Le classi lavoratrici dal discorso di Dalmine allo Stato Corporativo

Le classi lavoratrici dal discorso di Dalmine allo Stato Corporativo OPERAI ALLA MQ3TRA DELLA RIVOLUZIONE Le classi lavoratrici dal discorso di Dalmine allo Stato Corporativo Dalmine: una promessa che non sarà dimenticata - Il contributo di sangue degli operai e dei contadini all' insurrezione Martirologio popolare - Origini e sviluppo del sindacalismo tricolore - Mussolini e il popolo nei discorsi della vigilia roma, aprile. Un colonna di visitatori sale la scalinata, fende il rivolo di gente che defluisce dalle uscite laterali, passa, salendo sempre, tra i colossali Fasci littori, entra. Spettacolo di tutti i giorni e di tutte le ore. Sono operai. Hanno la camicia nera. D più giovane avrà quarant'anni, e tutu portano sul bavero della giacca, acanto al distintivo del Partito, il br .zeo dischetto degli ex-combattenti. Tacciono, ma il passo, la solida squadratura, il piglio ruvido e schietto, lo sguardo franco li denunciano lombardi. Sono dentro. Il cappello o a berretto in mano, iniziano la visita secondo l'ordine rituale, ch'è quello cronologico. L'atmosfera raccolta, l'ambiente severo, la presenza di tan ta folla li mettono visibilmente in uno stato d'animo di soggezione e di impaccio, ma è un momento. C'è qualche cosa nell'aria, in questa Mostra, che vi prende, vi afferra fin dai primi passi. Gli operai lombardi hanno appena intrapreso il loro giro, che eccoli già conquistati dalla potenza comunicativa di tanti oggetti dintorno, eccoli come in casa propria. Intervento, guerra, dopoguerra: fatti vissuti e sofferti, eventi di cui furono attori o testimoni appassionati La Mostra mette in moto il meccani amo dei ricordi, e il passato risorge non solo intorno ai visitatori ma dentro a loro, nella memoria e nel cuore. Sala del millenovecentodiciannove. H gruppo si sparpaglia. Ogni parete, ogni angolo dice qualche cosa di particolare, ha un suo fascino misterioso, una sua forza di attrazione. La guerra è finita da pochi mesi Grandi fotografie mostrano città in festa, combattenti che tornano,^ folle che tumultuano. Una parete è oc cupata dalla « bestia trionfante ». li'Avanti scatena la sua odiosa campagna contro la guerra, contro i suoi artefici migliori, contro i suoi episodii più belli: colata di fango su una pagina superba della nostra storia recentissima. Dalla parete di contro squillano i titoli delle prime pagine del Popolo d'Italia. Mussolini — firma fiammante in calce al « fondo » lapidario del giornale — lancia la sua invocazione fremente per « coloro che tornano ». « E' da tre anni che noi andiamo proclamando la necessità* -di dare un contenuto « sociale internai » alla guerra, non solo per ricoritpensaré le masse che hanno difeso la Nazione ma per legarle anche nell'avvenire atta Nazione e alla sua prosperità.... Si<7?iori del Governo... Fate oggi, in periodo di armistìzio, quello che avreste fatto dwrante la guerra. Rivolgetevi alla Nazione. Lanciate il Prestito della Pace. Il Prestito per i Combattenti! ». Le organizzazioni corrìdoniane Uno degli operai s'è fermato poco lontano. In un angolo un ciocco colossale, un tronco robustissimo di quercia, una ciclopica colonna lignea sorregge una incudine enorme. Sopra, il tricolore. Il fianco del tronco è sventrato, e oltre i vetri di uno sportello rettangolare sono stampate delle parole. L'operaio legge, si volge ai camerati del gruppo, li chiama a raccolta: « Dalmine! ». Dalmine. 