Le maschere congedate

Le maschere congedate Le maschere congedate A me pare, Antonelli, che non ci dsia da gridare nè per la vita nè perjpla mòrte della scena vernacola. Essai sva sacrificandosi,da sè, dolce sponta-l n.ea Ifigenia, sull'ara dell'unità nazio-jcnaie; e s'intende che quando la pararono ad Ifigenia le faccio un complimento : poi che da un pezzo, povera scena dialettale, ha tanti contatti, e così sospetti, coi teatri di tutti i tempi e paesi, che a supporta vergine come la figliuola d'Agamennone ci vuole iula bella dose di fede o di galanteria. Ma all'altare dell'olocausto, ripeto, essa va da sè, passo passo ; e la catastrofe è questione di anni, o di giorni, ma si può dare per immancabile: per cui possiamo risparmiarci noi una sentenza di morte, cioè un rimorso verso un'infelice che non ha mai fatto niente di male, anche se da qualche.tempo fa ben poco di bene. Come già un giorno ho ricordato, gli Inglesi fanno grazia del capestro agli affetti di tisi galoppante. : Questo ed altro dicevo l'altro dì al senatore Venino, il quale mi aveva fatto l'onore di consultarmi, così alla buona tra altre discorse, circa il teatro milanese: quel poco, ohimè, che ne avanza, insieme alla zimarra ferravilliana di Bonecchi e al toupet dinagallesco della Zanoletti. Nè aiutarlo nè dargli addosso, risposi : ecco il parere mio. Vengono da quel gramo, superstite teatro minato di mal sottile, uno sguardo, uno spiro d'autunnale mestizia. E se possiamo intenderlo, compatirlo, stargli anche un poco vicino, è per quel tanto d'accorabile nostalgia che nel suo sfinimento ancora ci porta, ancora ci dà. Ma "confidare nella sua salute, e aiutarlo a recuperarla, mai più. In tempi come questi, crudelmente e stupendamente urgenti, non si aiutano le disperazioni. Non si eviterebbe una fine; e invece si favorirebbero dei microbi, con troppo rischio di contagio. Perchè anche la nostalgia, nell'anno undecimo, è un'infermità. Al conte Venino ho anche detto che non bisognava dolersene poi troppo. L/animus regionale è una bella o brutta cosa : non discuto ; non so. Ma, sia brutta o sia bella, non può essere una partita di calcio, e neanche una commedia in tre atti, a tenerla su. Intanto perchè, oggi, fra i giocatori delle squadre è sangue di ogni paese ; e cosi fra i repertori re; gioitali : dove si vede che il centro sostegno della Compagnia Bonecchi, milanese, è il triestino Colantuoni coi suoi Fratelli Castiglioni; la mezz'ala della Compagnia Giachetti, veneziana, è il bolognese Testoni, il portiere della Compagnia Petrolini, romanesca, è l'autore di Must afa americano, come Orsi e come Petronc. Ne a sì scarso diritto di rappresentanza corrisponde, come almeno corrisponde ili Petrone ed in Orsi, una efficienza di reale vantaggio. Il teatro dialettale non c più insomma che uti.formalismo. E non è coi formalismi che l'anima d'una regione si magnifica e si potenzia : bensì con la considerazione, tutta spirituale e tutta intima, della propria congenita diversità: quella diversità caratteristica che va esaltata in noi stessi perchè diventi forza, e, fatta forza, serva ad accrescere l'armonia del tutto. Per me, milanese, l'anima di Milano non mi riesce di sentirla nello Stadio, dove i piemontesi dell'* Inter » incontrano i lombardi della « Napoli » ; e neppure al teatro Principe, dove si recitano quei Pugni del Signor Trcmolada che pure si devono al più robusto dei nostri autori: Erminio Spalla. Me la sento invece venire incontro, quell'anima, allora che spalanco, le imposte su un vecchio giardino di via Guastalla, o m'incontro, il sabato sera, in una squadra di dopolavoristi che ha lasciato l'officina per avviarsi a una montagna. Allora sì un'onda di commozione mi fa risentire, rimeditare le radici onde il mio cuore affonda nella mia gente e nella mia terra. Ma quando rivedo Bonecchi nella palandrana di Panerà, . o nel panciotto di Tccoppa ; o quan do passa nei cortei di Mezza Quare sima, Meneghino dal riso tonto sotto braccio a Cecca pettegola che si sventaglia, volto la faccia dall'altra parte, Il mio pensiero, è che le maschere oggi non servano, anzi tradiscano lo spirito regionale da cui pure nacquero, ma in tempo assai remoto, e, spesso, per tnera avventura. Non dimentichiamo che Arlecchino è originario di Bergamo, non di Venezia; che il Ruzzante non è nato a Padova, ma in Lombardia. La necessità etnica o storica, la ragione fatale per cui essi.dovessero rappresentare un popolo od un luogo, a lume di critica già spesso vanisce; e, ad ogni modo, il tempo l'ha cancellata del tutto. Trovatemi oggi, in tutta Bologna, uno, uno soltanto su trecento mila, che vi mostri l'addottorata supponenza di Balanzone. E sappiatemi dire se la nasale malignità di Pulcinella si trovi, cacciati i Borboni da settant'anni, in alcun napoletano an che di Basso Porto. Resistono un poco i caratteri d'un Rogantino a Roma ; d'imo Stenterello a Firenze : per quanto anche i fiorentini dell'anno undecimo siano assai diversamente atteggiati, ed anche fatti, di quelli che mettevan riboboli e lepidezze, tra un inchino e un'ironia, alla corte del Granduca. Ma forse che Brighella e lo Zanni me li ritrovate, nel Veneto? E