Termila creature scardinate dalla vita hanno costruito la loro città

Termila creature scardinate dalla vita hanno costruito la loro città Termila creature scardinate dalla vita hanno costruito la loro città VOLTERRA, giugno. M'accorsi di quella strana città camminando per la passeggiata fuori delle mura di Volterra. La città bianca si presentò sul poggio, al di là della vallata, fatta di grandi edifizi rettangolari, con grandi finestre, d'un bianco di avorio; altri edifizi dello stesso colóre si dilungavano per le campagne lontane, e rispondevano a questi, altri si arrampicavano da questa parte della valle dove sulla proda alcune ragazze coglievano fiori. Passava la piccola e cinguettante comunità d'un collegio, si fermò, guardò un poco alla città bianca, si mosse; fuggirono pure, prese da una fretta improvvisa, le ragazze che coglievano fiori. La città bianca è dominata da una chiesa col suo campanile che in quell'ora, era sera, suonava. Quando smise, si sentì dalla città che pareva silenziosa, un vociare simile a quello dei ragazzi che fanno ricreazione in un collegio, ma, ad ascoltare meglio, quel vocìo era confuso come un litigio ; ma del litigio non aveva lo scoppio e la fine ; c'è una logica anche nel gridare più disordinato. Quello che mi colpiva di questi suoni, era una mancanza di ritmo, quel ritmo che l'orecchio degli uomini trova sempre in ogni complesso di rumori, e perfino nei rumori meccanici d'una città in movimento. Insomma, io che mi trovavo a Volterra per tutt'altre ragioni, non .sapevo che la città bianca che scorgevo di fronte a me era la città dei poveri malati di mente : San .Girolamo". Distinguevo, contemplando la città bianca, la sua pianta : in basso edifizi più grandi, che potevano essere magazzini e officine : una lavanderia, come si poteva arguire dai panni ste si al sole, un binarietto, un vagoncino carico spinto su e giù, cataste di legna e mucchi di carbone, più sopra, pel viale centrale, c'era altra gente che portava'non yedevo bene che cosa ; e percorrendo con lo sguardo la china su cui gli edifizi erano disposti a terrazze, vedevo distintamente un cortile, e nel cortile uomini che si muovevano, un cortile di ricreazione. C'è sempre un mistero, qualcosa di vietato in questi spettacoli della vita d'uomini scardinati dalla vita di tutti. Avevo fatto proposito di non guardarvi, e intanto osservavo con un'attenzione che mi rimproveravo. E vedevo quella comunità riunita, alcuni immobili, altri,,che distinguevo uno per uno, andar su e giù, e sempre nel medesimo atteggiamento, li vedevo ripassare a un punto fisso, col medesimo passo e gli stessi atti. Altri immobili parevano guardarli. Si parlavano, vociavano, cantavano nella loro disarticolata armonia, l'apparenza era d'una umanità qualunque ; eppure in quel reparto d'un centinaio d'uomini regnava un senso di solitudine, ognuna era egòdentemente sólo, nessuno afaraBpjfe con l'altra e" §òle erano lgfB^^ grida, soli gU ni : non avevo immaginato un affare simile; in quel momento mi parve che la verità della vita non sia altro che nella comunione degli uomini, nella loro capacità di stare insieme. Qualunque spettatore di queste cose, e non parlo dei più sensibili, finisce sempre col pensare a sè. Fu quasi per vedere il limite che separa la saggezza dalla follìa, che io varcai quel cancello aperto, il giorno dopo. Un animo sensibile, temevo, può domandarsi in un'atmosfera simile se per caso non dorma in lui unpo' di pazzia. Certo io assunsi un'aria ipocrita quando rivolsi al custode la domanda : « Vorrei parlare col direttore professor Scabia». Cercai la mia espressione più tranquilla e naturale ; volevo che