17 marzo 1919. Ore grige per la Patria. La corsa al più rosso furoreggia. L'odio di classe divampa. Scioperi, sabotaggi, conflitti. Le masse, illuse, seguono i rossi pastori. Ma ecco, nell'assordante e sinistro concerto, una nota originale ; ecco, nella oscurità che grava l'orizzonte del paese, una luce di speranza e di conforto. Gli operai di uno stabilimento di Dalmine, raccolti nelle organizzazioni corridoniane, si agitano per questioni economiche, e per il riconoscimento dell'Unione Italiana del lavoro. Abbandono precipitoso della fabbrica, violenze contro la minoranza dissidente, sopraffazioni ? No. Si chiudono nello stabilimento ed innalzano la bandiera tricolore. Lavoreranno, per non far mancare la produzione; ma non usciranno dallo stabilimento se non a vittoria ottenuta. Mussolini, che sul Popolo d'Italia ha appoggiato fin dagli inizi la caratteristica manifestazione, giunge a Dalmine la mattina del 20. Gli operai lo accolgono festanti. Invitato a parlare Egli esalta l'ordine del giorno votato dalle maestranze come « un documento di valore storico enorme, che orienta, che deve orientare il lavoro italiano »... « Voi — prosegue Mussolini — vi siete messi sul terreno della classe ma non avete dimenticato la Nazione. Avete parlato di popolo italiano, non soltanto della vostra categoria di metallurgici... Non potevate negar la Nazione, dopo che per essa anche voi avete lottato, dopo che per essa 500 mila uomini nostri sono morti. La Nazione che ha fatto questo sacrificio non si nega poiché essa è una gloriosa, una vittoriosa lealtà. Non siete voi i poveri, gli umili e i reietti, secondo la vecchia rettorica del socialismo letterario, voi siete i produttori, ed è in questa vostra rivendicata qualità che voi rivendicate il diritto di trattare da pari a pari con gli industriali. Voi insegnate a certi industriali, a quelli specialmente che ignorano tutto ciò che in questi ultimi anni è avventilo twi mondò, nh" lsscmrl e a o o e . o o a a a a la figura del vecchio industriale esoso e vampiro deve sostituirsi con quella del capitano della sua industria, a cui egli può chiedere il necessario per sè, non già imporre la miseria per gli altri creatori della ricchezza... « Il divenire del proletariato è problema di volontà e di capacità, non di sola volontà, non di sola capacità ma di capacità e volontà insieme... Oggi che la guerra è cessata io che sono stato in trincea, tra il popolo d'Italia, ed ho avuto per lunghi mesi, e quotidianamente la rivelazione in tutti i sensi del valore dei figli d'Italia, oggi, io dico, che, bisogna andare incontro al lavoro'i che terna, e a quello che, non imbo-\ scato, ha nutrito le officine, non coli gesto della tirchieria che non riconosce ed umilia, ma collo spirito aperto alle necessità dei tempi nuovi. E coloro che si ostinano a negare le « novità » necessarie, o sono degli illusi o sono degli stolti che non vedranno la sera della loro giornata... Piazza San Sepolcro Questo diceva Mussolini agli operai il 20 marzo del 1919. Tre giorni dopo, a Sansepolcro nascevano i Fasci di combattimento. La nuova storia incominciava. Le Camicia nere facevano la loro prima apparizione per le vie e le piazze d'Italia, s'affermavano in una serie di lotte cruente, dilagavano per la Penisola, vendicatrici e liberatrici, sollevando alto, contro le negazioni e le offese, lo stendardo tricolore. Per tre anni e mezzo — dal 23 marzo 1919 al 22 ottobre 1922 — Mussolini è al centro del movimento. Lo disfrena e lo modera, lo rattiene e lo sprona, lo guida e lo domina con l'esempio vivo, con Io scritto, con la parola. Capo sempre, è a volta a volta organizzatore e politico, propagandista e squadrista, interprete e animatore. La sua attività formidabile, insonne, febbrile è documentata alla Mostra da un materiale inverosimile, che pure è quanto resta di una cernita spietata. Sono articoli di giornale, sono lettere private, sono proclami, programmi e statuti del movimento come di singoli Fasci, dichiarazioni di guerra o bollettini di vittoria; sono telegrammi, ordini del giorno, piani di mobilitazione, avvisi di adunata; sono discorsi pronunciati nel chiuso delle assemblee o nelle pubbliche piazze, alla vigilia di una battaglia o a celebrazione dell'eroismo dei caduti, l'indomani, o a semplice riepilogo dei risultati morali raggiunti ; so no parole fiammeggianti, sgorgate nella concitazione della passione tra l'incalzarsi di eventi drammatici, o vergate sulla carta con quella scrittura nervosa e rapida, chiara e im periosa. Ebbene, invano cerchereste