a quell'altro precursore suo pari è.maggiore, che fu Enrico Corradini, al quale per tanti rispetti si riavvicina. L'Italiano più chiaro, più rapido, più rettilineo, talvolta lapidario e si direbbe frettoloso, sospinto quasi alle spalle dal dèmone dell'azione cui natura lo aveva anche in parte votato, e che gli impediva di indugiarsi troppo nella documentazione culturale, scarnificando talvolta fino all'inverosimile la sua opera; il tedesco più complesso, più musicale, volto tutto da natura alla speculazione e alla documentazione storica, che lo spinse tutta la vita in crociera tra lo spazio e il tempo, lungo specialmente quella diagonale europea delle razze che va dalla Russia all'Italia, nella quale l'istinto 10 avvertiva prepararsi la nuova Europa. In Italia « discese » e soggiornò in quegli anni ingarbugliati e pieni di destino intorno al 1910 e 1911, nei quali ciascuno cercava instantemente nel geroglifico del proprio cuo.re la cifra dell'Italia nuova, e uno solo l'aveva trovata : Corradini, mentre un altro aveva genialmente pensato di bandir la crociata iconoclasta agli idoli frolli della vecchia : Marinetti. In quelle prime gesta del Nazionalismo e del Futurismo italiani, Moeller sentì subito uno « stil nuoyo » europeo. Le opere di Corradini furono per lui l'introduzione all'Italia. Corradini era allora già avanti nel suo apostolato politico, e riuniva proprio in quell'anno, nell' '11, il primo congresso del Nazionalismo italiano, mentre Moeller Van den Bruck era ancora poco più che un letterato puro, e doveva molto più tardi, solo dopo il crollo del suo paese in guerra, incominciare là sua attività più strettamente politica. Ma fu proprio in quei giorni che, tratto di archivio in archivio e di biblioteca in biblioteca, indagando quel che v'è di politico o di « metapolitico », dietro, ogni tela e dietro ogni facciata, egli capitò dall'Alta Italia in Firenze. Non mi risulta che i due precursori si siano avvicinati; mi piace immaginare di no; e che, portatori di due mondi destinati in un lontano domani a toccarsi, si siano soltanto incontrati senza salutarsi sulla stessa riva d'Arno, condotti sullo stesso luogo, come due rabdomanti, dall'istinto della loro bacchetta. Il Terso Reich è della t fine del 1922, quando Mussolini già prendeva il potere; è il suo interesse, diremo così profetico, per noi italiani alméno, non può dunque esser molto. Ma quest'opera, assai più celebrata che letta, del cui titolo si sono di buon'ora impadroniti i politici per ti loro bisogno di piccola moneta, e già oggi fonte di un equivoco grave, che sembra accompagnare di pari passo11 crescere del culto del nome di Moeller Van den Bruck nella nuova Germania: quasi che cioè il libro contenga una sorta di profezia o previsione programmatica del novello Reich nazionalsocialista, terzo dopo quello bismarckiano e quello weimariano. Nulla di tutto questo. Il titolo —.die, assai meglio, ariderebbe d.ett? in italiano // Terzo Regno anziché //1 erzo Ràdi — non contiene alcuna allusione storica di questo genere, ma si riporta unicamente alla concezione e aspettazione chiliastica medievale tedesca di un terzo Avvento o Regno, superatorc della duplicità dei contrari; atteggiamento' mistico-religioso, trinitario e unitario insieme, confermato più tardi nella filosofia moderila dalla triade dialettica hegeliana, a cui anche Moeller si riconduce. E' in questo processo verso l'unità e la sintesi, applicato a tutti i problemi del tempo, che Moeller versa, come un bronzo fuso^ nella forma, la sua concezione di" un socialismo nazionale totalitario, che ne fa giustamente il precursore della rinascila nazionalsocialista nel suo paese. Infinitamente più importante e significativo, per la storia così del suo pensiero come per quella del nuovo pensiero europeo è il libro del viaggio in Italia, La Bellezza italiana. In questo libro essenzialmente rivoluzionario, nel quale egli rinviene, l'asse attorno a cui tutto il mondo dei suoi pensieri passati e futuri si mette immediatamente a roteare col rigore di un sistema solare, egli abbatte e innova totalmente i concelti prevalenti al suo tempo nel suo paese sul Rinascimento italiano, e scopre la cifra dell'eterna rinascita d'Italia, la cifra dell'Italia nuova e moderna di osmi tempo, scoprendo con essa lo « stile » delle rivoluzioni. E da ora in poi non farà se non applicarla, nei libri ulteriori, nello Stile prussiano cioè e nel Terso Reich, riunendo in una sola condanna guglielminismo e weimarianismo, come naturalismi bruti e negazioni dello « Stile ». Quello che Moeller totalmente rovescia è il concetto della « Classicità » che egli rivolge in quello di « Primitività ». Quella che egli ferisce a morte è la concezione della Rinascenza italiana, quale nel secolo XVIII era stata scoperta e individuata da Winckelmann e