Parla il medico di D'Annnnzio

Parla il medico di D'Annnnzio Parla il medico di D'Annnnzio « Incontrandolo, ho la precisa immagine che Egli sia principe di una gioventù inesaurìbile » BOLOGNA, maggio. Augusto Murri riceveva gli ammalati che giungevano a Bologna d'ogni parte d'Italia, nella sua villetta di Porta Santo Stefano, Ano a due anni prima della sua morte, ogni giorno, ma, sopra tutto, nel tardo pomeriggio. Verso sera i bolognesi lo vedevano uscire dal cancello e avevano l'imagine che il grande vecchio non sentisse il peso, della sua tarda età. Prima, da solo, alla fine, con la vedova di Tullio. Vestiva sempre di nero e quasi sempre la redingotte lunga, la cravatta ..nera e sottile; il colletto largo, la testa un po' chinata verso terra, com'era sua abitudine, da quando gli studenti della clinica di Sant'Orsola lo aspettavano sulla soglia e si inchinavano al suo passaggio; ancora eretto della persona, ancora forte, un cappello nero a pan di zucchero, gli occhiali abbandonati sul vestito, le scarpe alte con l'elastico; un vecchio fuori moda, senza bastone, cui piaceva la passeggiata solitaria verso San Ruffllo o i giardini Margherita, come se avesse il dispetto della vita dinamica e meccanica che gli urlava vicino. Un giorno mi disse: — Lo sa? odio l'automobile. Non amavo il cavallo — come mezzo di trasporto — "ria adesso devo dire che la carrozza C ancora la meraviglia del mio tempo. Tutto questo rumore mi dà un fastidio incredibile. , Murri in casa di Gnudi Camminava vicino al muro per evitare, volutamente, la folla. Avrebbe amato di non esser riconosciuto da qualouno, di poter passare per le strade della città due volte cara al suo cuore come uno straniero, ma come gli riusciva? I noti e gli sconosciuti lo salutavano con affetto e con rispetto. Qualcuno osava chiedergli un consiglio. Se incontrava un bambino, Murri 10 accarezzava. Un giorno, ai Giardini, ne vide tre e li accolse uno alla volta fra le sue braccia. Gli pareva di essere il nonno di un'umanità affatto simile alla sua, e la sua ormai lontana e sommersa con qualche ricordo che, bizzaramente, rassomigliava ad una reliquia. Quando non ricevette più, forse non perchè fosse molto stanco ma perchè pensava di aver diritto — quasi a novant'anni — ad un po' di riposo, Murri amava lasciar via Santo Stefano o via Toscana e arrivar da solo a via Dante dovo abitava — e abita anche adesso — con Tina e con Cesare, il professor Antonio Gnudi, uno dei clinici più illustri d'Italia, il prediletto allievo di Murri col povero Dagninl, con Fabio Vitali, con Silvagnl. Gnudi gli era più vicino. Conosceva le sue abitudini. Era stato con lui a Sant'Orsola quasi dlciott'anni, non lo aveva lasciato più. Veniva per Gnudi e per i fiori di via Dante. C'era, dietro 11 cancello, un breve giardino chiuso e serrato che profumava di reseda e di vitalba. Gli piaceva percorrere i brevi sentieri a braccio dell'allievo, ragionar con lui, come se dovesse continuare un suo vecchio discorso d'allora t di 'q'ukntì' anni prima? — quando la tragedia aveva spezzata la sua vita, per sempre, ed egli si era rifugiato nel tesoro ineffabile de' suoi studii e delle sue ricerche. Gli piaceva, se mi trovava, parlar de' suoi amici più cari e, più d'ogni altro, di d'Annunzio. Non conosceva la casetta del settecento che bì specchia sull'acqua del Canal Grande a Venezia Aveva visto il Vittoriale dove era stato chiamato un giorno. Aveva pronunciata una di quelle sua diagnosi infalli bill e, tuttavia, mi giurava di non es sere un gran medico nel senso che la gente credeva. — Chi trova per primo la fontana o scopre l'oaBi del deserto? Il cammei' lo che ha la virtù dell'orientamento. L'acqua sotto terra? Un ragazzo che ha il senso dell'umidità. Un medico? Ahimè, si può nascer medico, ma la medicina? — e scrollava la testa co me se non ci credesse molto. Avzva il volto glabro e la testa me ravigliosa. Il pittore del Papa e di Carducci vi aveva scoperta quell'arteria che pa reva — secondo l'imagine di d'Annun zio — il morso del pensiero. Verso sera, se il sole declinava, rifaceva il cammino di prima. Tina e Cssare lo accompagnavano al cancello. Nella strada trovavi il Maestro e l'allievo. Pino all'ultimo. Poi non si mosse più. E' morto serenamente. I suoi allievi si caricarono la salma sulle spalle e la trasportarono nel camposanto di Fermo.... « Vis invieta viri » Gnudi, che è II medico di D'Annunzio (il medico che lo cura è sempre il dottDuse) è tornato da Gardone ieri notteForse neppur il professor Gnudignora le « solite voci incontrollabili » che, sulla salute di D'Annunzio, si diffondono tratto tratto, non si capisce come, e qualcuno (per esempio a Vienna, questa volta) le pubblica con la certezza che... non sono vere, e le lavora col bulino e con l'immaginazione fino a renderle pa33abilmente verosimili. Gnudi è un gran medico della scuola di Murri, ma è anche, come il suo Maestro, un umanista, un uomo di lettere, un filosofo. Come io gli chiedqualche notizia più positiva, oppure voglio che mi.spieghi le vere condizioni di D'Annunzio, 11 gran medico mi fa vedere il testo del telegramma che spe dirà al Poeta, domani, per rassicurarlo completamente. E' un testo in latino all'uso di una volta quando i recipe si