Serenata alle arimi azzurre sulle rive del Danubio

Serenata alle arimi azzurre sulle rive del Danubio Fra una gara e l'altra ai campionati europei di scherma Serenata alle arimi azzurre sulle rive del Danubio -( Dal nostro Inviato speciale )- (Budapest, 14 notte. C'è, nel bel mezzo del campo del Club atletico ungherese, un minuscolo microfono collegato ad un altoparlante autorevole. Dal microfono si parla spesso e si parla forte, ma s'ha un bel tender le orecchie: questa lingua è davvero impenetrabile. Pure quel trombone, che per noi sembrava perfettamente superfluo, ci ha dato proprio il primo giorno una sorpresa tanto gradita da farci venir giù persino una lagrimetta di commozione. I ragazzi che avevano vinto la prima gara stavano rimettendo i fioretti nelle sacche, la folla se ne andava, faceva più freddo che fresco e le stelle luceano, come nella Tosca. A un tratto si resta inchiodati: dal baritonale trombone escono le prime note della Marcia Reale. Vien voglia quasi di andare a vedere se laggiù al microfono c'è qualcuno che fa con le labbra « perepè, perepè, perepè » ; ma la prima riflessione porta diritto al grammafono, mentre la seconda fa pensare come la Marcia Reale possa essere stata incisa in un disco col tempo del « God save the King». La trovata è gentile e commovente. Si resta suWz attenti», si guarda il cielo stellato, si pensa a casa nostra, si è orgogliosi di questi ragazzi che sorridono beati sutl'* attenti », e intanto il disco gira, gira, gira e nessuno lo ferma, e le tre care note si ripetono, gelide nella notte, bollenti nei nostri cuori. Ci si aspettava che il disco morisse di consunzione fino a che l'ultima nota finisse in un friggìo; invece, ecco che ad un tratto qualcuno che è vicino all'apparecchio dà una ditata al diaframma e la Marcia Reale si interrompe di botto, al secondo « perepè » con un colpo di moschetto. Ingenua grazia degli organizzatori, ingenua suggestione d'un ritmo glorioso. Non sorridete, però: è bello sentire l'anima che qualche volta torna ad essere bambina e se nel verde della verdissima isola danubiana, mentre i lumi si spengono, un ciglio si inumidisce, vuol dire che una fiamma arde in un cuore fascista. Perchè sinora, aia detto a bassa voce, tre volte il grammofono è entrato in funzione e il disco è sempre stato lo stesso. Alla terza volta l'hanno anche rivoltato: sull'altra faccia c'era « Giovinezza », ma la musica è stata soffocata dal coro. Tipi e figure Rivediamo Gaudini e Di Rosa sulla pedana: uno il doppio dell'altro Applausi del pubblico che, naturai mente, parteggia per il più piccino, e quando David, sia pure per miracolo, ha abbattuto Golia, urli della folla e salti di gioia dello « scugnizzo ». E' là, avvolto nel pastrano, disteso sull'erba, assaporando la prima dolcezza della fama: firma, firma con la mano ancora tremante cinque, dieci, venti cartoncini che gli amatori d'autografi gli tendono ansiosi. Sa d'essere ormai un personaggio importante e ha l'aria di dire in buon livornese, come il Figaro siviliano: « Uno alla volta, per carità! ». Ma c'è anche Lloyd da battere. Di Rosa sa bene chi è Lloyd, ma qualcuno crede di fare dello spirito, dicendogli: — Sono tre fratelli. Lloyd Emerys, lo schermidore, Lloyd George e il Lloyd Triestino. Di Rosa alza la testa e a sua volta strizza l'occhio: — E il Lloyd Sabaudo? — Son parenti, ma alla lontana... Uno spettatore francese, che crede di saperla lunghissima, spiega ama bilmente ad una signora i segreti della scherma e aggiunge: — Vedete, gli italiani son tutti mancini. Credevamo,^ in verità, con la nostra mentalità di anziani, che fosse questa una prerogativa degli amici d'Oltralpe, ma i fatti hanno dato oggi ragione a quel signore: di sei uomini che abbiamo in gara, quattro son mancini: Guaragna, Di Rosa, Bocchino e Nostini. Toùt passe... C'è Coutrot che giudica, onestissimo, ma distratto. Ed ecco un altro motto di spirito che. fiorisce sulla bocca d'un tifoso italiano: « Coutrot... il nous coùte trop... ». Tifo, tifo, come soltanto in Ungheria se ne possa fare alla sclierma. C'è il presidente del Consiglio, Gombos, che non perde una gara interessante, c'è il nostro Ministro Principe Colonna, che segue con ansia tutte Ì9 battaglie, ma il più ammalato di pifdpvfsuidt l i a e a r o i e o e n e e , e a e e , tutti sembra