da Goethe, concezione di un umanesimo convenzionale, sopravvissuta fino a Burckhardt, la quale alla Primitività accorda appena un posto ancillare o al più di_ viatico di fronte alla Classicità o forma piena, valorizzata come « scoperta del mondo e dell'uomo ». Davanti a questa formula di una «falsa Rinascenza » di cartone, egli si jmdsscttulnps«ttcmffg sente pieno «di disgusto», e la in- frange per svelar dietro di essa « l'ai tra Italia », quella della perenne ascesa, l'Italia dei « Primitivi ». Egli rovescia il rapporto. Soltanto la Primiìivilà ha vero diritto di cittadinanza nel regno dell'arte, soltanto la « "Primitività » è vera «Classicità». Ogni « Classicità» senza ascesa, senza ricerca, senza religiosità, infine senza creatività, esce dal campo dell'arte, la cui essenza è lo « stile », lotta interna cioè per « la realizzazione di "una metafisica», che. è il. demòne dei primitivi, mentre lo spirito che anima le « epoche della fine », cioè le epoche della cosidetta classicità, è sempre quello di « avvicinarsi a una natura data ». , Considerata da questo punto di vista tutta la storia dell'arte è « primitiva », e soltanto poche epoche di « naturalismo » ne cadono inesorabilmente fuori ; e le epoche stesse di splendore, come quella ellenica dalla fine della guerra persiana al principio della guerra peloponnesiaca, o quella italica dei pontificati di Giulio é di Leone — epoche per le quali Moeller non nasconde le sue scarse simpatie — non resistono alla lunga se non in quanto ancora permanga nei maestri lo spirito di lotta- e di conquista di se stessi : che per il resto cadono anch'esse nella categoria dei naturalismi. Il lottatore e il rivoluzionario sono dei religiosi e dei « primitivi »; e non appena l'angolosità e la durezza stilizzata del loro volto possono distendersi nel naturalistico arrotondamento del possesso raggiunto, essi gettano fatalmente l'arma e l'idealità. Nessun concetto potrebbe essere più fascista di questo. Alla luce di questa concezione tutta la storia dell'arte su terra italiana appare a Moeller come una lunga serie di rinate e riaccese « primività, al contatto di sempre nuove incursioni di razze e di sangui nella penisola, j zeacdtprlsdaBtlfdsqvtfcparOT| dlclclf, Sia pre-romane die post-romane, sia dall Oriente che dal Nord nel com-j puto delle quali entra anche quella |che determino la civiltà e l'arte etru- sca. e la masrjjiore delle quali sii ap- | pare quella delle razze germaniche, che « liberarono l'Italia dal suo pas^ Ì! sato e le diedero un nuovo avvenire». Il dualismo^ dei due elementi roma- no e germanico, come un fruttuoso incontro dei due principii maschile e femminile, compenetra e informa di sè tutta l'italianità mediovaie, ra?- giungendo il suo più alto grado oliespressione nei due « forti » secoli |XIII e XIV, nei qua?; Moeller vede culminare la classicità vera dell'Italia, poiché — ed è questo che lo divide dalla concezione burckhardtiana — « il Medio Evo e non l'Alta Rinascenza è l'età classica della Italia nazionale ». Questa lotta . dei due principii si conclude, come sempre nella storia delle incursioni millenarie nella penisola, con la vittoria del principio italiano. « L'Italia vince sempre », dice Moeller. Ed ha ragione. E parla di una « razza del sangue » e di una « razza dello spirito » di una vittoria dello spirito sul sangue, di una vittoria della terra sul sangue degli uomini che vengono ad abitarla... Il pittore che più esemplarmente gli sembra impersonare il dualismo e la coesistenza dei due elementi, romano e germanico, in una Unità italiana, è Piero della France- sca, a cui dedica un intero capitolo che e dei più magistrali dellopera: « il pittore — dice — la cui arte de- 1 j • C' * A ^ * *i 1 riva daii contini dove lo spirituale e il sensibile si gettano l'uno nell'ai tro, e- il Metafisico nel Reale non appare diverso dal Fisico nel Sur- reale. Piero è il primo pittore del-l'identità del Beale col Surreale, è il pittore della dimensione intermedia ». Ed è nel Duomo di Pisa, infine^ nella « vittoria, di Pisa» come egli dice, che egli ravvisa il monumento primo e più rappresentativo della capacità e della potenza stilistica italiana, rivoluzionaria e conservatrice a un tempo, e unificatrice^ il .monumento della perenne vittoria italiana, nel senso dell'incessato superamento di tutti i dualismi in uno stil nuovo, che è « romanità dello spirito tanto più potente in quanto non ha nemmeno più bisogno di riprodurre immoti i singoli motivi scultorei e architettonici dell'antica». « Se se ne tolgano tuttavia — annota curiosamente a un certo punto —taluni rinvenimenti di plastica antica, come un Fascio Littorio che vi è murato... ». Il libro è del 1913. Lo spirito profetico lo conduce a imbattersi e a fermarsi, tanto tempo prima, sul segno fatidico! GIUSEPPE PIAZZA.