La Jugoslavia è in pericolo

La Jugoslavia è in pericolo La Jugoslavia è in pericolo pDue atti di accusa francesi « \\ fallimento morale e materiale di una dittatura VIENNA, luglio. • La letteratura balcanica francese i è, jiegli ultimi mesi, arricchita di duo volumi dedicati ad un tema che ewa di solito evita, oppure tratta nforcando gli occhiali dell'aleata ohe non vuole veder tutto: il tema è a Jugoslavia, ed i volumi sano La mutature du Roi Alexandre, un vero e proprio atto d'accusa compilato dall esule Svetozar Pribicevic contro ?li attuali governanti della sua parla, e La Yugoslavie en vèril '!, cùo spone i risultati d'un'inchiesta eseguita sui luoghi dal deputato Pezet e dal professor Simondet. Inchieste del genere ne hanno g'à fatta scrittori politici di altri paesi (nel 932 leggemmo con interesse quella di due deputati inglesi), però in rancia, come dicevamo, si preferiva on toccare l'argomento. Ora la launa è colmata a dovere: anzi, se eniamo presenti le due pubblicazioni del Boghicevic sul processo di Saonicco e sul colonnello Apis, appare anni addietro, ci tocca riconoscere he anche in francese si possono oramai leggere sulla recente sLoria della Jugoslavia pagine le quali ha da meitare chiunque voglia studiare a ondo mentalità, tendenze e situaione di quell'interessantissimo reoo. H libro di Svetozar Pribicevic, sebbene ricco di dati e documentato con arghèzza, ha il difetto d'origine, di ssere il prodotto spirituale d'un omo che l'ingratitudine dei connaionali e l'esilio hanno riempito di amarezza. Il che non significa che il ibro sia un tessuto di falsità: tut altro. L'osEervaziono è fatta solo per rammentare che un lavoro simie il lettore lo esamina con una prevenzione assolutamente comprensibile e giustificabile. Però, quando vediamo il deputato de! Morbihan e un professore della Ecole dea Sciences olitiques citare i fatti che Pribicevic cita ed illustrare le idee che Priicevic difende, allora dobbiamo supporre che l'esule ha detto cose tanto ondate e giudiziose, da allarmare 'opinione pubblica dello Stato al uale le sorti della Jugoslavia stano maggiormente a cuore. Strana e intomatica è sopratutto la concoranza dell'avviso dell'esule serbo e ei due scrittori francesi che i tentaivi per operare l'unificazione nazioale in Jugoslavia siano da ritenere alliti e che, se non l'idea monarchia addirittura, il prestigio della diastia regnante ha subito una tale cossa, da lasciare seriamente dubiare delle sue future possibilità. Il nostro scopo è oggi lo spigolare nel libro del Pezet e del Simondet. he non ostante gli sforzi compiuti al governo belgradese per farlo pasare inosservato ha avuto nell'Euroa sud-orientale l'effetto d'una bomba: effetto-uguale ebbe, nell'inverno, a lunga conferenza tenuta dal Pribicevic, a Parigi, ai membri della ommissione parlamentare per gli Esteri. Quanti nell'Europa sudorientale s'occupano di politica adeso si chiedono se la Francia non sia eventualmente disposta, pur di salvare l'integrità della Jugoslavia e 'amicizia del popolo serbo (che l'amicizia del popolo jugoslavo sarebbe un'altra cosa) a sacrificare la dinatia dei Karageorgevic. A due ripree, il Pezet e il Simondet fanno dire a degli anonimi, e quindi confermano alla lor volta, che gli aiuti finanziarli accordati dalla Francia alla Jugoslavia vengono considerati aiuti ad,un regime detestato, che bisogna sottrarre la Jugoslavia al pericolo dello smembramento e salvare, al empo stesso, quello che resta di simpatie francesi nel popolo .jugoslavo: senza averlo nò voluto nè meriato, e senza saperlo nemmeno, la Francia ha già perduto una parte del grandissimo prestigio Gli autori deplorano che l'opinione pubblica francese sia stata sempre male informata dai suoi maggiori giornali, e quasi ingannata: per darne un saggio, riproducono un serio articolo del corrispondente da Belgrado del Temps sulle ridicole elezioni politiche del settembre del 31: «Ecco su quali informazioni — commentano pòi — si basa l'ottimismo che in Francia ha regnato, ed in parte ancora