Il fascismo nell'arte

Il fascismo nell'arte Il fascismo nell'arte he « inchieste » giornalistiche, di moda (qualche anno fa, parevano oramai disusate come molti altri costumi di curiosità perdigiorno e di eclettismo dilettantesco. Qua/.che valentuomo, occupato nei fatti propri e talvolta anche in pensieri ed opere di comune vantaggio per altri uomini, si sentiva a un tratto tirare la giacca da uno strattone villano: « Subito, senza un minuto di ritardo : cosa pensa lei della teosofia, delle sottane corte e di Carlo Marx? Preferisce la pas,ta asciutta oppure il Polo Antartico?». # Bisognava rispondere al cortese ricatto di un giornale che vi poneva l'alternativa di sottaciuti rancori se non obbedivate, o di un'enorme pubblicità per le grottesche incongruenze che diffamavano nomi talvolta illustri, se candidamente obbedivano all'ingiunzione. Quattro frasi slegate e svagate, e il giornale batteva la gran cassa a tanto bella collaborazione gratuita. . Qg£'> a molti interrogativi esseri ziali la vita italiana contiene di per sè risposta esplicita ; di fronte ad altri, essa dà indicazioni definite ed implicite, per poco che uno sappia guardare e dedurre. E tuttavia le inchieste oggi tornan di moda, ma con carattere diverso, con ben preciso e delimitato indirizzo. Nessuno discute il corso e l'alveo del grande Ifiume su cui navighiamo, ma pur dentro le sponde prescritte e verso 3'approdo che forma la mèta ricono sciuta. Con unanime desiderio, quali sono le correnti da seguire e gli scogli da evitare? Si trattano problemi delimitati, quesiti di orientamento esatti e sicuri, e appunto per questo interessanti, quali possono porsi dibattere tra di loro, per comune istruzione ed edificazione, navigatori e piloti di provetta esperienza. Questo pensavo, ricevendo l'altro giorno una lettera che L'Italia Vivente, il bel giornale del Fascismo romano, dice di aver rivolto ad alcuni « tra i più significativi e attuali scrititori d'oggi». L'impostazione delle domande, palesa l'attento ingegno di chi le firma, Eurialo De Michelis, Sdegnoso di forme e formule, tutto rivolto ai problemi di contenuto mo ìrale ; e vi si riconosce anche l'inquieto e alacre affetto con cui Nino D'Aroma, direttore del giornale, perse pue i problemi dello spirito. Essi chiedono anzitutto se esiste un. rapporto, e quale, fra il tempo in cui nasce un'arte e quest'arte stessa. E poi chiedono se sia giusto il lamentare che l'arte nostra d'oggi non esprima abbastanza lo spirito del nostro tempo, cioè — poi che siamo in Italia — lo spirito del Fascismo ; c, se così è, perchè sia cos,ì? La terza e la quarta domanda lusingano, ahimè, troppo, quella passione di parlare di se stessi, di se stessi, di se stessi (Parliamo tanto di me!) che ha convertito gran parte della letteratura italiana in un confessionale, dove pero non si sussurrano i propri peccati da bocca a orecchio, discretamente, ma un po' si proclama la confessione pubblica, alla ras sa, un po' si tiene cattedra di imbonitore delle virtù e dei meriti specifici, mirabolanti, del proprio ricco temperamento. Ragione, questa, per cui Ter ta parte della letteratura ita liana è tenuta in legittima suspicione di sbadiglio, come sinonimo di .vuotaggine, seccatura e noiosità, da molta parte del pubblico, che non si sente vocazione di confessore nè di ascoltatore dei mercanti in fiera. Chiedono D'Aroma e De Michelis : « In quale senso crede Lei che si possano e si debbano interpretare le sue opere, come espressione dell'interiore, profondo spirito del nostro tempo? Da quale senso pensa Lei che potrà svilupparsi la sua arte, considerata sotto questo aspetto?» Ah, D'Aroma! ah, De Michelis! Quale perfido dèmone, dopo cotanto spaziare per i grandi cieli delle idee generali, vi suggerì la seduzione di simili domande strettamente, personalmente, irresistibilmente adulatici ? Si può crollare le spalle e tacere idi fronte ai problemi dell'arte e del [fascismo, ma chi mai — quale impietrito cuore! — riuscirà a tacere dell'opera propria; «Come espressione dell'interiore, profondo spiriilo del nostro tempo?». Nessuno, io penso, potrà mai, fuori di paradosso e seriamente contestare l'esistenza di un rapporto fra il'arte e il tempo in cui essa si manifesta. Piuttosto è da discutere ta3e rapporto quanto sia diretto o mediato; e quanto,, e come influisca Sull'artista (sopra tutto, come).E questo dipenderà, si capisce, dall'indole dei tempi storici e dall'indole del temperamento personale su_ cui essi agiscono e reagiscono ; e dipenderà un po' anche dalla valutazione individuale e soggettiva del lettore, o dello spettatore, o del critico che pesa tali azioni e reazioni e le giudica. . . . ' Per conto mio, opino che tale influenza sia tanto più indiretta quanto più è profonda, e quanto maggiore e l'artista che la subisce. Non è detto che non si abbiano a scrivere libri, dipingere quadri, scolpire statue, cantare musiche o poesie, alzare monumenti e costruire fabbriche « d'occasione » o anche, semplicemente e crudamente, di ordinazione. In un certo senso, anzi, ogni opera d'arte nasce di occasione e molte fra le più importanti opere d'arte di ogni epoca nacquero per_ ordinazione. L'opinione contraria è una delle tante divagazioni del romanticismo anarcoide il quale proclamava la sovranità dell'inspirazione individualista, libera, disordinata e casuale. Vi c una parte di mestiere e di disciplina, nell'opera d'arte, una parte di artigianato, la cui importanza di fattore decisivo vien messa in gioco proprio dall'occasione, e anche più, dall'ordinazione. Basti citare le tra¬ gedie storiche dello Shakespeare e la m i e e ? e e a e o e a r d a e a o e r o i i o o e o i e i , o e o e o i l o ; , i i ) a i , o r i a Sistina di Michelangelo; e se pure la Divina Commedia non fu « ordinata », è certo che il mecenatismo e la protezione viva, continua e pratica di Can Grande della Scala giovò molto a incoraggiare e sciogliere il volo delle cantiche sublimi. Ma il vero artista prende l'occasione e l'ordinazione come spunti, vorrei dire come trampolini per spiccare il volo, e tanto più alto e lontano quanto più forti le sue ali. Dai temi che avrebbero suggerito retorica o polemica ad altri, di loro minori, Orazio trae il carme secolare e Virgilio le Georgiche. Che cosa rimane, in quelle opere, del tema obbligato? Tutta la sua essenza, anzi! Ma trasmutata per glorioso modo, portata dall'oc casionale all'umano, e dal moderno all'eterno. Perchè il tempo è insieme il grande collaboratore e il grande distruttore dell'opera d'arte. Il tempo distrugge ciò che si fa senza di lui, ma distrugge pure ciò che si fa soltanto per lui. Guai ai lavori ab borracciati in fretta, con lo sguardo rivolto solo ai contemporanei, ma guai anche alle opere gelidamente pensate, in astratto fuori del proprio tempo, senza degnare di uno sguardo il misero mondo contempo raneo, che vive e freme intorno all'artista. (Se pure opere simili esistono; del che si può onestamente dubitare. Sono astrazioni come «l'uomo economico» dei trattati teorici; nella pratica, nessuno mai ne incontrò alcun esempio, vivo, di carne, che camminasse per le strade, sotto il sole). E così già si accenna risposta alla seconda domanda. L'arte contemporanea — e quella italiana in ispecie — è vero che sia lontana dallo spirito del nostro tempo, e dal fa seismo? Questo fatto non è vero. Questo 'atto non sussiste. Questa lamentela non ha ragione d'essere. Questo rancore, contro l'arte del nostro tempo e della nostra terra, non è giustificato. Anzi, il contrario è vero non è ancora nato, si dice, poema come quello di Omero, nè pittura come quella di Michelangelo per celebrare la Marcia su Roma. Prima di tutto, Omero e Michelangelo so no vette che non si raggiungono ad ogni generazione, tanto è vero, che dopo millenni e dopo secoli ancora si nominano trepidando, come maravigliosi prodigi. In secondo luogo ma principalmente, Omero celebrò la guerra di Troia, avvenuta sei settecento anni prima di lui. E sappiamo, che una materia storica non può divenire epica, se almeno due o tre secoli non le tesserono intorno il velo del mito e non la portarono, con l'incanto della lontananza e la prospettiva aerea della poesia, quel punto di trascendenza in cui l'artista può foggiarla a sua posta Quante centinaia d'anni, fra la gesta di Roncisvalle, fra Carlomagno e la canzone di Orlando? E ancora non bastano. Altri secoli ancora deb bono passare, perchè dal bozzolo rapsodico, disuguale, e talvolta sublime e talvolta rozzo, un Boiardo un Ariosto filino lucenti trame di pura seta. In quanto a Dante, in quanto a Michelangelo, cantarono, scolpirono, dipinsero l'eterno motivo religioso dell'anima