Come è nata una nuova città sulla camionale dei Giovi

Come è nata una nuova città sulla camionale dei Giovi OPERE DEL REGIME Come è nata una nuova città sulla camionale dei Giovi GENOVA, luglio. H tram ci rotola fino a Pontedecimo, in un'ora e più di corsa, spesso bruscamente interrotta per improvvise frenate: piombano già dai Giovi, verso i quali noi andiamo, gli enormi autocarri ricolmi, ed affrontano le curve e i rettilinei con una decisione pau. rosa, quasicchè non sapessero d'avere sulle spalle venti tonnellate di merce. Ad ogni voltata, l'occhio smorto di un camion o la curva di un parafango si dispongono ad accarezzare e a sdrusci- ■ re la verde epidermide di un_tram. Evidentemente fra questi bestioni v'è incompatibilità di carattere. Sinfonia in bianco e nero ... A Pontedecimo si esaurisce il nastro delle rotaie ed entra in scena un grosso ed elegante autobus, il quale • Inizia di gran carriera la corsa verso Mignanego, amenissimo paese che raccoglie centinaia di villeggianti nella stagione propizia. Si corre nella campagna, sul lucido asfalto della strada , che conduce alla vetta verso la quale ■ si avventano, una volta ogni anno, le macchine da corsa impegnate nella Fontedecimo-Giovi. Si corre fra il • verde, un verde intenso che però non dà più il suo tono unico, lieto e patriarcale, al paesaggio; si impongouo ■ violentemente altri due colori, che assorbono l'attenzione di chi transita, macchiano i muri, i cancelli, gli alberi, tutto: il bianco e nero delle segnalazioni automobilistiche. La strada 6 nervosissima, ad angoli secchi, come l'umore di una signorina vecchia e bisbetica; chi non s'avventura con accorgimento, rischia dì fiaccare il radiatore nel più prosaico dei paracarri. Per questo tutto è stato dipinto in bianco e nero, a grossi romboidi che sembrano sezioni di uno strano giuoco di scacchi. A destra e a sinistra, fin dove giunge l'occhio, questa sinfonia In bianco e nero si sovrappone al quadro; richiama l'attenzione dell'automobilista e gli impone di correre nell'alveo della striscia — naturalmente bicolore — che separa esattamente la via in due parti, come il pettine sparte la chioma e il confine resta tracciato dal colore chiaro e caldo del cuoio capelluto. Non si può quindi fare attenzione alla grazia di certi alberelli che si curvano nei campi, sotto i carichi di ciliegie e di pesche, al frusciare di torrentelli che si arrabattano di pietra - in pietra, alla poesia di alcune casette 'linde poste a salvaguardia di collinette monde e ben tenute. La strada è despota, vuole tutti gli occhi per sè. Giù dai Giovi continuano ad airivare a rotta di collo gli autotreni, rossi, verdi, azzurri, di ogni colore, colossi in libertà che sono ben lieti di aver scalato, sudando, la vetta, e di potersene trottare in discesa a briglia sciolta, che sarebbe come dire a motore spento. Poesia del lavoro Slamo all'Inizio di un viottolo, illustrato da un grande cartello che precisa: «VI Lotto Camionale». Un palo, o meglio, uno stipite dell'immaginario portale che delimita l'ingresso di questa viuzza ha una caratteristica strana: porta scritto, in un quadro luminoso, l'umore del padrone di casa. Viene da pensare a certi tappeti che sulle soglie delle case salutano « salve! ». Una cassetta, divisa in due scompartimenti, contiene due scritte: « Entrate » ed « Aspettati » : un comando, elettrico illumina quella metà di segnalazione che il pubblico deve leggere. Adesso, ad esempio, non si può entrare. Lieve attesa, poi s'ode uno scoppio che la lontananza attenua: e dopo un poco la luce si accende di sotto. Via libera. Si va su per scorciatoie, aspre, fra filari di viti, nel rigoglio delle piante e dei fiori: la natura esplode con generosa veemenza ed ogni solco esprime un bene di Dio. Il silenzio intenso, quasi attonito, è rotto talvolta dall'eco di un colpo: come se appunto l'eco si fosse messo il silenziatore, e