Meneghino? E Gianduia? Ho già spiegato una volta ai miei lettori torinesi l'enorme falsità della maschera bougia-nen, ch'essi veramente non meritano. Bougia-nen il piemontese : il popolo, sotto apparenze ordinate e riflessive, più celere, più pronto, più implacato dellaqcpvanto, sì grande in tempi d'avanza ta, d'una siffatta industria automobilistica? Bougia-nen la razza che ha dato e seguita a dare, in odio all'immobilità gianduj esca, in odio al « suocerismo » stramaledetto da Mussolini, i campioni di tutte le rapidità: da Nàzzaro 4 Bordino, c a, Girar-,.terra? Bougta-nen la citta che ha-rt dengo? Quando si pensa che sangue lepiemontese ha Fregoli, il trasformista ; che sangue piemontese aveva Bosco il prestigiatore, si comprende come questo genio di rapidità esista à r n qui nelle azioni minime, non meno • iche nei grandi cimenti; e quando si|pone mente che sangue piemontese è sin nelle vene di Marinetti, e cioè di colui che dà il precetto e l'esempio di tutli gli impeti, ci si persuade che il bougia-nen, tra il Po e la Dora, non esiste nè può esistere nell'ordine spirituale, non meno che nel corporeo. E allora che fa, che può fare il pigro dolciastro Gianduia, se non rappresentare una fabbrica di cioccolatini? Ma ancora più mi irrita e mi attrista di vedere sopportata, e persino rimpianta, la maschera di Meneghino, di cui pure i miei concittadini, d'animo sì fiero, dovrebbero conoscere l'origine servile. Meneghino, cioè Domeneghino, era il domestico preso a nolo la domenica ; era il lacchè portacodino e portacandela, che, intanto, parlava brianzolo e non milanese ; e calzava goffo, parlava stento, rideva con una sua grassezza timida, e spesso stupidona per non pagar dazio. Paragonate un tale babbeo ai Milanesi, non dico del Carroccio o delle barricate, ma delle strade e delle ore d'ogni girono: rudi, alteri, espliciti, leali, tutti nervi e tutti cuore, addirittura emblematici d'ogni franchezza e baldanza, senza cui il Duomo non sarebbe nè così candido nè così'non sareDpc ne cosi canuiuo ne tosi alto. Anche questo Meneghino puofar buona figura, sventolando il tri-corno caudato, sulle carte d'involto ghino era' accidentale nella società del suo tempo tanto più lo erano-Fa-nera, Massmelli e 1 ecoppa m quelle del tempo loro; e se 1 uno n era già un indice bugiardo, gli altri lo face- vano addirittura oggetto della peg- riore diffamazione. Ora la calunnia he i sozzi tipi ferravilliani esprime- ■ano contro la forte, la maestosa cit-dei panettoni: ma coi simboli della mia terra, insieme al Duomo ed alPorta, al magistro de muro del trecento e a Dina Galli di trcnt'ann.i fa, non l'accetto per Dio. Direte che il teatro vernacolo queste maschere non le ha più. Rispondo che purtroppo ancora le accoglie, c ne echeggia quelle poche volte che i soggetti e i tipi non va a trovarli fuori di casa ; e forse senza farlo apposta, in forza di un automatismo che non bisogna però scambiare per naturalezza o spontaneità. E se le cose sono andate male anche pel teatro toscano, o napoletano, i quali una volta andavano benissimo, ciò appunto si deve alla sopravvivenza, nell'uno, dello stcntcrellismo. nell'altro, della pulcinelleria: figliuolanze di maschere che di sopravvivere non avevano diritto alcuno, e tanto meno di rappresentare un suolo od una razza. II. caso del teatro milanese è ancora più pietoso. Esso ebbe la gloria e la sventura, in sul calare del secolo scorso, di trovare un attore grandissimo che lo dominò : ma dominandolo, lo uccise. L'attore era immenso, ma i personaggi erano infimi. L'attore si chiamava Ferravilla; i personaggi, Massinelli, Tecoppa, il signor Panerà : un idiota, un furfante, un vigliacco. A guardar bène, ciascuna di "queste tremaschcrc riproduceva, giganteggiatodagli anni e dall'arte, un aspetto del-l'antico servo Domenighino, pavido e citrullo e margniffone. Ma se Mene giore diffamazionc."Òra la calunniati He niì ni-Ptfnrlpvano derivare du- ta da cut pietendevano ac aie, uu ro, putmppo, finche: duro.laft0^P"- lente. Morto lui, il panciotto giallo|di I ecoppa e ì calzettoni a righe ai Massinelli non fecero più alla ribalta che pena e ribrezzo, mancando la scusa sublime della loro ragion d'es-sere infame. E anche il teatro mila- nese non fu allora più che il balbet:tante mendico, raccomandato ai neisuocerili di Giannina Zanoletti e allecommedie pugilistiche di ErminioSpalla. Per ciò io rivolto la facciadall'altra parte quando nei cortei carnevaleschi ripassa Meneghino colsuo riso d'anticamera; e così immangino debbano fare i miei amici to- rinesi, così mobili in ogni impresa,allora che si rievoca Gianduja yoi(-oia-nen; o i miei amici veneziani, ai-'^ra che riammicca in p^zza os^Sfa bauftesulli JMW^giustifica più, dato ch'egli non ha piùfu «acrnnrlere sotto il mantello te-eia nascondere, mjuuji u una ietterà ne un nebroso, nè gnale. Insomma queste maschere,buone o cattive, ilari o tristi, eia tmpezzo ci hanno fatto la nvere.ia._Eallora rassegnamoci al_ loro conge-do: nè abbiamo sto di richiamarle di rimoiargerle, incnue it Luuaiut rismr. nerifute riamo peruute. bampfBTI mAttCU KAffii-CR 11.

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