umana, la vita oltreterra, le folgoranti vendette del giudizio divino, sia pure spargendovi frammentarie allusioni liriche al presente. Quando dettero : Michelangelo da rappresentare la battaglia dj Anghian, raffigurò stupendo viluppo di uomini nudi sorpresi al ruscello tra gli alberi ; scolpì Mose sulla tomba di Giulio II e il Pensieroso quale ritratto di Giuliano de' Medici. « Non gli somiglia » criticò la gente che voleva l'attualità. « E chi se ne accorgerà più fra cent'anni ? » fieramente contraddisse il gran veglio. Questa fola dell'« attualità » così va, fieramente e senza esitazioni, con traddetta. L'arte non può essere definitamente « attuale » sotto pena di circoscriversi alla funzione cronistica di un figurino di mode. E ciò che è solo « cronistico » diviene anacronistico in un battibaleno. Ciò che ( soltanto « nuovo » oggi, sarà vecchissimo domani. Napoleone non ancora trovò il suo rapsodo, dopo più di cent'anni. Donatello, quando volle esaltare la rivoluzione di Firenze, giustamente scolpì una Giuditta. E' 10 spirito solo che conta. Lo spirito dell arte deve rimanere nutrito con 11 vivo contatto del proprio tempo, la forma della sua espressione può anzi deve esserne lontanissima, se vuol serbare fede all'anima del tem po, nella sua essenza, e non imme schinirsi nell'aneddoto superficiale i vano. Esiste solo una forma d'arte in cui l'artista possa e forse debba rimaner fedele e vicino descrittore della real tà contemporanea. Questo è il ro manzo in prosa, documentazione di Stati d'anima e costumi contemporanei. Voltaire, Stendhal, Balzac, Proust, sono i veridici storiografi della vita contemporanea, ma veridici, essi stessi, solo perchè la trasfigurano, non perchè la rendano immediata e diretta come meccanica sciatta fotografia. Per conto mio, se ho qualche compiacimento d'artista verso me stessa, è quello di non essermi mai esonerata dalle gloriose fatiche e dal santo privilegio dell'invenzione d'arte. Non ho mai sacrificato alla « realtà », ma sempre e solo alla «verità» dell'arte, che è diversa e anzi opposta cosa. E se ho qualche rimorso d'artista, è quelle soltanto, di non esser ancora stata abbastanza imaginosa in quella trasfigurazione scarnifkatrice della realtà che sola è verità. E' un problema di stile. Ho cercato, voglio cercare e cercherò sempre più, di rendere lo spirito del mio tempo — l'anima fresca e audace di questa nostra Italia d'oggi, in quello che è il continuo miracolo del suo divenire spiritua¬ le, attraverso l'animosa imaginazione. Ricordo a questo proposito che l'eccellente scultore Wildt non volle vedere Mussolini prima di plasmarne quel busto, improntato di tanta maestosa autorità romana. « Non voglio turbare con la testimonianza confusa dei sensi l'idea chiara che mi sono venuta facendo di Lui nella mia testa » egli mi disse. E' « quella certa idea a cui vado dietro » di cui parlava Raffaello. E poi, camerati e amici àcW'Italia Vivente, non avete visitato quell'affermazione della vivente Italia che è la Mostra della Rivoluzione? Chi ha trasformato così il vecchio umbertino palazzo di via Nazionale se non un manipolo di artisti — i migliori d'Italia e. alcuni fra i migliori del nostro tempo, che hanno mostrato come intendono come pratichino come sentano e traducano il fascismo in opera d'arte, per virtù di linea e colore, di allegoria e di simbolo. La Mostra della Rivoluzione è la migliore risposta alla vostra inchiesta. Altra trionfale risposta è la Triennale di Milano, testé inaugurata, con le pitture murali di un numeroso gruppo di artisti, capeggiato da Mario Sironi. Volontà di potenza ; volontà di vita; volontà di grandezza; queste parole d'ordine, parole maestre del Fascismo esprimono lo stile di questa nostra arte, improntato allo stesso afflato di austera audacia e di pur equilibrata prodezza, che oggi la rendono già così significativa, e per domani assicurano all'Italia la rinnovata egemonia artistica nel mondo. I piagnistei sull'arte « lontana dalla vita del nostro tempo », lasciamoli fare a disfattisti piccolo borghesi, i quali v. aspirano segretamente a vedere la Marcia di Leonida o la Spigolatrice di Sapri e le cromolitografie di Garibaldi con Vittorio Emanuele, aggiornate agli eventi d'oggi. La storia, nell'arte, è spirito di espressione e non materia di rappresentazione. MARGHERITA G. SARFATT1.