D'Annunzio Poeta ed Eroe

D'Annunzio Poeta ed Eroe D'Annunzio Poeta ed Eroe «Un genio è un accusato», lasciò scritto qualcuno. Un accusato intorno al quale gli uomini, 1 minuscoli uomini che consumano vanamente la vita tra il sorgere e il calar del sole, un po' per invidia, molto per incomprensione sbertano sconciamente: non sanno perdonare all'unico di non essere numero fra numeri; non possono intendere il divino orgoglio che sospinge gli eletti il destino segnato. Valga per tutti l'esempio di Eschilo. Contestato l'ingegno, calunniato e perseguitato l'uomo. Una donna che egli aveva amato si è disonorata per l'eternità oltraggiandolo pubblicamente. Come per Shakespeare si pone vicino a lui l'ombra di un lord Southampton; mentre è giovane gli antepongono Tespi, vecchio lo umiliano ai piedi di Euripide; lo accusano persino di aver fatto crollare il teatro durante la rappresentazione di una sua tragedia, secondo altri di aver bestemmiato raccontando i misteri di Eleusi, e lo mandano in esilio. Alla sua morte Licurgo grida: bisogna elevare a Eschilo una statua di bronzo, e Atene, che aveva scacciato l'uomo, eleva la statua vi Poeta che, lasciando la patria, aveva scritto sui suoi immortali poemi la superba dedica: « Al Tempo ». Donde viene ai poeti questa certezza? Essi si appellano all'avvenire con fiducia assoluta : dall'exegi monumentum di Orazio al « canto che forse non morrà » del buon Manzoni, dal « vate dell'avvenire » del Carducci al « placido olivo » del mite Pascoli che crescerà « sicuro e tardivo », non c'è stato grande Poeta che non abbia orgogliosamente affidato al tempo le ragioni della gloria e dell'immortalità: i piccoli, i verseggiatori più o meno felici non hanno coraggio di scrivere sì grandi parole; essi sentono di non poter raggiungere quella vetta dello spirito umano che solo i sublimi insensati che non soffrono di vertigini riescono a toccare. L'uomo e l'ambiente Naturalmente non è facile ai comuni mortali intenderli compiutamente. Profanilo» vulgits. E qui cade acconcio il pensiero di Victor Hugo. Chi è codesto volgo profano? La scuola'dice: è il popolo. E noi diciamo — afferma l'Hugo — è la scuola, la risultantecioè, di tutti i pedantismi, il mandarinato intellettuale e ufficiale della stampa e dello Stato, l'ortodossia classica e scolastica a circuito chiuso, l'antichità omerica e virgiliana sfruttata da letterati patentati e funzionari, una specie di Cina che si crede Grecia, la poesia dei laureati, la filosofia dei sofisti, la critica dei maestri, la ferula degli ignorantelli, la religione dei bigotti, il pudore dei puritani, la metafisica dei ralliés, la vecchiaia dei giovani qui ont sìibi l'opération, la scienza dei pedagoghi, l'adulazione dei cortigiani, le diatribe dei turiferari ». Il popolo, no; che il popolo, nella fresca ingenuità del suo spirito, ha intuizioni che la scuola non ha e non può avere, preoccupata come è a rapportare tutto ai suoi schemi, ai limiti segnatialla sua ortodossia, e a vagliare uomine opere secondo quelle possibilità drapporto. Non è questo il caso di GabrielD'Annunzio? Che cosa non 6 stato detto e scritto contro di lui? Che cosa non si è fatto per umiliarlo, abbatterlo, vilipenderlo, sommergerlo? Bertucce giovinette e mammoni decrepiti, non hanno inondato il bel paese di sciocchezze, di stupidità, di pettegolezzidando al mondo lo -spettacolo più ullegro del principio di questo secolo?Il Poeta se ne adontò dapprima, e scrisse quella famosa lettera a « LiTribuna » nella quale si lamenta perchè non soltanto è esposto « all'ingiuria cotidiana degli innumerevoli poi\troni cialtroni e buffoni che appestano i il bel paese, ma è per sempre esclusoì dal benefizio del vivere civile >; po continuò per la sua strada senza vol tarsi' 8110 alIa mèta- 11 fenomeno veri iflcatosi in quegli anni può impressi»mare se avulso dal clima nel quale " „, „„ „ „„. „„„„.