Il centenario dell'Armeria Reale

Il centenario dell'Armeria Reale Il centenario dell'Armeria Reale Milleottocentotrentatrè! Età romanica a Torino, con qualche bagliore albeggiante di patriottismo e di italianità- Carlo Alberto regnava con polso ermo e talora, da un Inatteso atto di governo, trasparivano la sua volontà di rinnovamento e il suo intimo spirito di modernità. Sovratutto nel campo delle armi, poiché l'esercito, in silenzio, si organizzava per le futuro epiche imprese. Cosi forte fiori nel pensiero di Re Carlo Alberto l'idea di fondare una armeria, che promuovesse l'amore dele cose militari nel suo forte popolo. E per colpirne l'immaginazione volle che l'armeria riuscisse sontuosa, decorativa, cavalleresca, quasi come una bella rappresentazione del .suggestivo eroico passato. Cominciò col scegliere uno splendido luogo per allogarvela, e cioè la galleria di Benedetto Alfieri, purissima di stile, con la volta decorata mitologicamente dal Beaumont, con gli stucchi del Ladatte, caminetti del Martinez, e i marmi e i rilievi degli scultori Collino e Bernero. Là nella bella galleria di Palazzo Reale, cento ami or sono, si recò quotidianamente 1 pensoso Re Carlo Alberto, col suo primo scudiero, conte Vittorio di Seyssel d'Aix, per studiare il modo migliore di sistemare la bella raccolta d'armi! Furono discussioni lunghe, minute, puntigliose talora, ma fertili di risultato. Tanto il Sovrano quanto il suo scudiero conoscevano e ricordavano la Btorica armeria madritena, e volevano emularla, superandola almeno nel buon gusto e nella suggestività dell'ordinamento. Dalle pareti a riquadri policromi della galleria i bassorilievi eroici rievocavano intanto i fasti guerrieri dell'antico Piemonte. Vittorio di Seyssel d'Aix, ad ordinamento compiuto, fu nominato direttore e conservatore della Reale Armeria, carica nella quale gli succedette poi il generale Actts, alutante di campo di S. M. il Re. Ed 1 torinesi d'allora facevano mèta del loro modesti passatempi domenicali la bella galleria detta del Beaumont, e riprendevano spirituale familiarità colle armi, a mano a mano che si avvicinavano i giorni risolutivi del Risorgimento. Oh quali eroismi cavallereschi rievocavano forse gli adolescenti piemontesi di quei giorni ancora grigi, passando con religiosa attenzione fra le 67 armature complete colà raccolte, di cui 18 a cavallo, ricche di acciai e di ntarsiature dorate! Ecco, ad esempio, quella di Don Fiippo Guzman, governatore spagnolo di Milano, ohe faceva pensare ai tormentati tempi dei «Promessi sposi ». Ecco poi l'altra di Francesco I, quella del cardinale Ascanio Maria Visconti, la ricca targa coll'insegna di Diana di Poitiers, attribuita all'impeccabile buino di m esser Benvenuto Celli ni; ed ancora le armi di Emanuel Filiberto, del Principe Eugenio, la spada di San Maurizio, che era stata trovata presso e ossa del martire guerriero nella cappella reale; ed infine un'armatura di bimbo, evocatrice per gli adolescenti, visitatori di precoci ardimenti, ed una femminile, che alle fanciulle romantiche, come le contemporanee ballate del Prati, suggeriva lo gesta di una qualche Clorinda dalle bionde chiome. Cosi fu ben {presto celebre e si andò sempre più ampliando l'Armeria torinese che, secondo l'Intenzione del Re, doveva promuovere gli spiriti guerrieri della, gente subalpina. Quasi ad agevolarne riHustrazlone e lo studio vedevano intanto la luce a Tarino molte opere notevaEsstone di scienza militare. Cesare Saliuzzo pubblicava ì Souvenirs mtiitaires des Etats Bardcs, Annibale Seihazo Lo Alpi che cingono l'Italia, Alessandro Saluzzo la sua famosa Storia militare della B. Casa di Savoia. E a questi tre insigni discendenti dell'antica famiglia marchionale si affiancavamo Luigi Cabrarlo con Détte Artiglierie del MCCC al MDCC, Ercole Ricatti colla Storia delle Compagnie di ventura, Carlo Promis colla Vita di Francesco, Giorgio Martini con varie dissertazioni sulle fortificazioni e sulle armi da fuoco, ed infine Francesco Omodei con certe altre sue Dissertazioni sii varii punti deUa storia delle armi da fuoco. Messe florida e significativa di studi militari, che bene si affianca idealmente ai contemporaneo incremento dell'Armeria di Piazza Castello, E ci piace immaginare, là nella storica galleria del Beaumont dedicata ad eroici ricordi, qualcuno di questi valentissimi studiosi, intento ad analizzare le armi esposte, a discuterne con esperto calore, alla presenza magari dell'austero Sovrano, buon intenditore in materia e valente maestro di nuova strategia. Celebre dunque l'Armeria Reale di Torino sin dai primi anni della sua esistenza: cara al Re e