Giuseppe De Rossi: Non erano castelli in aria - Piero Ravasenga: Memorie di primavera - M. Viscardini: La vita senza cielo.

Giuseppe De Rossi: Non erano castelli in aria - Piero Ravasenga: Memorie di primavera - M. Viscardini: La vita senza cielo. LIBRERIA Giuseppe De Rossi: Non erano castelli in aria - Piero Ravasenga: Memorie di primavera - M. Viscardini: La vita senza cielo. In margine al volume, una bibliogra- cfia rivelatrice. Questo Giuseppe De Rossi che col « Non erano castelli in aria » (Ed. Mondadori) trasfonde in un romanzo sentimenti e figure della rivoluzione mussoliniana è quello stesso Ds Rossi che debuttava con fortuna ai tempi di Sommaruga e Perina trionfanti nell'Urbe ottocentesca, della Cronaca bizantina e delle Forche candirne: insomma, mezzo secolo fa che, coi tempi che corrono, non si può dire davvero un breve aevi spatmm. La struttura stessa del romanzo ci avrebbe per altro rivelato questa arcaicità — e chiamiamola cosi senza menoma offesa dell'egregio scrittore perchè si può essere e partecipare intensamente del tempo in cui si vive senza dimenticare quel che c'era di buono e di caro in quello in cui s'è vissuto —, arcaicità che dà al racconto del De Rossi un particolare sapore e valore. Esso è infatti come una testimonianza dei padri per l'opera dei figli; e poiché più spesso accade che tra padri e figli ei sia una incomprensione generatrice di antitesi, il sorprendere invece neJla emoziono e nella meditazione di un'opera d'arte un perfetto sincronismo sentimentale, una identità assoluta di apprezzamenti, un convergere chiotto di idealità fra le diverse geneazioni, dà un senso quasi plastico di uella continuità ideale di cui si forma l tessuto della nostra storia. Comunque, ipetiamo, il Non erano castelli in aria di De Rossi è testimonianza e documento: e come tale va apprezzato e giudicato. Naturalmente, come è di norma per un buon ottocentista, l'ambiente nel quale si muovono le finzioni romantiche del De Rossi è borghese. Il dottor Marco Arnaudl è vedovo ed ha due figliuoli, Carlo e Sandro, che s'avviano a diventar padroni del proprio destino col sopraggiungere della giovinezza: e poiché una casa senza una donna è vuota e 11 declinare dell'età si prospetta sconsolato e deserto, Marco pensa con trepidazione a ricomporre la famiglia e a sostituire la dilettissima perduta. La trepidazione è vinta quando i figli gli manifestano 11 loro assentimento cordiale, e Matilde eatra nella casa, soave e materna. Ma Cario e Sandro itanno per spiccare il volo per il loro destino : mentre Sandro rimarrà nel solco aperto dal padre, avviandosi alla vita nella normalità degli studi umanistici, Carlo vuol tentare le vie un po' chimeriche dell'arte, vuol fare il pittore. « Sono ambedue cosi buoni... », osserva Matilde; ma il dottor Marco replica: « Chi lo nega?... osservo solo che mentre l'uno è cosi serio nei suol propositi e preciso nelle sue azioni e attento e previdente e ragionatore... l'altro un impulsivo, uno spensierato, un poeta viaggiante col cervello verso la luna, pronto a innamorarsi delle cose più astruse e pronto sempre a mettersi contro chi non la pensa come lui... ». Come sempre, delle obbiezioni famigliari, hanno ragione i figli, e Carlo entra nello studio del pittore Castillo affermando rapidamente la sua personalità, si che nel secondo tempo del romanzo (che è diviso in •tre tempi) giunge notizia d'una sua vittoriosa affermazione in una esposi zione milanese. Ma da Milano giungono altre notizie: è l'impresa fiumana qsmrg«lpaitrlcmtgche là ha il suo centro di propulslo- ne, è 11 verbo patriottico e rlvoluzio nazio di Mussolini che sta facendosi carne nella gioventù che s'addensa sotto le nuove bandiere: e Carlo a Milano e Sandro a Roma si sono schierati sotto queste audaci e decisi. d l a o o e e a i e . e a l i . ù l t a s a nIl dott. Arnaudi apprende la cosa da un collega — una specie di don Basilio in marsina che viene da un gabinetto ministeriale ad informarlo ed a tortuosamente minacciarlo. Arnaudi mette il collega alla porta ma nello stesso tempo ne è turbato : « Non posso nascondere che questo silenzio.... questa mancanza di confidenza e, diclamo anche, di fiducia nel loro padre... che li ha considerati sempre alla pari, mi dà una pena, un senso di malinconia... da cui non so liberarmi! Tutto, tutto mi hanno sempre raccontato... e perchè questo no, che forse era la cosa più grave e, data la idealità