Alla ricerca della vera Antinea

Alla ricerca della vera Antinea VAGABONDAGGI SAHARIANI Alla ricerca della vera Antinea -fDeil nostro inviato)- a o r a r . , a a . i a o e n e a o a a n o » a o a . e a a a a l i n e , i . a e o — r e o n i a i a a e TAMANRASSET (Hoggar), aprile. Alle sei, avrei dovuto arrivare a Tamanrasset nell'Hoggar. Son le nove ed io mi trovo ancora lungo la strada, intento a cambiare, insieme all'autista, una gomma all'automobile. Sovra le nostre teste, ballonzola una tonda luna bianca; attorno, il paesaggio non ha nulla di terrestre: è un'immensa colata di lava grigioblu, che, a tratti, assume sotto la luna tinte livide, il cui biancore assoluto, paradossale scintilla e risplende, come se la pietra fosse rivestita di smalto Lalique. Non so esattamente dove io sia e quanto disti da Tamanrasset. So soltanto che, da un paio di ore, giro e rigiro in un paese pauroso di lava e di vulcani spenti, fra un caos di vallate, di góle e di pietrame senza trovare quello che cerco. Io cerco Antinea. Nessuna meraviglia, lettori miei.' Le cose stanno semplicemente così. Ad In Salati, stamattina, un mercante marsigliese mi incaricò di portare un pane di burro a Dossine. — Dossine? — Sì, la donna che inspirò a Benoit il suo famoso romanzo. Siccome lo guardai trasecolato, il marsigliese aggiunse : — Dossine è la vera, autentica, grande Antinea. Ventidue citrulli innamorati son morti di languore per lei. In questo momento, la sua tenda si eleva nei dintorni di Tamanrasset, dove appunto voi siete diretto. Portandole questo pane di burro le farete un grande piacere. Si lisciò con lentezza i grossi baffi da gendarme in attività di servizio, e, chinandosi, mi soffiò all'orecchio : — E' una donna generosa: vi ricompenserà largamente! Un pan di burro e nna strada triste . E strizzò l'occhio, sorridendo. Anch'io sorrisi, senza volerlo, al pensiero di poter scrìvere un bell'articolo e conoscere la vera, autentica, grande Antinea. Tuttavia non potevo situare esattamente nel quadro tropicale, sotto il cielo ardente, e, soprattutto, nell'alone di leggenda e di poesia che circonda questa signora fatale, il pane di burro, che mi veniva affidato. Burro, per modo eji dire: da tempo aveva perduto lo stato solido per diventare un olio giallastro, raccolto in fondo ad una vecchia latta di benzina. — Il burro — mi spiegò il mercante/intuendo la mia curiosità — è il principale articolo di toilette per le signore tuareg. Le europee affidano al rossetto certe cure. Le tuareg al saporoso prodotto delle pianure bretoni. Esso è anche la medicina che guarisce tutti i mali. Il bambino, appena viene alla luce, ne sorbisce una buona cucchiaiata. Più alto, se avrà la diarrea o l'enterite, lo ingoierà a dosi massicce. Caldo, esso serve a curare le piaghe. In breve, caricai la preziosa derrata e via con l'autista, sovra un'automobile a sei ruote, alla ricerca di Antinea. Che strano viaggio! Per ore ed ore, ebbi l'impressione di inoltrarmi in un curioso labirinto creato dalla natura per dare agli uomini il senso della sua onnipotenza. L'automobile passava di vallata in vallata, di burrone in burrone, contornando depressioni, scavalcando prominenze per trovare sempre le stesse montagne nere, la stessa solitudine e il medesimo squallore con la doppia fila di pietre indicanti la strada e, a fianco della strada, di tanto in tanto, qualche scheletro mummificato di cammello. Ad ogni momento, credevo di trovarmi smarrito e di non potere mai giungere alla mèta. Il silenzio definitivo dei luoghi mi faceva paura, come se esso manifestasse l'irreducibile ostilità delle cose. Non chiamano gli indigeni quelle, che io attraversavo, le vallate della morte e della paurat Ed esse non sembravano imprigionarmi, davvero, nel loro tragico cerchio di morte? Su chilometri e chilometri, infatti, nessuna traccia di vegetazione e di vita. Sui fianchi delle montagne^ sol-' tanto squarci, screpolature, frane, che ne mettevano a nudo la struttura interna e lastroni di rocce sovrapposte: le viscere stesse della montagna. Nelle valiate, mucchi di lava e lapilli così brillanti, che sembravano sgorgati il giorno prima e parevano ancora bruciare. E, dappertutto, delle grotte! Che cosa nascondevano? Nascondevano forse i domini di sogno, descritti dalle leggende sahariane: meravigliosi palazzi, dove vivono, lungi dagli sguardi umani, le fate e i geni del deferto, fonti azzurre sulle quali si chii nano, come lunghe ciglia sovra occhi {pieni di seduzione, i grandi datteri jsmilzi? Oppure erano la voluttuosa e incantevole dimora di Antinea? Ma procediamo con ordine. Il paese delle leggende puerili Io sono, dunque, partito