„„,„ j„ avvenne; ma se noi pensiamo alla de1 cadenza politica e morale che ogngiorno più precipitava verso l'abisso che la guerra soltanto doveva colmare, il fenomeno vi si inquadra perfettamente. In un periodo in cui cultura e critica, in tutti i campi, erano diventate esercitazioni accademiche incapaci dcreare un vero rinnovamento sociale ed etico, e le idee stesse, peT la cangiante ricchezza deWe interpretazioniavevano perduto valore e contenutoe l'immaginazione irrequieta creava miti falli :i, e scuole e tendenze battagliavano prò e contro il razionalismo e l'inrazlonalismo, e l'essenziale e l'inessenziale erano diventati opinioniestrose magari ma non per ciò meno arbitrarie, in un periodo siffatto di fermento, di agitazione, di smarrimento e di lotta si capisce come uno scrittore e un uomo della statuTa e della tempra di Gabriele D'Annunzio abbia potuto suscitare quella scortese indecente ignobile gazzarra che costrinse ìil Poeta al volontario esilio in terra Idi Francia. Videro di Lui soltanto la fosforescente esteriorità, non vollero e non seppero comprenderne l'anima; scontentarono di spulciar frasi e atteggiamenti per proclamarlo corruttoreper accusarlo di immoralità, di sensualità, di insincerità e non sii avvidero detormento interiore di questo grande spirito che cercava di esprimersi compiutamente in un clima storico che non era il suo, tra avversità morali e materiali infinite dalle quali, del restotraeva nuovo slancio e nuovo vigore per le sue più belle affermazioni, distruttore e creatore di miti, di inimitabili favole, di compiute bellezze, suscitatore di nobili energie e di eroiche virtù, assertore magnifico tenace inesausto della rinascita della gloria d'Italia. Coerenza dell'incoerente I Tutti i poeti nostri meritano il lau|ro civile, tutti hanno amato spasimando questa nostra terra, tutti hanno at; tinto nell'indomabile passione dell'Aliighieri vigoria e coraggio per sferzare 'l'ignavia, esaltare la potenza e l'immortalità, predire il sicuro destino d!un popolo nato per dominare, per insegnare, per rifulgere; nessuno l'ha servito con tanta passione, con deditziione cosi piena e incondizionata, con !si commovente entusiasmo come Gabriele D'Annunzio. Se il libro di Mario Glannantoni testé uscito (M. Glannantoni: La vita di Gabriele D'Annunzio - Edizioni Mondadori, L. 35) non avesse altro pregioha indubbiamente quello di aver composto in forma che diremmo definitiva la figura eroica del Poeta e di averla eoo segnata alla storia, nitida compdu a ta inconfondibile, in tutta la sua potenza e in tutto il suo splendore. La coerenza, in questi che fu detto 11 grande incoerente, è davvero impressionante. A quattordici anni, nel marzo del 1877, Gabriele D'Annunzio dal collegio Cicognini scriveva al suo vecchio maestro Giovanni Sisti una lettera che è una professione di fede. C'è tutto D'Annunzio, poeta e combattente. Tutte le sue opere, tutte le sue azioni testimoniano della fe¬ deltà che Egli ha saputo tenere al suo idlsdgsvnsrf«giovanile sentimento che doveva divenire ragione e scopo della sua vita stessa. In collegio era primo nella classe, primo nell'amore per le cose belle, primo nelle audacie, primo nella bontà, primo nel rischio, « furioso e sedizioso », come si definisce egli stesso, tanto che i pedagoghi formulano contro di lui ben sette imputazioni fra le quali quella di aver decretato l'ostracismo a Senofonte Ateniese in favore di Senofonte Efesio, a dispetto dell'* epltarchia scolastica », per puro spirito di ribellione, non senza prima rivolgere una breve arringa di scusa