che la riveste anche la più bella ». Ma fra l'idealità e l'azione non sempre c'è assoluta concordanza: fra il padre e i figli le idealità possono essere comuni o per lo meno non divergenti, ma per l'azione occorre il disinteresse eroico della giovinezza. Nè qui è tutto: che il figlio Cario non solo s'è buttato nella fornace ardente della rivoluzione fasciata col magnifico Impeto della sua età, ma, frequentando lo studio di Castillo, ha colto il fiore della vigile e fresca verginità di una modella, Sina: e il dottor Arnaudi ne ha l'oscura insospettata sensazione in un incontro casuale, si che il suo cuore di padre ne trae motivo di timore e di angoscia poiché in «quella donna giovine, bella come poche, franca, libera, allegra ardita egli non altro poteva scorgere, che l'essere ambiguo sorto improvviso dalle tenebre alla luce, a tendere le sue piccole candide mani a sottrargli forse il cuore del figlio... Eppure come nell'adesione e nella partecipazione all'impeto disciplinato del nuovo movimento nazionale, matura il destino della patria; cosi in questo amore che tutto parrebbe contrastare, matura il destino di un uomo. Castelli in aria possono sembrare e l'una e l'altra cosa, destinati a svanire al soffio della realtà, ed invece essi si van costruendo tn solida pietra. E la costruzione profila appunto la sua solidità nel terzo tempo del romanzo. Carlo ha sposato Sina che, dopo la morte sopraggiunta d'improvviso del dottor Arnaudl spentosi mentre la nuova Italia ha iniziato il suo irresistibile cammino, tempera con la sua dolcezza il dolore di Matilde : e il racconto si chiude con la marcia su Roma cui partecipano Carlo e Sandro nelle squadre affidate al comando di Bottai irrompenti con decisione eroica da porta San Lorenzo. I due giovani, colanti d'acqua e Insudiciati di fango, rientrano finalmente nella loro casa proprio nel momento In ccui un urlo lacerante di Sina spentosi in un fievole lamento ch'era un'Invocazione al suo Carlo, dava l'avviso che un nuovo essere s'era aperta la sua strada alla vita ». Che però questi Carlo e questi Sandro che Giuseppe De Rossi ci ha presentato con così calda simpatia paterna, sieno di una pasta cosi decisamente romantica, non diremmo. Ci sembra anzi, dopo la lettura del simpatico romanzo dello scrittore romano, che esso avvalori l'ipotesi dì una antitesi immanente fra padri e àgli. Vogliamo dire cioè che la visione del De Rossi dimostri questa reciproca incomprensione prospettandoci coi colori di un roseo ottimismo una psicologia che è invece virilmente pessimista. Ecco infatti un gracile libretto di Piero Ravasenga: « Memorie di primavera » (Ed. La Goetta - Roma) che ci rivela nelle sue pagine scarse il nodo centrale di queste anime giovanili. « Da poco era cessato n me l'ansioso stupore delle prime automobili, dei primi aeroplani, e non correvo più a precipizio udendo gridare: 'automobile! l'automobile! A quell'epoca di fanciullezza Marinetti lanciava 11 manifesto futurista ed io scrivevo brevi poemi, con automobili che andavano alla luna e scarabocchiavo armi e assalti, iv Carlomagno in motocicletta »... La giovinezza, insomma, si sta liberando da ogni incanto cui si sostituisce un desiderio di movimento, di azione, di lotta: desiderio vago e fremente che annulla il passato in un dispregio iroso e che un bel giorno si concreta. « In certi mattini d'ottobre la scolaresca s'Incontra, pel viottolo, colla figura di Aroldo... Aroldo compie gesti incredibili. E' pieno di eroismi e di mandati di cattura. La sua persona leggendaria ci dà immediatamente l'amarezza di non aver data la vita... ». Ed ecco la spedizione squadrista. «. I fascisti erano stati chiamati da ignobili butirra! e formaggiai, pavidi della proprietà in pericolo, e vi erano per difendere e servire l'Italia ». Uno del fascisti, scherzando col calcio della propria rivoltella, si ferisce Irreparabilmente: muore. « Ora il destino di Carlo Spagna compendiava in me una aspirazione della giovinezza. Mi edificava la sua morte notturna e repentina, romanticamente tragica: quella morte venuta senza i colpi di nessuno, immune da azioni sceniche ma soltanto sfruttata come occasione di gazzarra e di giubilo. Era l'Ideale che uccide...». Atmosfera, adunque, autenticamente eroica ma senza orpelli romantici, senza arbitrarie teleologie: la realtà guardata limpidamente, freddamente, senza schemi retorici. Non diversamente di cosi quando il