regna, in merito alla situazione in Jugoslavia ». A loro giudizio, « la situazione è realmente grave », la dittatura l'ha aggravata più di quanto non fosse sino al 1929, e siccome il regime dittatoriale non è riuscito a fare l'unità nazionale, « la Jugoslavia non esiste ». La dittatura ha fatto fiasco morale e materiale. Viaggiando in Jugoslavia si ha « l'angosciosa sensazione di un tragico malinteso che si aggrava, fra il popolo ed i suoi dirigenti, e la cui posta può essere la sorte stessa della Jugoslavia». A omentare il malcontento del popolo contribuisce la miseria economica. Siccome il ministro di Jugoslavia a Parigi, signor Spalaikovic, ha detto che nei paesi amici al suo Governo occa combattere « non solo l'ignoranza, ma anche l'incoscienza », i due scrittori gli rispondono che « ignoranti, se ancora ne esistono, sono coloro i quali continuano a credere che in Jugoslavia tutto vada bene ». Per concludere, i due francesi ripetono all'indirizzo della Jugoslavia parole dette durante la guerra, all'indirizzo dell'Austria Ungheria, da *n grande amico degli slavi, Ernest Denis: « Quando uno Stato, per soddisfare una malsana ambizione, pretende di sottomettere nazioni troppo differenti, o troppo ostinatamente risolute a difendere a loro individualità perchè si possa assimilarle, esso corre verso la rovina... ». Dei perniciosi mali di cui la Jugoslavia patisce, il Pezet ed il Simondet debbono riconoscere responsabile, l'abbia voluto o no, il Re. Al loro arrivo in Jugoslavia essi non sapevano, di Alessandro Karageorgevic, che le belle cose dette sul suo conto, mentre l'Europa era n armi, da giornalisti francesi, e quindi erano « favorevolmente disposti»: immaginarsi, dunque, la oro sorpresa a sentire, anche nela vecchia Serbia, « cose inverosimili ». I serbi non trovano che Alessandro durante la guerra abbia fatto nulla di straordinario o di eroico, invece rammentano allo straniero che il Principe Alessandro aveva progettato dei passi presso le Potenze centrali, per ottenere una pace separata. Anche se queste voci sono calunniose, « il fatto stesso. della loro esistanza, ha osservato un anonimo interlocutore, è un indizio dello stato d'animo nei confronti del Sovrano ». L'internamento del Principe Giorgio (che sarebbe stato il vero erede al trono oggi occupato da Alessandro) viene paragonato « alla storia del Sultano Abdul Amid e di suo fratello Murad... ». 'Nessuno crede che Alessandro abbia idee liberali: al contrario, lo 3i sospetta di assolutismo e lo si rende moralmente responsabile di tutte le misure, e in ispecie di quelle impopolari, prese dalla dittatura. H Pezet e il Simondet non possono contestare che col 6 di gennaio del 1929 il Sovrano è passato in primo piano. Pur riferendo l'opinione di autorevoli serbi che « l'educazione civica del paese è troppo deficiente per permettere la sostituzione della repubblica alla monarchia », dicono essere incontestabile che «prestigio e popolarità del Monarca diminuì scono alla giornata ». che la perso nalità- del Re è attaccata sempre più, che il popolo jugoslavo ha finito di vedere in Alessandro il depositario e il tutore delle aspira^ zioni del paese, e che la gioventù universitaria crede sempre menò nella possibilità «d'una felice soluzione del conflitto serbo-croato sotto la Monarchia». Questa frase, la cui gravità è di un'evidenza paurosa, la ritroviamo tal e quale in Pribicevic : « Non esiste nessuna possibilità di risolvere la crisi dello Stato jugoslavo sotto la Monarchia ». Molto hanno nuociuto al Sovrano la camarilla di Corte e il fasto che alla Corte si mena : « La corruzione che il Re rimproverava al regime parlamentare è diffusa attorno alla sua persona, e lui l'ignora... ». Si narra a Belgrado che il Ministro della Real Casa, Jeftic, cognato della moglie del generale Pera Gifkovic, non ebbe il gradimento inglese per la nomina ad ambasciatore a Londra, « essendo figlio d'un uomo condannato come falsario ai lavori forzati » : ciò non ostante egli conservò la carico', a Corte, ebbe l'incarico di