all'alunno di Socrate. Quante punizioni gli costò questo bisogno di pigliar chiarezza di sè e quanti soggiorni nella « carcere tettatola »! Orgoglioso superbo geloso, non vuole « né pari né compagnone », vuol signoreggiare; impara lo spagnuolo e il portoghese, studia il violino, il flauto, il canto, unicamente perchè altri li sapevano o li studiavano. Ciò che maggiormente impressiona in questo ragazzo è la forza della volontà. Egli potrà orgogliosamente scrivere più tardi: « fin da' miei primi anni io volli divenire quel che sono ». Volontà fervida costante ostinata e disciplina durissima implacabile che gli hanno permesso ci raggiungere la vetta e di compiere ie inimitabili cose che ha compiuto. Fino ai quindici anni odiava ì versi, ai sedici era poeta. Il 14 marzo del '79, mentre la musica suonava nella piazza di Pescara, il padre, Francesco Paolo D'Annunzio, faceva distribuire ai cittadini l'Ode a Re Umberto, in fogli volanti stampati a sue spese. Qualche mese dopo ecco il primo volume di versi del poeta sedicenne: Primo Vere; l'anno dopo nasce il D'Annunzio prosatore con « Cincinnato ». Era ancora in collegio quando viene pubblicata la seconda edizione del Primo Vere. I critici cominciano a non essere d'accordo e non lo saranno mai più. « A me — scrive il giovine poeta al Biagi — codeste critiche non mi dispiacciono, che anzi le leggo serenamente (di questo solo almeno posso vantarmi), serenamente come si trattasse di un altro. Mi dispiace questo, che non so a chi dar retta. Uno dice che i miei paesaggi fantastici sono meravigliosi; un altro che sono manierati e goffi; uno che ho una varietà di linea stupenda; un altro che sono monotono come una campana; uno, il Nencioni, per esempio, che ho il dono raro, divino della visione poetica; un altro che mi manca assolutissimamente il senso dell'arte, etc. ». E imparò, fortunatamente fin dall'inizio, a non dar retta ad alcuno. Pensiero e azione Eccolo a Roma, studente all'Università e giornalista. Al padre scrive in data l.o aprile 1882 : « Ora non più flore, ma quasi uomo, con forti nervi, con passioni ardenti, con ideali disperatamente agognati; ora non più fiore ma quercia giovane e libera e con audacia sfidante i venti aspri della vita... ». E aveva 19 anni e lanciava quel Canto novo che divenne il canto di tutta la gioventù italiana. Vent'anni dopo, quando quelli della nostra età erano in prima liceale, si usava rispondere a un professore che faceva consistere la storia nel ricordo delle date di nascita e di morte di personaggi come Pipino il Breve o Carlo 11 Temerario, recitando, con enfasi più 0 meno appropriata, i versi del Canto novo. Non c'era uno di noi che. non li sapesse a memoria: Le preferenze dei giovani di quel tempo erano tutte per D'Annunzio. Amavano si, anche il Carducci e il Pascoli; ma l'amore per il primo era stato guasto dalla famosa polemica con l'Oriani e per l'altro in verità era più ammirazione che amo re; D'Annunzio era veramente la giovinezza sfarzosa esuberante incontenibile. Egli aveva già infiammato giovani con L'Armata d'Italia, il primo suo richiamo all'Italia che dormiva non sugli allori, purtroppo, ma sulle sconfitte. Passa l'ombra di Lissa: il Poeta afferma che la fortuna d'Italia è sul mare e depreca l'abbandono in cui è lasciata la nostra Armata. E poi la volta delle Odi Navali, grup po di poesie di altissimo valore profetico, e l'Ode all'ammiraglio di Saint-Bon. All'epoca del Convito il Poeta scrive : « Non è più il tempo del sogno solitario all'ombra del lauro o del mirto, gli uomini d'intelletto raccogliendo e 1 moltiplicando tutte le energie debbono sostenere militarmente la causa dello spirito contro i Barbari, se in loro non è addormentato o invecchiato