L'invenzione del fiammifero

L'invenzione del fiammifero L'invenzione del fiammifero Ricordi e cimeli fossanesi I Ricordi e cii ei FOSSA NO, maggio. Chi ha inventato gli zolfanelli? Seco un punto controverso, un grosso tema di discussione. Senza contare il francese Carlo Lauri a, che, garzone presso un farmacista di Dòle nel Giura e poi medico, avrebbe fabbricato i primi fiammiferi nel 1831, vi sono due piemontesi che si contendono tale priorità. Dogliani assicura che la novità del fiammifero fu dovuta nel 1832 al proprio cittadino Domenico Giugliano, ed anzi l'anno scorso, come i lettori ricordano, celebrò solennemente il centenario dell'umile ma praticissima invenzione. Fossano a sua volta conclama che la parternità dello zolfanello Va senza possibilità di equivoci attribuita a un suo figlio, Samuele Valobra. Questa affermazione si basa sul fatto che, secondo documenti attendibili, 41 Valobra già fabbricava fiammiferi a Napoli nel 1829. A Fossano esistono documenti che, pur non potendo offrire clementi precisi circa la data della prima fabbricazione, si riallacciano strettamente alla storia ed all'evoluzione del fiammifero valobrano. , Dalla metà circa del 1700 fino a pochi anni fa vi fu in Fossano una famiglia specializzata nella fabbricazione dei fuochi artificiali. Il suo nome, Chey, ne indica la probabile origine inglese. Costituì una vera dinastia, la cui supremazia si esercitava specialmente durante le feste. Addobbi, fuochi artificiali e slmili furono la sua prerogativa per oltre un secolo e mezzo. Dicono Jé memorie del tempo che i Chey resero più sollazzevoli, con le loro trovate, le feste dell'albero della libertà, Sri Fossano e dintorni. Le ricette per la confezione dei fuochi erano tramandate di padre in figlio. Di un Lorenzo Chey, nato nel 1763 e morto nel 1839, ealfe te un quaderno — uno « scartario », come si legge sul frontispizio — in cui sono con cura annotate una quantità di ricette e formule. Vi si legge testualmente, ad esempio: modo di fare salnitro, modo di raffinarlo; modo di far polvere; modo di fare la polvere fulminante; girandoline per fanciulli; polvere bianca che sciopia; modo di colorire fochi; modo a far polvere per archibugi; altra polvere bellissima per archibugi; fare altra polvere ardentissima e potentissima; altra polvere mirabile per balle di fuoco ardentissime; pietra che sì- accende con acqua o sputo; ecc. II manoscritto, contenente un'ottan'tìna di formule, è stato iniziato dal Lorenzo verso il 1790 e condotto fino al 1839; e l'ha continuato il figlio Giuseppe, che vi ha aggiunto notizie famigliari circa le morti, le nascite, i matrimoni. Un secondo « scartario > reca altre rfeette, alcune delle quali scritte bensì In italiano, ma con caratteri greci moderni. E questa è opera del Valobra. GH avi del Valobra, israelita, doveVano essere giunti nel 1500 in Piemonte dalla Spagna, attraverso il Levante. Di lui non si sono trovati dati precisi, essendo andati aperduti gli archivi della comunità ebraica di Fossano. Si sa Soltanto che, giovane ancora, entrò cole garzone nella bottega dei Chey, e (che vi lavorò con zelo e successo. Il ricordo di lui, vivo e cordiale, si è tramandato attraverso la famiglia Chey. Giuseppe Maria Chey, nipote del Giuseppe che vedemmo continuare lo Hacartario» paterno, nato nel 1836 e morto nel 1914, aveva conosciuto personalmente il Valobra e lo ricordava in alcune sue particolarità, fra cui quella di scrivere con caratteri cosi diversi dai soliti, per assicurare meglio il segreto delle ricette. Egli, anzi, dell'anta co operoso garzone della bottega paterna conservava qualcosa di più e di me glip: un oggetto prezioso, che veniva considerato come la prima rudimentale («fàbbrica» costruita dal Valobra per d suoi fiammiferi e che egli aveva avuto in prezioso retaggio dai suoi vecchi. Il cimelio esiste ancora, ed è in possesso dell'avv. Italo Mario Sacco, il quale l'ha avuto in dono dall'ultimo del Chey che abbia esercitata l'avita arte, l'ottantenne Lorenzo Chey, ora ricoverato a Torino nell'Istituto Pro Milite Italico, avendo avuto un figlio morto Bella grande guerra. L'oggetto-documento consiste in una scatola rotonda di latta, di circa 15 centimetri di diametro, il cui contenuto, pure di latta, si presenta come l'arnia di un alveare, cioè con tante nicchiette, disposte però circolarmente. In quelle nicchiette il Valobra metteva altrettanti pezzetti di legno, spalmandoli poi tutti, d'un colpo solo, della miscela fosforica, dando cioè la capocchia accensibile ai suoi fiammiferi Quando, con precisione, il Valobra costruisse questo apparecchio, non è dato . sapere, perchè i due « scartari » non ne fanno cenno, e la tradizione orale dei Chey afferma soltanto che la scatola fu da lui escogitata e usata nella stessa bottega dei principali, ma senza indi' care date. Parrebbe, ad ogni modo, trattarsi di epoca anteriore al 1829, dato che in tale anno già troviamo il Valobra fabbricante di fiammiferi a Napoli.I due « scartari », tuttavia, offrono • Interessanti elementi circa quella chepotremmo chiamare l'evoluzione con cui si arrivò allo zolfanello, l'auspicato debellatore del famigerato acciarino. Troviamo infatti, fra le ricette, questa: '« Far stupini impolverati di polvere per accendere trombe, pignate, dardi, picche e simili ». Quindi, sotto il titolo « far sofrini da portar con seco », è spiegata la maniera di fabbricar fiammiferi con stojjpini Imbevuti da una parte di zolfo, 1 quali già danno l'idea dello zolfanello, anche perchè si possono «portar con seco ». La grande trovata doveva venire col sostituire il minuscolo bastoncino di legno allo stoppino e con io sfruttare il fosforo per l'accensione. La ricetta che il secondo « scartario » registra in proposito e che, con ogni probabilità, deve essere attribuita si Valobra, è la seguente : « Composizione dei zolfanelli sforforici: clorato potassa onde 8, sforforo 6, nitrato baratte 1, polvere fina oppure carbone % ». Sembra un gioco di ragàlzl, anche per via di quei graziosi svarioni del « sforf oro » e della « bariti e ». Ma quanto tempo ha impiegato l'umanità per arrivarci ! U. L. tpmarnrvglecsbltibnfvdmctaodnT