Ravasenga delinea una sua esperienza personale: una notte di sarabanda studentesca, « L'avventura effimera » si disegna nel suoi tratti essenziali come episodio che non lascia traccia ma solo delle sensazioni epidermiche. Cosi ancora nella descrizione del funerale di un ragazzo di campagna. La morte è presentata come un fatto naturale che non incide nel corso indifferente e inarrestabile della vita. Un rito, del gesti tradizionali, niente più. «Nessuno piange il fanciullo eccetto 1 suoi e nessuno ne parla: è questo un mattino di lavoro in crescendo, ampio, colle nuvole fresche come la neve delle montagne che nei giorni migliori affiorano all'orizzonte ». Il Ravasenga, in questa breve raccolta di prose che hanno accento autobiografico, tende sempre più a staccarsi da qualsiasi proprio interesse ideologico per guardare con crudeltà fredda alla realtà: ed è questo forse il segno d'una cana&poroleaza artìstica che ai facendo più vigorosa e complessa. * * Mario Vlscardini ha chiuso con la « Vita senza cielo » una trilogia cui sta attendendo da anni e nella quale ha raccolto fantasticamente la sua concezione della vita e del mondo. Concezione, per verità, un po' disordinata e confusa forse anche per la difficoltà di farla aderire alla stravagante tessitura del romanzo che ricorda altri esempi Illustri specie nella letteratura britannica. Il giovine Aldo vince le delusioni, che la vita gli ha accumulate e che lo hanno portato alla disperazione, attraverso gli insegnamenti di un Maestro di serenità e di altruismo che lo spingono a costruire, insieme ai discepoli di quello, la Casa del genere umano. Contro di essa si scatenano gli interessi contrariati, la paura dei governanti messi in allarme, l'astio vendicativo di qualche privato, sicché gli abitatori della Casa — i Noemiti —, sconfitti dal numero, devono abbandonarla dopo averla distrutta e andarsene errabondi. Finalmente, sbarcati nella rada di Chilhuanaco, i seguaci di Ardo vi costruiscono la Piramide capovolta, uno strano edificio che si allarga verso l'alto e dentro 11 quale si svolge su un piano rigidamente razionale la vita degli abitanti. Ma anche l'aspirazione rappresentata dalla piramide che s'apre verso il cielo come verso una inafferrabile conquista, è distrutta dalla necessità in cui si trova Ardo di sfruttare la piramide per ne^ cessità finanziarie destinandola ad una curiosa industria, quella della catalessi artificiale. Ma la proprietà dell'edificio gli è sottratta, ond'è che, vecchio e sconfitto in tutti i suoi sogni e in tutte le sue iniziative, deve allontanarsi per per sempre dai Noemiti. In questo amara solitudine, egli si incontra con una signorina americana, mi3s Jane, con la quale s'accompagna e che poi lo abbandona per visitare Cuordelmonte dove, nella piramide capovolta, vivono i superstiti Noemiti. Le lettere che miss Jane manda ad Ardo costituiscono la conclusione della trilogia di Vlscardini. Ardo finisce per tornare alla Piramide, dove muore dissolto dalla fiamma non 3enza però aver prima raccolto il senso delle sue fortunose esperienze in un ammonimento sereno: « Fortunati — egli dice — coloro che hanno, anche vegliardi, i giorni riempiti di fatti, di obbiettivi raggiunti, di azioni volontarie dirette ad uno scopo che loro è caro e che da lontano accarezzano con l'immaginazione. Agire animati da una speranza, sorretti da una fede, consci dello scopo e dei mezzi, è forse il meglio dell' uomo ». Cosi, con un « forse», si chiude quest'opera che ha il torto di essere troppo macchinosa, di schiacciare con la sua mole eccessiva e con le sue pretese filosofiche quel che nel Viscardini vi è di più fresco e vivo: l'arguzia sottile, la moralità icasticamente efficace, la fantasia pronta alle evasioni, l'incisività nel rappresentare figure e cose. a e i e i o è Mentre la Romagna si prepara a ricordare degnamente Carducci e Pascoli, segnaliamo una raccolta di versi di Vincendo De Carli {Fàrfare e 8cordH Ed. Apollonio, Cremona), un romagnolo che della poesia dei due grandi poeti ha fatto sangue del suo sangue. La magniloquenza e l'invettiva carducciana gli sono di guida nell'affrontare i temi civili, come la dolcezza sottile del Pascoli gli dà parole e ritmi per i temi domestici: ed è suggestivo vedere come gli spiriti e le forme dell'ultimo nostro ottocento possano dare inspirazione e materia per cantare la vita d'oggi nelle sue manifestazioni più attuali e più vive. V.