o scolorato il sanguigno istinto di vivere e di vincere, di sopravvivere e di stravincere. La nostra bellezza sia dunque nel tempo medesimo la Venere adorata da Platone e quella di cui Cesare diede il nome per parole d'ordine ai suoi legionari sul campo di Varsaglia: Venus victrix ». Come la sua parola si sia tradotta in lealtà viva, è storia di ieri. E La Gloria e La Nave sono 11 a testimoniare della sua ansia cocente e della sua volontà indomabile. E nel discorso ai suol elettori di Ortona non aveva egli sintetizzato, con intuizione profonda, i fattori della rinascita italiana: l'istinto di conservazione e l'istinto di predominio? E non è di allora, di trentaquattro anni fa, questa affermazione : « Lo spirito latino non potrà ri 1bfcdlatQiaazdvtgdplmmasanritrsriarmQlcaqsdamgsadttmglpstcfldacunèvicfnrddiaprendere la sua egemonia nel mondo se inon a patto di ristabilire la Volontà jUna...»? E non salutava Egli il Prin-jcipe Ereditario che fu Re sul mare con l'invocazione: «Apri alla nostra virtù! le porte dei domimi futuri »? Del '900 è l'Ode ai marinai morti in Cina; del 20 settembre dello stesso anno l'ode A Roma, promessa e vaticinio; del 21 marzo dell'anno seguente l'articolo Della coscienza nazionale, visione quadrata dell'inevitabile futuro conflitto e virile ammonimento all'Italia perchè ritrovi la sua coscienza; del febbraio del '902 l'orazione ai giovani dell'Università di Firenze — «forse tra voi è già l'uomo di domani, colui che ci recherà la buona novella, colui che saprà conciliare, nella suprema delle nostre idealità italiche, le grandi azioni e i grandi pensieri » —; della stessa epoca l'ode a Victor Hugo — « Italia! Ita- dei Regno sui rapporti italo-austriaci, lia! ahi, vano » —; del marzo successivo l'ode ai giovani ginnasti dell'Andrea Doria — « O invitta - Trieste sogno dei nostri cuori, viva - ferita incisa entro le carni nostre - Tu non invano, tu, non invano attendi » —; del novembre l'ode a Bellini — ci giorni sono prossimi - usciamo all'alta guerra! » —; dello stesso periodo la profonda parola della Niche di Brescia 3 « Chi mi vuole, s'arma s>. Nel luglio del 1904, ad una inchiesta 11 Poeta rispondeva: «penso che ogni buon italiano debba sull'argomento professare l'opinione di quel rozzo leone che ancora guarda le mura di quell'ardua Montona alla cui selva comunale l'estremo eroe Angelo Emo chiese gli alberi per costruire le nuovissime zattere imaginate dinanzi alla Goletta. Quel leone tiene chiuso tra le branche il libro dell' Evangelista volendo quivi abolire in eterno il Pax vobis. E giova a noi ricordare che, sempre, c'è più forza e v'è più saggezza nella più rozza delle nostre vecchie pietre, che nei cervelli melmosi dei nostri uomini statuali ». Dopò i fatti di Innsbruck telegrafa agli studenti delle scuole medie di Rovereto : « Io so che tra voi si preparano gli eroi della Riscossa ». E dall'esilio, dopo l'oscena gazzarra, Egli ci manda le Canzoni delle gesta d'Oltremare, documenti del suo inestinguibile ardore, della sua santa passione, del suo « amor si forte » per l'Italia. Siamo alla guerra. E' sperabile che gli italia-* ni non abbiano dimenticato questo periodo della vita del Poeta. Ancora in terra d'esilio Egli scrive le sublimi parole: «si può morire d'attesa; ora lo so ». E poi il ritorno trionfale — l'Italia ridesta riconosceva il suo profeta, il suo apostolo, il suo Poeta; doveva conoscere il suo Eroe compiuto, pensiero e amore, sacrificio e canto —, il discorso ti Quarto — « il giorno che cancellò tutte le ombre » —, i discorsi di Roma — ricordiamo ancora il gesto di vivissimo accoramento, rivelatore e commovente, quando Egli si vide circondato sul palcoscenico del Costanzi dalle comparse e dai coristi: doveva parlare agli uomini, agli italiani e non voleva intorno delle maschere —, e il discorso del Campidoglio, quando il Poeta snudò e baciò In. spada di Nino Bixio e la campana suonò a stormo : e poi il patto sublime : « Chi di noi prima saprà per lei morire? C'è tra noi qualcuno già segnato, già eletto? Foss'io colui! Noi non abbiamo ormai altro valore se non quello del sangue da versare ». Ariel armato Al vertice della potenza Urica ecco l'Eroe; e quando gli parlano di « vita preziosa », del « dovere di non esporsi s'indigna: « io sono un soldato, ho voluto essere un soldato, non per stare al caffè o a mensa, ma per fare quello che fanno i soldati. Si tratta della mia sola ragione di vivere, oggi. Io le domando — scriveva al Capo del Governo di allora — se non commetta un delitto contro lo spirito colui che chiama un uomo del mio passato, e del mio avvenire, e gli dice : per ordine superiore, vt è vietato di accostarvi a quella <vita eroica» che fu l'aspirazione di tutti i vostri anni angosciosi ». I divieti vennero tolti e il Poeta fu soldato tra i soldati, Eroe tra gli Eroi, insonne tormentato smanioso. Non si possono leggere senza viva commozione le pagine di questo libro dedicato all'Eroe: gli italiani di tutti i tempi le ameranno e le mediteranno : come ai marmi foscoliani, qui verranno ad ispirarsi. Dopo la guerra vittoriosa, l'impresa di Fiume. I governi liberali avevano fretta di chiudere la partita e si affannavano a ristabilire le cosidette garanzie costituzionali, le antiche mentalità professorali ritornavano a galla, s'imponevano, le vecchie idee assumevano il carattere di un nuovo contratto di vita, e Montecitorio era pieno di normalizzatori. Normalizzare che cosa? La Vittoria, l'eroismo e il sacrificio di mezzo milione di morti, di milioni di combattenti, lo sforzo superbo di una Nazione giovane, impreparata, mal guidata che aveva fatto risplendere di nuova gloria il nome d'Italia, riconquistando sui campi di battaglia il titolo di Grande Nazione che aveva perduto nelle battaglie diplomatiche. Normalizzare la Vittoria significava avvilirla, degradarla, frantumarla. Avverso lo scempio si levò ancora una volta il Poeta compiendo il primo atto decisamente rivoluzionario contro le classi politiche che si illudevano di poter dominare ancora l'Italia che la guerra aveva ridato agli italiani. E non aveva Egli previsto anche la necessità di dover difendere la Vittoria? L'8 dicembre del 1915, nei primi mesi della guerra, a proposito di una delle tante stolte ingiurie lanciatagli da un deputato, D'Annunzio scriveva sul Corriere della Sera: «Io non ho mai pensato di lasciare l'Italia dopo la guerra. Ritornai nell'ora del pericolo per dare alla mia Patria tutto me stesso. Resterò nella mia Patria per lottare con tutte le mie forze contro li nemico interno che, come l'esterno, deve essere perseguitato e annientato. Saranno certo con me tutti quelli che oggi meravigliosamente combattono tra lo Stelvio e il Carso. Io ho nell'una e nell'altra vittoria una fede robusta ». L'altra vittoria era destinata a quell'Uomo di domani che non aveva ancora vent'anni al tempo del vaticinio, e che quel vaticinio ha realizzato pienamente « conciliando, nella suprema delle nostre idealità italiche, le grandi azioni e i grandi pensieri ». Deposte le armi, Ariel, spirito di fuoco, è tornato al suo lavoro fecondo circondato, finalmente, dalla stupefatta ammirazione e dall'affettuoso rispetto degli italiani ai quali Egli ha saputo ridare, con la parola e con l'esempio, il senso della vita e della storia. L'ordinaria amministrazione è morta e sepolta per sempre. L'Italia ha finalmente un Condottiero e il grido di Fiume ó diventato il grido della Na zione tutta. g^y