Posizioni da difendere e primati da conquistare

Posizioni da difendere e primati da conquistare BILANCIO PREVENTIVO IN VISTA DEI CAMPIONATI CICLISTICI DEL MONDO Posizioni da difendere e primati da conquistare Fra otto giorni avremo i campioni mondiali di ciclismo per il 1933, scelti fra i 125 rappresentanti di 13 nazioni sulla « pista rosa » del Parco dei Principi e su quella bianca dell'autodromo di Montlhéry. Se altri avvenimenti possono, in virtù dei loro caratteri spettacolari, avere più larga e profonda risonanza di sè tra le folle ognora più sensibili alle emozioni che sa dare lo sport della bicicletta e sanno avvincerle, trascinarle, accenderle con più irresistibile fa¬ scino e con più bruciante passione, i campionati del mondo, per quanto più semplici nella loro messa in scena, più freddi nel loro aspetto tecnico e, in parte, meno insigni per tradizione e anzianità, rimangono pur sempre la manifestazione classica e ufficiale, l'affermazione solenne, la consacrazione di rito della superiorità assoluta degli atleti del pedale. Anche se la molto modesta sapienza dei legislatori internazionali, cui fa riscontro la verbosa e intrigante abilità diplomatica dei partecipanti ai convegni dell'Unione ciclistica internazionale, non è ancora riuscita ad assicurare ai campionati su strada quel minimo di garanzie che affidino della rispondenza dei risultati al valore degli uomini, pure questi annuali confronti rimangono gli unici autorizzati a sancire la superiorità individuale e collettiva nelle varie specialità in cui, si può dire fin dal suo nascere, si è divisa l'attività ciclistica. Per la Coppa del Duce L'avvenimento assume quest'anno per noi un'importanza e un significato eccezionale. L'Italia è depositaria della Coppa del Duce (messa in palio dal Duce nel 1932 in sostituzione della Coppa Beaukelaer, definitivamente assegnata alla Francia) che fra nove anni dirà quale nazione del mondo avrà avuto il più fulgido decennio ciclistico. L'onore di scrivere per primi il nome della nostra terra sul ricco trofeo ci è venuto dai titoli guadagnati da Binda e da Martano e dal secondo posto di Bertoni nei campionati su strada e da quello di Mozzo nel campionato di velocità dilettanti. L'Italia, trìonfatrice a Roma, dovrà difendere a Parigi il suo prestigio, non perdere terreno sulle vie vittoriose, guadar gnarne su guelle che ci son sempre state avare di soddisfazioni. Il compito non è facile; arrivati a un certo punto di eccellenza, realizzate certe conquiste, uomini e popoli devo no guardare, non dico con timore, ma con preoccupazione i confronti che li oppongono agli avversari smaniosi di rivìncita è più passibili di miglioramenti e di progressi. E quelli dello sport nascondono anche \ pericoli e le insidie della sorte. Del resto, un esame alla situazione generale del nostro sport in rapporto a quello delle nazioni ciclisticamente più evolute (e sono tre: Francia, Germania e Belgio) ci può far vedere abbastanza chiaro il compito che dovranno e potranno assolvere i no stri atleti a Parigi. I titoli in palio sono cinque: velocità su pista per dilettanti e prò fessionisti, resistenza su strada per le due categorie, mezzofondo dietro motociclette per professionisti. Per quanto non siano mancati all'Italia in ogni epoca i velocisti puri di classe internazionale (e la serie è quasi ininterrotta da Bixio a Martinetti, attraverso Tornasela, Verri, Poliedri, Gardellin, Piani, Moretti), non siamo mai riusciti, in trentadue anni, a conquistare il campionato di velocità professionisti e solo due volte, in trentaquattro anni, per merito di Verri (1906) e di Martinetti (1926), ci è toccato quello dei dilettanti; nè mai un italiano è riuscito a diventare campione mondiale degli stayers. Il bilancio, dunque, della pista è per noi estremamente magro, indice eloquente di una situazione di assoluta inferiorità che si continua a studiare, ma si è ben lungi dal migliorare. Essa presenta per noi (come per la Germania, che pur srarczpsapcstcqnalpmLGhidvpnsefmFtrsmuritcnenpcgssgsprslisiuusMipdrqpqtclddneqqdstmgè stata un paese in cui il ciclismo suYlpista ha fiorito per decenni e si van-'d i , 3 a i ù a ¬ ta di parecchi titoli mondiali) un problema di pubblico, di corridori, di denari, di serietà sportiva, di concorrenza straniera e di altri sport, così complesso, così soffocato in un circolo chiuso da far dubitare possibile una pronta e soddisfacente soluzione. Non è escluso che possa sorgere all'improvviso anche in Italia un fuori classe che riesca ad imporsi anche in questo campo; ma sarebbe un'eccezione, direi quasi un miracolo; la nostra Ritrazione, la no- stra organizzazione sportiva generale e ciclistica in particolare è in antitesi con la rinascita e la prosperità del ciclismo su pista e, quindi, con la possibilità di nostre affermazioni nei confronti mondiali. . I velocisti pista lieta Con tutto ciò, a Parigi la potrebbe riservarci qualche sorpresa^ Non manca certo la classe a Martinetti per aver ragione'dei più reputati velocisti; se egli avesse curato la preparazione con quella serietà... che non gli è abituale, tutto gli