leggere davanti ai ministri la nuova Costituzione promulgata dal Re per decreto nel 1931 «e oegi è ministro degli Affari esteri ». Così i due scrittori alleati. Per il generale Gifkovic i due francesi nutrono la stessa cordiale antipatia da essi notata, nei suoi confronti, nel popolo serbo. Sebbene sempre perplesso, e in uno stato di crescente imbarazzo, una cosa Re Alessandro ha indiscutibilmente e fermamente voluto e cioè la creazione d'una Jugoslavia unita e indivisibile: in dieci anni di Governo parlamentare, gli uomini di partito (dato e non concesso che a tale obiettivo essi abbiano mai onestamente mirato) avevano aggravato le difficoltà dell'impresa, sicché bisognava ricominciare in condizioni più difficili: « E a chi ha confidato il compito il Re? », osservano i signori Pezet e Simondet. « A un ufficiale di Corte, a un generale che aveva stranamente profittato dell'intrigo e del favoritismo! La scelta era singolare, l'uomo non all'altezza del compito e mal preparato ad adempirlo ». Scegliendo Gifkovic, Re Alessandro ha accoppiato allo sbaglio nella scelta del metodo quello nella scelta dei collaboratori. Gli autori della sensazionale inchiesta — tale si può bene chiamarla — non fanno mistero del loro sospetto che Gifkovic, ridiventato comandante della Guardia reale, mediti di aggravare la situazione al punto da costringere il Re a restituirgli il potere. Il quesito da essi posto e chiaro: «Il generale Gifkovic vuole salvare la dinastia, o non cerca invece di comprometterla per impadronirsi lui del potere?». Ribellarsi contro il misterioso personaggio, chiedere al Re che Pera Gifkovic venga reso inoffensivo è fatica inutile: nello scoi-30 ottobre il mini stro Boja Maximovic — che non a veva portafoglio — informò il Sovrano della propaganda fatta dal generale Gifkovic contro l'augusta per sona e chiese che s'intimasse al gè. nerale di lasciare immediatamente l'esercito. Fu anche presentata una interpellanza alla Camera e il ministro dichiarò che se il Sovrano non l'avesse accontentato, lui si sarebbe dimesso. Invece « il generale non s'è spogliato dell'uniforme, l'interpellanza è stata ritirata dal suo autore e il signor Boja Maximovic è entrato nel nuovo Gabinetto Srskic come mi nistro della Giustizia... ». A quanto pare, e noi ci atteniamo sempre ai risultati dell'inchiesta dei due insospettabili scrittori francesi, dopo che il ministro a Berlino Balughcic, da lui chiamato in patria per studiare la situazione, gli ha detto che il regime del 6 gennaio 1929 ha fatto bancarotta, Re Alessandro, che teme per la propria persona e per la dinastia, ripone le ultime speranze nell'esercito: e ai suoi occhi il generale Pera Gifkovic è l'unico capo in grado di raggruppare l'esercitò attorno alla dinastia ed al regime monarchico. Ma in merito a questa fiducia del Sovrano i signori Pezet e Simondet fanno ampie riserve : composto di varie nazionalità, l'esercito ancora non ha acquistato la necessaria coesione e non s'è sottratto alla ondata di scoraggiamento morale rovesciatasi sull'intero paese (però esercito e nazione insorgerebbero unanimi e risoluti di fronte ad un attacco italiano); anche la Francia farà bene a convincersi che il credere che appoggiandosi al Re si disponga sicuramente dell'esercito « è un grande errore ». Durante un pranzo di ufficiali della riserva, uno dei presenti, di grado elevato e di rango sociale eminente, si appartò con i due francesi, e a nome di tutti i colleghi e camerati — consultati in precedenza — si rese interprete dell'universale malcontento e della trasforma- hinteltcnrnntmnrptbPdzeogddslrtgIsr«sotdcnpmMnozione radicale sopravvenuta nei*se*n-ltimenti un tempo nutriti verso il So^ vrano. Camarilla di Corte e cattivi consiglieri a parte, « il responsabile di tutto è, in fondo, il Re, perchè persiste nella sua attitudine ». I signori Pezet e Simondet non escludono che degli ufficiali, come nella storia della Serbia s'è già visto, finiscano per avere la convinzione ch'essi soltanto possano salvare il paese. ITALO Z1NGARELU