il custode non avesse alcun dubbio su di me. Mi rallegrai con me stesso quando egli mi ebbe guardato e in un attimo misurando certo tutta la mia persona. Mi rispose tranquillamente : « Vada avanti pel viale principale, volti in fondo a destra, e domandi ».. Era un viale alberato. Una statua di gesso rappresentava tra due alberi una donna avvolta in veli opachi, ma non tanto che non si scorgesse un po' di nudità, e le mancava una lampada elettrica per somigliare a una delle tante statue che usavano al tempo del liberti. Su una balaustrata, a ogni pilone, teste di gesso, uomini e donne, avvolte in non so quale nebbia di non so che angoscia, teste di folli, forse opera d'un folle., Feci caso ai primi incontri, mi salutavano gente che portava secchi, involti, bottiglie ; mi salutò un cuoco col berrettone bianco, di dietro a un vetro, in un'enorme cucina ; poi ancora una statua di gesso di una donna seminuda ; alla fine del viale, in una radura d'alberi solenni, una grande statua di Garibaldi, le mani posate sulla sciabola, e ai suoi piedi un mazzo di papaveri, ma rossi, rossi come la pazzia. Questa statua mi parve intanto la cosa più straordinaria del luogo: il Cavaliere dell'Ideale guardava fisso come se facesse una parte, rappresentava forse qualche idea sublime al disopra della saggezza e della follìa umana, e forse da una vetta ove le due cose si confondono. Una donna in qualche luogo cantava ; « Oh bella, bella bella la storiella del cacciatore... », all'infinito. Ricominciava sempre daccapo, alla fine del verso, come se cercasse penosamente di riannodare il filo delle parole o dovesse inventarle. Aspettavo. Là intorno alla statua c'erano alberi e prati verdi, come in un angolo d'un vecchio parco. Tra i viali venivano avanti cam tirati da buoi, u'omini e donne con i loro fagotti, cassette di spazzature, fiaschi. Mi passò davanti un giovane alto e robusto, in un vestito sportivo, che in una berretta portava una nidiata di uccellini, ma con un'estrema delicatezza, badando di non urtare e di non avvicinare nessuno, ■ senza staccar mai l'occhio attento alla sua covata. Uscì un guardiano e m'interrogò.. L'lo mzochdabusolulavosi ficacamerchornevoti stdiDcatel'afodiridasie trtustscpeusatuncateglaervnpinseristinrinucdsftevddccdfgcduttstfuqppinlnsmbpsggdtuSdccmupamblrqvdaprvlmlstAgvrctsv a a a l o a e a a , i L'uomo della nidiata svoltava l'angolo dell'edifizio centrale in quel momento. Seppi che costui era un pazzo criminale. Seppi che tutti quelli che avevo incontrato sulla mia strada, e quelli che vedevo sul carro dei buoi, e la gente coi fagotti, tutti insomma, e il cuoco che "mi aveva salutato, non erano che dei poveri malati di mente. In quel momento la gente che avevo veduto laggiù andare coi suoi pesi avanzava verso di me. Era una fila di donne, molte delle quali coi capelli bianchi di'stoppa, coperte d'un camice grigio. Non guardarono nè me nè altri, tutta la loro attenzione era concentrata nei fiaschi e nei sacchetti che portavano, con una straordinaria cautela, come delle bambine che prendono confidenza coi lavori delle donne. Guardavano davanti a loro e ai loro passi. Dietro a questo un'altro, corteo d'uomini, vestiti di panno grigio, ugualmente carichi.Di questi qualcuno si chinò a raccattare qualche cicca di sigaretta in terra, ma quasi con nell'orecchio l'ammonimento del guardiano. Mi parve che tutto quel lavoro fosse un lavoroJjttizio, una commedia del lavoro, come in un purgatorio e in un mondo, starei per dire dantesco, in cui il lavoro è un fatto simbolico. E la stessa natura d'alberi e d'erbe che là era ridente come altrove di primavera, così savia e puntuale alle stagioni, mi