all'alba ; da In Salah, la capitale del Tuat, nell'estremo sud algerino. L'automobile deve subito scavalcare una lunga serie di dune di sabbia. Le voci, i canti degli uomini, l'abbaiare dei cani e i grugniti dei cammelli, insomma tutta la vita umana ed animale ai acqueta man mano che le molli e sinuose creste si chiudono ad una ad una alle nostre spalle, coprendo, come le I pieghe successive di un lenzuolo che \cade, il volto dell'oasi. Dopo le dune, la pianura del Tidij kelt, che si estende triste e nuda ver\ so sud. Gli indigeni chiamano questa regione d'una monotonia allucinante Ila zona delle raba. Raba, in arabo, [vuol dire foresta. E la tradizione pretende che, un tempo, il suolo fosse coperto da un'abbondante vegetazione di palme, cedri, mimose. Io porto di solito molto rispetto alla tradizione, che, spesso, tramanda davvero l'eco esatta di lontani fatti storici. Stavolta, però, temo che essa racconti una grossa frottola. A suffragarne l'autenticità, infatti, non vedo qui nè alberi nè cespugli e neppure i pochi rami, che, nel Sahara, si trovano abitualmente in fondo alle depressioni dei terreno, i rami tanto cercati dai carovanieri per cuocere la kesra o preparare il thè. Il suolo del Tidikelt è composto soltanto di secchi banchi d'argilla screpolata, su cui l'automobile corre sussultando e scricchiolando. Un vapore grigio si eleva al di sopra della terra e danza con uno scintillìo abbacinante, mentre una molle calura opprimente si estende su tutto come una coperta di lana. Attorno, non si vedono che cose vaghe, forme imprecise, spazi vuoti e, a distanze uguali, simili a dune scoscese, le gara, quelle pareti di roccia, che sostengono larghe tavole orizzontali. Sui fianchi, gli strati, diversamente rosi dal vento e dal tempo, hanno l'aspetto di enormi colonne piene di ornati e di fregi. A tratti, le tavole si rompono, le dune rocciose si dividono, per formarsi più lontano alla stessa altezza e continuare a sbarrare il cielo. A mezzogiorno, dietro una di queste gara, ecco drizzarsi, all'improvviso, due monumentali piloni, simili a quelli che compongono l'entrata delle grandi esposizioni internazionali. Sono i monti Tirit e Tiritin; indicano l'entrata del Muydir, il massiccio delle montagne blu, il paese delle leggende puerili. I vecchi tuareg se le raccontano a sera sotto il cielo limpido e luminoso, dove le stelle son così basse, che sembrano essersi chinate anch'esse in ascolto. Il monte, che si drizza laggiù, come una sentinella napoleonica in iscolta, è il Garet Genum e, secondo le leggende, è il regno delle fate e dei geni, che- passano la loro vita danzando e cantando e, qualche volta, per distrarsi, discendono in basso a gettare lo scompiglio nel cuore delle fanciulle innocenti. La montagna dell'amore Quest'altro, sulla sinistra, fine ed aguzzo come la nostra Mole Antonelliana, è il Tididitin, il monte dell'amore. Se qualcuno di voi, giovanotti, arde per una bella fanciulla e non ne è corrisposto, intraprenda subito la ascensione del Tididitin. Non si armi, però, di scarponi, di picco e di corde. Per testimoniare la sincerità dei proprii sentimenti, deve legarsi invece il piede destro contro la coscia, e incamminarsi cosi verso la vetta, saltellando sovra una sola gamba e senza aiutarsi con le mani. Se arriva lassù, stia sicuro: entro l'anno la fanciulla amata sarà sua. Vi avverto però, a scarico di coscienza, che i pochi pazzi, i quali hanno tentato simile acrobazia, son finiti tutti in fondo ai burroni, per la maggior gioia degli sciacalli. L'automobile impiega un paio di ore ad attraversare montagne blu. Le leggende puerili, e le numerose iscrizioni nei geometrici caratteri tifi narh non me le rendono affatto sim- —itdri patiche. In compenso esse mi nser- ^limi/i /iA/ni ri ì astOMSV Fin /I/i/a ri'O VT ì iTt _ I bano colpi di scena. Da gole verticali, con pareti levigate, scure, come quelle di vecchie cattedrali, sbuco, ad esèmpio, su vallate, su precipizi, su anfiteatri grandiosi. Il più imponente, però, mi attende dopo le gole dell'Arak, quando da una specie di galleria strettissima io mi trovo bruscamente di fronte al massiccio dell'Hoggar, il vero centro del Sahara. Appena l'automobile penetra nell'Hoggar misterioso, attraverso una nuova serie di gole, io provo lì per lì, vi confesso, una certa apprensione. Essa, tuttavia, si dissipa a poco a poco, per far posto ad un vero incanto degli occhi. Da questo massiccio di montagne, che sembran fuse in un solo blocco, emergono certi picchi aguzzi come guglie gotiche, altri tozzi, rettangolari come i campanili di Notre Dame, altri, infine, tondi come cupole di chiese barocche. Il picco più alto, l'Ilìman, raggiunge i tre mila metri e si intarsia nel cielo luminoso e blu come i fondi dei quadri di Leonardo da Vinci. Picchi e massicci fanno pensare ad immense colate di lava vomitata nei lontani secoli da vulcani mostruosi e il loro aspetto sarebbe lugubre, se i contorni non assumessero, secondo le alterne fasi del sole e della luna, le tonalità più varie, delicate e vive, accentuate ancor più dalla pura limpidità dell'atmosfera. Alle sei, io comincio a cercare qualche segno di Tamanrasset. R paesotto dovrebbe essere vicino, che, qua e là, man mano che si sale nella mon- dgSddmdLhszgsJaona, mi pare di vedere £fe «?