ir questa profusione di documenti — testimonianza di quanto di fibra < d'anima Mussolini ha dato al « suo » movimento — un atto, una frase, una parola che possa significare tradimento consapevole, o passeggero oblio, o semplice rettifica della premessa di Dalmine. Prima ancora di Sansepolcro, la parola di Mussolini è parola di simpatia, di calda e meditata solidarietà verso lo classi lavoratrici; per tre anni e mezzo, attraverso difficoltà prevedute e imprevedibili, attraverso alterne vicende di successi e di momentanei insuccessi, questa simpatia e questa solidarietà non sono mai venute meno, anzi si sono sempre più affinate, concretate, precisate. Dalmine è un principio, è una direttiva troppo intimamente connaturata all'Uomo, al suo temperamento, al suo passato, alla esperienza attraverso cui si è formato, perchè fosse possibile una deviazione anche temporanea. (( Non siamo dei reazionari r> La calunnia, è vero, si accanisce a raffigurare Mussolini come l'apostolo della lotta antiproletaria, e dipinge le Camicie nere come i foschi arcangeli della reazione padronale, come le prezzolate milizie dei pescicani ; ma, come tutte le calunnie, anche questa affida il suo successo alla distrazione del grosso pubblico, o alla sua ignoranza dei fatti. « Non siamo dei reazionari — proclama Mussolini in una intervista conces- sa il 17 aprile del 1919 ad un gior-] naie romano — come dicono dei mc-j linconici imbecillì lavati elle tradì- stoni, ma dei rivoluzionari che han- >no il ser.no della responsabilità e so¬ prattutto delia possibilità. Noi vogliamo il popolo grande economicamente e moralmente in una grande Nazione. Non è con la dittatura diiquattro politicanti da bottega che si lavora per le masse operaie ». Quindi Mussolini illustra il programma fascista, in cui figura tra l'altro la richiesta di un disegno di legge che sancisca per tutti i lavoratori italiani la giornata di 8 ore. L'indomani, sul Popolo d'Italia, commentando i tragici fatti accaduti in conseguenza dello sciopero protestatario, Mussolini scrive : « Non erano reazionari, non erano borghesi, non erano capitalisti quelli che mossero in colonna verso via S. Damiano. Era pepalo, schietto, autentico popolo! Erano soldati e operai, stanchi di subire le prepotenze, non più semplicemente verbali, dei leninisti. Qui il nostro giornale è stato presidiato da soldati e da operai — autentici soldati, autentici operai! — Nessun borghese dal grosso portafoglio ha varcato la soglia ben vigilata della nostra fortezza! E' l'interventismo popolare, il vecchio buon interventismo del 1915 che in tutte le, sue gradazioni si è raccolto intorno a noi. « Appunto perchè ci sentiamo popolo, appunto perchè amiamo e difendiamo il buon popolo lavoratore, noi vogliamo ripetere in questa occasione la nostra franca parola: « Operai, dissociatevi da coloro dei vostri cavi che ver un loro dise gno politico vi hanno spinti e vi vo glio-.w spingere alto sbaraglio san- guinoso e inutile. Checché vi si possa dire in contrario, noi non ci opponia-mo alle vostre giuste rivendicazioni. Le facciamo semplicemente nostre. - Vi aiutiamo, fraternamente e disin-] tcressatamente, per raggiungerle. -j Questi stessi concetti Mussolini - riafferma il 2 luglio eh! - >>•••' ¬ e diificativo ancora è si a a e a, i, sao nù i. iu— ainn e noie, co e o 19, in unicolo intitolato «Passiamo», in! cili proclama anche la necessità di costituire i consigli nazionali ccono- : mici con la rappresentanza degli o-1 perai; ma più interessante e signi- il discorso che il'-.orso che il Duce pronuncia in piazza Eelgioioso{a Milano il giorno 11 novembre 1919, in un comizio in contraddittorio. « La vita della società moderna — Egli dice — è di una complessità formidabile, e ad essu non sono più sufficienti gli organi primordiali del nostro sistema politico. Noi pensiamo che una delle necessità improro^ gabilì della vita moderna sia quella sdi dare il più largo posto alle com-' petenze tecniche e ci; e l'organismo statale debba trasformarsi