pareva una stranezza. Tanto che ruppi un ramoscello di bosso lungo un'aiuola come per prova, e come se dovessi vederlo umido non di linfa, ma d'uno strano sangue Ma tutto era bello nella natura intorno, e tanto più in quanto nessuno la poteva guardare con occhcalmi. Così del lavoro cui vedevo intenti tanti uomini. E invece mi sbagliavo. . „ - - La città bianca ospita tremila malati di mente; una ventina d'anni fa erano soltanto due o trecento, in un vecchio convento adibito a padiglione; costoro costruirono padiglionper altri trecento, e così via, d'anno in anno : essi, i pazzi, costruirono case, aprirono strade, piantarono alberi ; poi, allargandosi, la comunità prese il carattere della città, i malati coltivarono i campi, ararono, seminarono, raccolsero, macinarono, impastarono, si fecero vestiti e biancheriain una parola la città bianca divennuna grande officina, simulò in ogncosa la vita comune, sorsero botteghd'operai, falegnamerie, calzoleriesartorie, lavanderie, cucine, gestitfornite e governate dai malati, e tutte queste cose secondo gli ultimi trovati della tecnica industriale più moderna, perfette al massimo, un modello di organizzazione, una specie dcittà dell'utopia, una città di semplici bisogni d'una comunità primordiale condotta secondo l'estrema perfezione moderna. Essa consuma oggi "quotidianamente 6 quintali dcameV--ào" Quintali di'" granò, • idi verdura. Vien fatto di pensare una società in cui fossero rimaste tutte le conquiste del progresso e delltecnica, ma vi si fosse perduto lscopo della vita, l'intelligenza creatrice, la vita sociale ; una tragedia dfine di mondo e di civiltà, buona peuna fantasia esaltata e pessimista. Questo a modo di fantasia; mqui si tratta d'uno degli esperimentpiù notevoli della scienza, d'uno depiù nuovi anche della legislazionitaliana : difatti trecento pazzi crimnali vivono nell'edilizio più alto dela città bianca, sul poggio, dipendono dall'Amministrazione della Giustizia, lavorano anch'essi in una comunità, alcuni in istato di relativa lbertà, e formano un esperimento depiù audaci del ministro De Francsci, il primo esperimento di questgenere che vi sia al mondo. Avevgià veduto l'uomo con la sua nidiatdi uccellini nel berretto; ne incontrai poi uno nelle cucine, armato dun coltellaccio ad affettare la carneSeppi che aveva due mancati omicdi sulla coscienza. Noi siamo abituati a vedere nellcommedie la gente che esce di senncon uno scoppio di risa, e immaginiamo i pazzi che ridono : quella risata uno dei punti ■ obbligati e dei pezzpiù facili dei filodrammatici e degattori. Ma qui mi sbagliavo continuamente. Visitando le lavanderie, lbotteghe, i magazzini, molti mi salutavano, alcuni assai seri, altri sorridendo. Io credevo questi i pazzi quelli i savi, cioè i sorveglianti al lavoro. Ed era il contrario. Mi accadde in un reparto di donne d'esseraccolto dai più «fragorosi applauspiù fragorosi che in tutte le conferenze della mia vita. Ma di questvisite dirò un'altra volta. Nella sala d'aspetto di questa città, dove malati aspettano d'essere internatla stazione di questa atroce partenzastavano gli uomini come in attesa dtreno, tranquilli, curiosi, impazientAlcuni chiedevano all'ispettore le sgarette, altri domandavano se.potevano uscire, cioè mescolarsi al iavoro e alla vita di tutti gli altri; e mcolpì la naturalezza con cui l'ispetore consigliava a certuni di andarsubito a vestire l'uniforme dei ricoverati. E niente era più curioso chsentire lo stesso ispettore interpellare alcuni con le formule in uso frnoi del mondo, quali : « Signor Tae Signor Talaltro ». CORRADO ALVARO.

Persone citate: Feci, Scabia

Luoghi citati: Volterra