se lo tolga ogni tanto, senza pensarci, per un attimo. Sempre fiori, ciliegie, pesche, erbe, alberi di fico: finché, cammina e cammina per viottoli e sentieri, si giunge su una collinetta che s'apre sull'incanto della vallata. Tutto attorno, in lontananza, si muovono punti minuscoli che devono essere uomini e macchie grosse che devono essere macchine. Si scorgono sullo sfondo grigio dei pendii tagli netti, come li fa un coltello su un lato di torta; si che dove una volta esisteva un dolce declivo, adesso s'erge a picco un muro, fatto di grosse e solide pietre che contiene la terra franabile; e ai piedi del muro si stende la nuova strada. Qui è nata una nuova città, distribuita in dormitori, ospizi, cucine, magazzini: diverse migliala di lavoratori vi operano, legionari di un Cesare moderno che fa nascere d'incanto le superbe arterie di domani. Lavorano all'aria aperta, al sole; i visi e i corpi acquistano un colore fosco di bronzo, sprizzano salute, Si direbbe che in tutti questi occhi brilli l'orgoglio dell'opera che qui si compie. Infatti, quel punto incerto e cupo che Individuiamo a pena è l'imbocco della galleria del Littorio, l'opera maggiore di tutta l'immensa mole di lavori per la costruzione della Camionabile. Ponti, piazzali, altre gallerie, tutto è niente al confronto di questo tunnel che sforacchia una montagna come fanno : bimbi col dito, nei monticeli! di sabbia umida: e l'orgoglio è quindi ben giustificato. Dicemmo ohe tutta una nuova città è sarta: anche una nuova sbrada, supplementare e che non entra nel programma dei lavori, per il trasporto del materiali in arrivo ed in partenza, a mezzo della ferrovia decauville. Il minuscolo binario ha trovato il suo posto •costando alberi, promontori, trans! tando su ponti di legno sotto ai quali chiacchierano sorgenti: e il mare di papaveri in mezzo ai quali corre la locomotiva con la collana di vagoncini ci suggerisce una considerazione. Quando gli uomini hanno tagliato il dosso erboso della collina ine hanno recisi moltissimi, ohe giacciono a terra e sembrano macchie di sangue: che sia Il papavero quello che indica, nella terminologia umana delle cose materiali, il dolore dei solchi incisi dal piccone e dalla mina, che il papavero reciso stia a significare le lacrime di sangue versate dalla terra violata e divelta? -Seguendo il tracciato della ferrovia HèBulevhnatafinrLttpeddzgbasdgdpSfteAgmtgvqvtgfsdotopciucvRptm\etgiungiamo al piazzale della Galleria , a H versante sul quale noi ci troviamo è quello di Passo dei Giovi: di là v'è Busalla. La galleria sarà lunga quasi un chilometro: dalla parte di Bu3allla lavora un'impresa che ha il compito di escavarne trecento metri, da questo versante 1 fratelli Beandovi di Bologna hanno tutto il resto. II grandioso tunnel sarà diritto, largo dodici metri ed alto altrettanti: vi potranno transitare cosi contemporaneamente due autotreni e due maochùie marmali, affiancate: e l'ing. Carré, direttore generale dei lavori, assicura che vi sarebbe il posto anche per due « Balilla». La galleria è tutta sostenuta da centine in ferro, foderata in pietre e mattoni e resa impermeabile con un certo processo. Esattamente alla sua metà, essa sarà amplissima, per via di una doppia « camera » che verrà costruita dall'uno e dall'altro lato: provvidenza, questa, creata affinchè in caso di guasto un veicolo sia tolto da ingombrare il transito, e passa provvedere alle necessarie riparazioni in questa specie di garage aperto nei fianchi della montagna. L'opera maggiore Un chilometro circa sarà lunga la galleria, già lo dicemmo. L'impresa della parte di Busalla è già penetrata per un centinaio di metri: quella degli Scardovi per quattrocentotreeta. Il foro è quasi celato dalle fitte impalcature in grossi travi: gli uomini entrano ed escono armati di fiammelle esigue. Avvicinandosi all'iaigmesso (l'arco del grande ingresso è costiruito solo