il Prìncipe Pignatelli, Segretario del Fascio di Budapest. Il suo stato è grave. Nei suoi occhi passano baleni, cammina, si siede, si rialza, si risiede... Abbiamo imparato ad amarlo. Petschauer, ingra-ssateUo anzichenò, si dimena anclie lui come un ossesso. Ha sotto il braccio una cartèlla piena di AZ EST, il suo giornale, ma forse preferivamo vederlo suda pedana anziché leggere (tradotta, si intende) la sua pròsa. Pare che non faccia più scherma, ma lo vediamo dappertutto in questi giorni a Budapest su un cartellone che fa la pubblicità ai campionati d'Europa. La vignetta è la riproduzione d'una sua fotografia in guardia, con la maschera, evidentemente presa durante un combattimento. C'è anche Piller, il campionissimo ungherese, che giudica militarmente, gelido, onesto, autorevole. Non tirerà neppure in squadra, a causa d'una infezione al piede destro guadagnata a Los Angeles, sembra, insieme all'Olimpiade. Ma Piller non è più Piller; ha magiarizzato il suo nome ed è diventato il capitano Jekélfalussy. Un po' difficile, ma non è colpa nostra. Non sap- ilsttdsacqmsslcmnGUlmnduggddg piamo se la malattia di Piller sia contagiosa, ma il cambio del nome possiamo giurare che sia attaccaticcio: Hatz si chiama ora Hatzeghy, la Bogen Bogathy. Tutti con l'y, màgiarissimi. Vita di trincea Mazzini ha dato un giro di vite: è paterno, ma severo. Siede a mensa a capotavola della ciurma, e il battello fila su un mare tranquillo. Ci aspettiamo di battere nello scoglio da un momento all'altro per colpa della sciabola, ma questa è un'altra faccenda. Nell'albergo ove gli schermidori sono alloggiati (un albergo decoroso, ma non lussuosoJ la sala da pranzo è quasi tutta per noi, con un posticino soltanto per gli amici inglesi che siedono ad un altro tavolo. Sia~ mo un po' orgogliosi e anche gelosi della nostra squadra, in cui reclute e anziani hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri. Gli olimpionici vestono il loro bel pastrano bianco d'ordinanza e chi olimpionico non è se l'è fatto per l'occasione a suon di lirette onde non essere da meno. Si parla a tavola di scherma con lodevole monotonia, dei successi di ieri, delle speranze di domani. Marzi ha la piccola cassa di cui tiene in amministrazione scrupolosa ( « Ci rimetto, ci rimetto » ) lire, pengó e dinara. Cornagqia l'abbiamo sorpreso, dopo la prodezza di ieri, curvo su una rivista ungherese intento a risolvere una parola in croce; Guaragna, pago di aver « pedalato », come dice, per tre giorni, ha il sorriso beato del buon figliuolo campione d'Europa. Riccardi se la gode con i nuovi acquisti di francobolli, Nostini fa l'avvocato della compagnia, Ragno fa l'avvocato di se stesso, Visconti, l'ultimo degli « Incas », si sente campione d'Europa, la Ceroni e fa Biagini pensano silenziose ai fatti loro e Ughi e Pinton non fiatano: speriamo che parlino alla fine. C'è anche Agostani, piovuto qui in automobile a veder quelle gare di cui poteva essere attore, e la Musa è fiorita anonima, estemporanea, fortemente claudicante: «Dice Agostani — arrivando in auto — ci vado piuttosto a piedi — ma a casa non ci sto ». Inezie, buon sangue: vita di trincea, fronte al nemico. Qualche cosa di serio, anche. Abbiamo udito il presidente dire al suo vicino dopo la gara individuale di fioretto: « Hai visto oggi la passio-^ ne del pubblico ungherese d'ogni ceto? E' rimasto fin quasi a mezzanotte, nel freddo, con la fame, senza speranza, senza neppure la speranza di veder vincere i suoi beniamini. Da noi, il pubblico tutto pretende dalla scherma e poco vuol dare » Parole poro* Allegri nova*, ohe lalcsrCsdlristvDfgeftMcèdcUfnspratp il pubblico italiano può darsi sia già scosso, e più ancora potrebbe scuotersi verso la fine. Noi sorridiamo intanto al gesto di Buchard che chiede a Comaggia pubblicamente di misurare la sua lama e che se ne torna al suo posto dopo aver constatato che noi non sappiamo barare... Se quél tale disco non si fosse consumato; se insomma, gli ultimi giorni si potesse stare ancora impalati a sentire gli, inni della Patria... Intanto oggi siamo stati in battello su e giù per il Danubio più giallo che azzurro. Si accendevamo le prime luci sulla collina di Buda e nella piana di Pest. La croce di San Gelar do fiammeggiava. NEDO NADL

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