sarebbe possibile, anche la conquista del titolo. Giorgetti, per quanto in Europa non abbia spadro neggiato come ha fatto per quattro anni in America, e gli anni e... i milioni comincino a pesargli, non stupirebbe se entrasse in finale e qui minacciasse seriamente i Paillard, Laquehay, i Sawall, i Moeller, Grassin, cosa che un italiano non ha fatto da molti anni a questa parie. Ma si tratta di due nostri corridori che, per far fortuna, hanno dovuto calcare quasi esclusivamente le piste straniere. Prodotti nostri, genuini, cresciuti nelle difficoltà del nostro ambiente solo alla fiamma della loro passione e dei loro sacrifici, sono i dilettanti, fra i quali tanto Mozzo come Pota meritano la nostra fiduciosa attesa. FI primo specialmente ha un passato che legittima le più larghe speranze e nel quale scelgo soltanto il secondo posto nel campionato di Roma per dimostrare che non sarebbe una sorpresa se l'atletico veronese rinnovasse le gesta di Verri e Martinetti. Il tedesco Richter, che gli chiuse la via l'anno scorso nella finale, non milita più nella categoria e aspira a legare il titolo di campione professionista a quello di campione dilettanti; rivelazioni schiaccianti non sono sorte in questa stagione; Mozzo avrà di fronte gli stessi avversari che prima di lui sono stati eliminati a Roma. Perchè non guardare al bell'allievo di Torazza, se avrà potuto completare la^ sua preparazione dopo la caduta di Parigi, come al più probabile successóre di Richter f Io mi auguro che la maglia azzurra si cambi in quella iridata non solo per l'onore, ma anche per la vita e la fortuna del no stro sport. Nulla più che i successi in campo internazionale possono contribuire a risollevare le sorti di uno sport che langue, a riaccendere una passione di folle e di atleti che sta spegnendosi. Parliamo di Binda e compagni Ma la strada, che è il nostro forte e il nostro orgoglio, è il nostro pericolo e il nostro incubo. Qui ormai, padroni dei due titoli, abbiamo tutto da perdere e più nulla da guadagnare. Negli ultimi sei anni (cioè da quando fu istituito il campionato dei professionisti) l'Italia ha trionfato quattro volte (tre con Binda e una con Guerra) in una categoria e altrettante (due con Martano, una con Grandi e una con Bertolazzi) nell'altra; senza contare i secondi posti di Girardengo, Guerra e Bertoni e di Mara, Bertoni, Gestri e Olmo, nonché i terzi di Piemontesi e Binda e il quarto di Belloni. Non si tratta, quindi, di successi isolati, ma di una quasi continuità, di una tradizione, di un patrimonio consolidato, di una supremazia indiscussa e riconosciuta che vorremmo non fosse menomata. Il peso di responsabilità che ci grava sulle spalle non dvsdcie, dunque, Yleggero. Non ci dà pensiero il /otto,di dover lottare in casa d'altri; i tio-'u stri corridori hanno vinto non solo a Roma, ma anche ad Adenau, a Liegi, a Copenaghen, a Budapest e a Zurigo, in prove in linea e a cronometro, in ogni clima, su ogni strada. Ma non mi nascondo le insidie del circuito di Montlhéry, col suo percorso vario e indefinibile, originale e inconsueto per noi, noto ai francesi e anche ai belgi, favorevole- al loro modo di correre, e col regolamento che. può rendere irreparabile anche il minimo incidente di macchina. In quanto a uomini, se si può dire di essere rappresentati come meglio non si potrebbe dai professionisti, non giurerei altrettanto dei dilettanti. Binda, Guerra e Bovet o Bertoni costituiscono il quartetto più forte che possiamo mettere in linea, pur con differente di classe, di anzianità, di mezzi, di temperamenti, appartengono tutti e quattro a [quella categoria di uomini più completi che specialisti dalla quale è molto probabile esca il nuovo campione del mondo. Non è il caso di fare in questo momento dei pronostici;- mi basta rilevare che la nostra rappresentativa professionistica (si potrebbe fare una riserva solo per Olmo, sfortunato nella prova di selezione) è quella che la tecnica e i risultati di stagione imponevano sulla carta e tale da farci guardare serenamente alla prova di Montlhéry. Meno collaudata, più improvvisata e ricca di incognite è la squadra dei dilettanti, ìiscita fuori, per la maggior parte, dalla corsa di Varese, che ritengo sarà molto diversa da quella di Parigi. JMa l'occhio maestro del cap. Spositi, che ha seguito da vicino i nostri giovani nella prova di selezione, deve aver rilevato le reali doti dei prescelti ed essersi convinto che esse ben si adatteranno al circuito francese* se per la designazione si è attenuto rigidamente all'ordine di arrivo della « Tre Valli ». . In complesso, io chiuderei il nostro bilancio preventivò dei prossimi campionati con queste percentuali di probabilità: cinque per cento perii titolo dei velociti professionisti; venti per quello dei velocisti dilettanti: cinque per gli stayers. ottanta peri routiers professionisti, trenta per i dilettanti. GIUSEPPE AMBROSINO pcaoeosrsstttdtmmFsalotatdsGticLLIsiRqqdncdtrssgg Guerra e Binda, gli irreducibili rivali che saranno i nostri più forti rappresentanti nella corsa su strada del campionato mondiale. i iù bit it iie sportiva gen