scrivevano cosi mentre, adesso, ci son le « specialità». Una cosa molto semplice e schietta. Il modulo di un telegrammae sù, a mo' di sentenza non revocabile di sicurissimo presagio, la diàgnoscerta Vis invida viri tibi est oc setnper alt. Lo studio è ingombro di carte, di volumi, di memorie. Credo che Gnudabbia sessantanni, qualche cosa menoGli piace di perpetuare il metodo deMaestro. Continua a studiare. Fra i libri vi è l'ultima edizione dell'Oleandro del « forse che gì forse che no » con questa dedica del Poeta : « Ad Antonio Gnudi, fratello in amor puro e in alto disdegno, offro questo libro di partenza di ansia di angoscia di liberazione ». — Ma sta male? ' . — Non sta o. meglio, non stava bene. Mi ha mandato a chiamare e sono accorso... — Tornato ade-so? — Poco fa, ma non ho difficoltà ddire come tutto questo sip. avvenuto. nitida a a e ? a i e e i I o t. e. affetto, della sua devozione a D'Annunzio che ha riveduto, più volte, al Vittoriale. Quando gli giunse l'ultima lettera parti. Niente altro che questo. Più interessante sarebbe veder come e perchè. Allora Antonio Gnudi cerca fra le carte l'ultima lettera di d'Annunzio; parecchi fogli, la sua scrittura di guerra — inchiostro indelebile — chiara, limpida senza pentimenti — una larga busta, i suggelli | del Vittoriale, la carta della casetta di San Maurizio fabbricata per il Poeta senza i motti che allora eran più cari al suo cuore « ti con nu, nu con ti v oppure « io ho quel che donato » oppure « per non dormire », gli anni o piuttosto i mesi lunghi della tortura, l'epoca del « notturno » scritto con gli occhi bendati pieni di bagliori, su quattro mila cartigli puntati nel legno dall'affetto della figliuola Renata. La lettera del Poeta Antonio Gnudi vuol rassicurarmi del tutto. Egli sa che le voci più malevoli e indiscrete si diffondono rapidamente mentre sa altrettanto bene che il Poeta è in condizioni perfette e in perfettissima efficienza. Egli è « il caro e grande amico » prediletto al suo cuore perchè « forse solo » comprende l'amicizia della lontananza e del silenzio. Amore di terra lontana cantava « Giosuè da Bologna » per la ventura di Rudel. Il Poeta era vissuto con Gnudi al « letto funebre di Murri » quando « ebbi il coraggio — aggiunge d'Annunzio — contro le convenienze consuete — quasi la fierezza — di non menomare con alcuna parola 11 suo sentimento più profondo ». La lettera di d'Annunzio è lunga ma soltanto la sua rapida lettura lascia nella mia anima una grande eco. « Per il gran lutto — egli scrive — avevo pronta una lettera per te e una por Giovanni Bonmartini Che fu legionario di Fiume. Non furono spedite. Furon serbate « per un accento singolare della mia voce intima in memoriann. So, caro Gnudi, che tu comprendi e professi la medesima disciplina e la medesima cautela nel custodire il meglio di te stesso »." Improvvisamente la lettera cambia tono, muta umore, divien triste ma di quella lieve malinconia che in d'Annunzio è sempre una sfumatura o un gioco quasi che egli stesso non ci creda abbastanza. E' ammalato e gli ripugna d'esserlo più che per il dolore della nevralgia che ha colpito la sua gamba « dall'anca al malleolo » per una specie di ritorsione spirituale contro di sè, per una impossibilità piuttosto logica che fisica sopra tutto quando dice « ebbi schiava la mia età, schiavi i miei anni, quando feci la guerra come mai seppe fare alcun soldato ventenne*. Egli si credette giustamente fino a ieri t princeps juventutis » e adesso? Oppure è soltanto una tristezza , un accoramento e niente più che questo? Egli vuol sentire il consiglio, il parere, il pronostico di uno de' più illustri medici italiani. Lo chiama a Gardone, per un giorno, dall'alba al .tramonto. Ma, anche dòpo,' la stessa tristezza è cancellata, subitamente. E allora vuol concludere .diversamente « mentre scrivo ho dinanzi a me tra le mie cose più preziose la musmè che m'inviasti. Ti mando « da parte di lei... » una, scatola' di ghiottonerie e il talismano. Ti abbraccio... ». — Era vero tutto questo? — La nevralgia, indubbiamente, ma il Poeta ancora una volta osava scher zare di sè. Non ho conosciuto uomo più pronto, più arguto, più agile, più fresco, più giovane, di d'Annunzio. Il suo spirito è vigile e primaverile. Le sue condizioni, perfette, di uomo integro, con tutte le possibilità di lavoro e di pensiero. Parlando con lui, avevo la precisa imagine che egli fosse davvero, ancora e sempre, come vogliamo che Egli sia, principe di una gioventù ine sauribile. — E il talismano? Antonio Gnudi ha uno studio basso, quasi un rea de chaussée su via Dante ma, dentro, tra i fiori di un giardino piccolo, però ugualmente stupendo. Più In alto, in cima alla torre, con le prossime rondini, una specola sotto la | chiostra di Bologna, da San Vitale a San Luca. Se guardo bene il medico, trovo un po' della maniera del grande scomparso. ' — Il talismano è una spilla fabbricata con le sue mani, un gallo che canta. Excitat auroram... E sembra il motto sereno e fedele della vita di Gabriele d'Annunzio, che, di uria casa magnifica, ha fatta una officina ardente di opere febbrili che recano il segno di una energia inesauribile. 0. 0. GALLO. pcAnatltmtleTrvCfmgnrsmvvsaneldmMdvAspvsnlzebgmrsolvnipt