- tura morta lievi tracexe dell attività umana. Tuttavia non domando nulla]aZZ'autisra, che, al mio fianco, guida\„„„, „ ' ' 7 „ 'n ' f . ., vsempre senza parlare. Oramai e iZ|tramonto ed io voglio godermelo inttranquillità. Tutto il cielo arde con vampate vive d'un rosso dorato. Nel vasto spazio di luce ogni cosa si trasforma di secondo in secondo, si ravvila, si sorpassa in splendore, moltiplica i colorici fuochi d'artifizio. Poi, man mano che l'incendio della sera si spegne, il colore abbandonato cade sulla terra. Ora sono i monti, le vallate, i burroni che si colorano di rosso: un rosso scuro, quello del sangue coagulato. E subito, in primo piano, nei burroni vicini, l'ombra comincia ad ammassarsi come un'acqua blu, e s'ule, sale fino ad inondare le vallate, immergere le montagne, raggiungere AAGG il cielo, dove le prime stélle pendono già come gocce di rugiada. La luna non apparirà che più tardi all'orizzonte, una luna bianca e tonda come quei palloni che certi magazzini regalano ai bimbi, il giovedì. La marcia, intanto, s'è fatta più difficile, che la strada è segnata vagamente da poche pietre. La buona direzione ci viene data dalla catena dell'Iniker, che si allunga rettilinea verso sud. I nostri fari proiettano una luce viva sulle rigide superfir.i minerali donando ad esse l'aspetto che debbono avere nella luna i cerchi rugosi, di cui il telescopio rivela la desolazione. Lo scoppio della gomma ci sorprende a questo punto. E' il quarto della giornata. Il cambio è rapido, ma occorre gonfiare il pneumat'eo. Operazione lunghissima. Prudente, per non consumare le batterie, l'autista spegne i fari. D'incanto, io sento così il grande silenzio delle terre morte. Bisogna conoscere queste notti sahariane, l'impassibilità delle rocce tragicamente drizzate sovra pianure infinite, per comprendere il senso completo della parola silenzio. Esso, qui, è qualche cosa di tangibile, una forza naturale, fisica, come il peso, il freddo, l'elettricità, una forza che s'impone e contro la quale si osa appena insorgere parlando basso, come se il timbro di una voce troppo alta costituisse una specie di sacìilegio. Gli sciacalli Ma d'un tratto, il silenzio mortale viene rotto da lugubri, metodiche grida. Io sussulto. L'autista smette di gonfiare la gomma e, sollevando il capo, esclama semplicemente: — Gli sciacalli! Quest'annunzio non mi fa paura. Io sono, in verità un po' deluso di non avere mai incontrato, nei miei vagabondaggi africani, le grandi belve che gli americani imbandiscono con generosità nei loro film più o meno documentari. Tento così di consolarmi esaltando i meriti di queste belve notturne. Me le raffiguro pericolose, temibili... — Malgrado le loro urla sinistre — mi dice l'autista, senza pietà per le mie illusioni —, gli sciacalli sono inoffensivi. Sono, tutVal più, degli eccellenti becchini... — Non attaccano veramente mai? — Qualche volta, quando hanno fame e non trovano carogne. Si gettano, allora, in pieno giorno sugli animali abbandonati, li azzannano e prendono là fuga. — Gli uomini — insisto — non vengono attaccati? — No! A meno che non siano sorpresi durante il sonno all' aperto, senza fuochi. Ma chi è tanto scemo di addormentarsi senza averli accesi? E, così dicendo, lascia la gomma e si affretta a riaccendere i fari. Immediatamente, coprendo le lontane urla degli sciacalli, grugniti striduli e rauchi si elevano a pochi passi da noi. Mi volto e veggo, ad una svolta della strada, illuminato in pieno come sovra un palcoscenico, un meharista tuareg. Fieramente issato a due metri dal suolo, ha il volto coperto fino al nasq,dal iitham, una lunga spada nella destra e, nella sinistra, un grosso scudo con una croce bianca ^ Gmrda attQrno immobil sculturale, senza che i suoi occhi e- sprimano la minima sorpresa. Appena il cammello si è calmato, si avanza e parla all'autista. — Che cosa dice? — domando. — Dice che Antinea, stanotte, vi aspetta sotto la sua tenda. PAOLO ZAPPA.

Persone citate: Benoit, Lalique, Leonardo Da Vinci, Prudente, Salah