a metà) si ode da lontano l'infernale battere dei martelli perforatori, mitragliatrici del lavoro. Seicento operai lavorano in queste, tenebre per ventiquattro ore al giorno: sono essi in prevalenza veneti, di Belluno e di Vittorio, e poi bergamaschi, toscani, liguri. Al servizio di questo mostro, che fra non molti mesi si affaccerà anche sull'altro lato e rimbomberà di scoppi di motore e di rauchi segnali, stanno oltre ai seicento uomini dodici locomotive Diesel e duecento vagoncini. Ogni otto ore centottanta di questi ne escono portando via la terra smossa e divelta: corrono sul veloce binario, buttano giù in un fossato il loro contenuto.' Gli uomini svuotano il monte e della sua carne — metaforica carne — se ne servono per costruire un ponte, quello di Rio Cassine: l'entità geologica violata potrà sempre vedere, poco lontano, trasformata e solidificata, la stessa sua materia. Parlavamo dei vagoncini. In \rentiquattro ore oltre cinquecento escono quindi dal tenebroso imbuto: ma quattrocento vi ritornano carichi. Essi portano sterminati cumuli di mattoni, e fiumi di cemento, mari di sabbia, di ghiaia, di calce, di pietre, mentre all'estremità massima, verso il blocco ancora compatto, si distrugge e si fa crollare, qualche decina di metri più indietro già si ricostruisce. Entrano nella galleria le traverse metalliche che sosterranno la volta, le travi che punteJlerapno ì massi pericolanti, e tutti' gli altri materiali già detti: un bel giorno non ne usciranno che gli uomini con le esili fiammelle, e ì tronchi squassati e imbiancati dalla polvere penetrata nelle loro giunture: e tutto il resto sarà rimasto dentro, mirabilmente unito e cementato. A fine lavori, oaicolando per ogni metro lineare l'estrazione di centoventi metri cubi di materiale, moltiplicando centoventi per mille, avremo 120.000 metri cubi di materiale estratto. Non possediamo elementi per offrire un paragone, per esprimere figuratamente ciò che significa questa massa di roocia e di terra nel confronto, ad esempio, ccn un transatlantico: ma si tratta di cosa immensa. dpFierezza d'artieri Il 28 ottobre sarà tagliato il nastro simbolico che impedirà l'accesso al tunnel sormontato dalle insegne del Littorio. Quanto significato, in fronte all'opera immensa, avrà l'emblema dei fasci e della soure! Dicemmo dell'orgoglio che risplende negli occhi di questi lavoratori, intenti alle loro mansioni con un entusiasmo ed una fede che ci fanno pensare come le virtù peculiari, congenite, lontanissime dell'uomo non siano estinguibili, e siano particolarmente alte negli elementi della nostra razza: la passione di costruire, di dar vita, di « fare », in una parola. Questi seicento operai non sanno forse se avranno altro lavoro, dopo l'ottobre: ma a questo non pensano, che adesso hanno da compiere e da ultimare l'impresa colossale, e tutti sono assorbiti in tale altissimo scopo. Ci dicono i loro dirigenti che in mesi e mesi di vita co mune su questi menti, vita da eremiti e quasi da contadini, mai un alterco è scoppiato, mai una rissa ha dovuto essere sedata. E vengono da dieci Provincie d'Italia, hanno necessariamente caratteri e temperamenti diversi. Ebbene la falange è compatta e solida, cementata ferreamente come le volte della galleria che essa costruitice. Salutano romanamente, con gesto sciolto e viso sorridente, l'ospite che credano d'importanza perchè lo hanno visto interessarsi delle loro cose e scriverle: noi comprendiamo che con quel gesto essi salutano l'avvenire. L'avvenire oneroso, fertile, divino di questa patria nostra, sorriso del Cielo, campo per ogni impresa: nella cui terra, ogni vomere che affonda in un solco genera una bellezza, una virtù, un eroismo. RENZO BIDONE. pttlapanscjVPmilgsrintCsldpgdgvepqfiqdardsdvapftdrccgatDlpvctvlCBvEc

Persone citate: Renzo Bidone

Luoghi citati: Belluno, Bologna, Busalla, Genova, Italia, Mignanego, Pontedecimo