al popolo, e degna magari di un epico canto, che ne esaltasse gli storici tesori. Per l'appunto ta tal senso ne scriveva su queste stesse colonne uno dei più vivaci giornalisti del tempo, Felice Romani, augurandosi nelle sue briose appendici alle Effemeridi subalpine — e precisamente in quella del N. 92 della Gazzetta Piemontese (aprile 1840) — che l'Armeria Reale trovasse presto un nuovo Mascheroni per degnamente lilustrarla. E il voto, sia pure con qua! che ritardo, si realizzò un ventennio più tardi per opera dà Giuseppe Regaldi, 11 poeta improvvisatore ai suoi giovani anni, lo studioso delle funttchtta elleniche, diventato in provetta età buon docente universitario di Storia antica. Giuseppe Regaldl visitò attentamente l'Armeria Reale, più volte sotto la guida del direttore conservatoro generale Actis, e quando bene la conobbe in tutta la sua importanza ad essa innalzò un epico carme in ottave e in due canti, esaltando del magnifico museo sabaudo gli storici ricordi. Il carme, corredato di note erudito dello stesso autore, fu poi pubblicato nel 1861 dall'antica tipografia editrice di Sebastiano Franco e figli. Quanto però eran già mutati i tempi! E da quanti anni era già scomparso, nello stanco esiilo di Oporto, il fondatore dell'Armeria Reale! Tutta un'epoca era passata, con le speranze, le lotte, le amarezze e le vittorie, col buo decennio di raccoglimento, col fulgore dell'indipendenza raggiunta, colla, proclamazione del regno d'Italia. Camillo Cavour anzi al recente Pariameato Italiano convocato in Torino, durante la seduta dell'undici ottobre, aveva già proclamato con profetica energia: «La nostra stella, o signori, ve lo dichiaro apertamente, è di fare che la città eterna, sulla quale venticinque secoli hanno accumulato ogni , genere di gloria, diventi la splendida capitale del Regno italico ». I nuovi fati di Roma erano segnati, e Giuseppe Regaldi, nel suo canto epico volle con spirito classico affiancarli alla grandezea ellenica. Ma nel suo memore cuore, pure in quella grandiosa aurora di Regno, non poteva il poeta dimenticare chi aveva fondata l'Armeria, e fra le molte armi oolà esposte scelse a motivo della sua ispirazione la semplice spada a due taglienti brandita da Carlo Alberto in combattimento. Accanto alla quale l'Armeria conserva un'altra più ricca spada lavorata ed istoriata con gemme e smalti, una spada che ha anch'essa una storia. La regina vedova Maria Cristina, verso la fine del 1848 e a mezzo de] suo Gran Maestro il conte Filiberto di Collobiano, l'aveva fatta lavorare per offrirla a Re Carlo Alberto. Maria Cristina mori a Savona nel marzo del 1849, e 11 marchese Vittorio Caraglio di San Marzano ebbe l'Incarico di portare ad Oporto al Magnanimo quella spada ingioiellata. Il Caraglio apprese in viaggio l'improvvisa morte di Carlo Alberto, e rientrò quindi in Piemonte. Più tardi la spada, per ordine di Re Vittorio Emanuele II, fu allogata nell'Armeria Reale. Giuseppe Regaldi non volle però cantarla, e le preferì la semplice spada di combattimento, che esaltò accanto ad un'altra sciabola augusta: quella dell'Imperatore Costantino XII Paleologo, che mori combattendo a Costantinopoli : TJna falcata Bpada Infra le tante Operatrici di stupende imprese Nell'aula marzio! mi eorge Innante 8i che d'arca-na fla.mma entro m'accese. La spada imperiale si conserva tuttora priva d'elsa e di fodero: pura lama che su di un campo di stelle, rappresenta cesellata in oro l'immagine della Vergine col Figlio, fra due ceri, sormontata da due angeli portanti una corona gemmata di tre rubini. Curioso destino di questa antica quattrocentesca lama appartenuta ad un Sovrano d'Oriente e donata ad un Sovrano Sabaudo! Infatti la sciabola era stata acquistata a Costantinopoli dal barone Tocco, ambasciatore sardo presso il Gran Turco, e l'aveva, con molte altre preziose armi orientali, inviata in dono a Re Carlo Alberto per l'Armeria Reale, che appunto in quell'epoca, circa Cento anni fa, si stava allestendo a Torino. Cento anni fa! Come pare lontano l'anno di grazia 1833, quando Torino, ancor piccola capitale, cominciava forse appena ad intravedere i più grandi destini della Patria! E l'Armeria Reale, nascendo allora, storicamente e tecnicamente degna di una grande Nazione, fu certo uno dei primi segni anniniziatori del prossimo futuro. Cario Alberto vi passò, quando fu compiuta, molte delle sue ore pensose, e guardando la' vetusta spada di San Maurizio, le armi di Emanuel Filiberto, o quelle del Principe Eugenio, accelerò idealmente il giro degli anni e si vide sul campi della gloria guerriera, artefice della rinascita d'Italia. LUIGI COLLUSO.