con l'istituzione dei consigli tecnici nazionali, eletti dalle organizzazioni di mestiere e professionali e dalle associazioni di cultura. Uomini liberi e spregiudicati, noi non abbiamo pregiudizi o pregiudiziali. Ma pensiamo che o le attuali istituzioni si rinnoveranno rapidamente e si adatteranno ai bisogni nuovi, o il loro destino è se- gnato. E saremo noi, che daremo il tracollo al passato, per inalzare, sul- le basì della Nazione, la società mio- va... Io vorrei che uno, uno solo, di- cesse quando io e il mio giornale, incinque anni di quotidiana attività, ci siamo posti attraverso la via delle rivendicazioni operaie; quando toabbia detto o scritto mia sola frase che possa giustificare l'accusa che io sia un nemico o anche soltanto un avversario della classe lavoratrice... Io non sono contro la classe operaia \ma contro quella politica che preten n- eie di rappresentarla e specula intana ito sui suoi dolnn e sulle sue miserie, a-iNon contro, via per la classe opei. ,raia, per la quale reclamo tutte le e.\nbertà e il diritto di ascendere a jor- :ne sempre più umane di vita. Ho '«Jita fiducia in questa classe ope- •aia, che io spero essa saprà espri- mere dal proprio seno le élites intel- 'Agenti e volitive che potranno «ssi-■Mirare la grandezza e la prosperità ■lel paese, poiché una Nazione non può essere grande se le classi ope- .-aie rimangono abbrutite nella »u- seria e nella soggezione. Sono contro le tirannie anche se si chiamano prò- letarie: come sono contro quella borghesia inetta e parassitaria che ostenta le ricchezze male acquisite e i'41 propria imbecillità impotente». ! Al comizio (tale e tanta è la in tolleranza fascista!) è presente un : operaio socialista, certo Nini, che 1 Può prendere tranquillamente la pa rola in contraddittorio con Mussoli 'ni. Questi conclude la discussione in ni. Questi conclude la di: {vitando l'operaio ad andare tra i suoi e dire: «Primo: che i fascisti non sono mai stati contro la classe ope raìa e che in cinque'anni di vita, mai il Popolo d'Italia ha avversato, dimenticato o abbandonato una rivendicazione dì classe. Lo sciopero dei metallurgici — l'ultimo — informi. Secondo: che i fascisti seguono con simpatia anzi pungolano il graduale ' elevarsi del proletariato, dalle cmì schiere si potranno estrarre le forzepiù mature e più volitive per la fu-tura cooperazione di Governo... Sedobbiamo fare la rivoluzione, questa rivoluzione non potrà essere che prò-fondamente, che schiettamente, che fieramente italiana. Non russa, non leninista, operaio Nini. Ila i-ta-lia-na! Le squadre d'azione \ „ ... " , .. Navighiamo nel gran fiume dei . testimonianze che ric;orcu '■ ' ' e delle inane tuoso scorre unnetuoso tra le pareti _ queste sale. Passano i mesi. Le fa- lar.gi fasciste ingrossili-.?. Le equa- are si moltiplicano, l'armamento si perferiona, la tattica si affina. La Mostra è piena di gruppi fotografici delle vecchie squadre, le disperate, le intrepide, le ardite, le volanti. Chi sono costoro che accorrono sempre .più numerosi al richiamo pericoloso 0 fascinatore di Mussolini, che ven-n gono a militare sotto i gagliardetti '.del Littorio? Chi sono costoro che ricordiamo e rivediamo offrirsi a ri-o pristinare i servizi pubblici paralìz- - zati dagli scioperi, che rimettono m moto le locomotive, riattivano le cen- vtrali elettriche, guidano le trattrici e gli aratri per i solchi abbandonati ? Chi sono costoro che lasciano la vita nelle Imboscate, nei conflitti, negli assalti alle cittadelle del sovversivismo, difensori volontari di una libertà e di una legalità che i poteri costituiti lasciano impunemente offendere e violare? Sono contadini, operai, artigiani, piccoli impiegati; umile gente, lavoratori dei campi e delle fabbriche. Sono popolo. Le fotografie dei martiri, i loro abiti insanguinati, le loro reliquie pietose parlano con una eloquenza più forte di tutti i documenti di stato civile. Da questa triste galleria di figure spente guardano volti di muratori, di cavatori di pietra, di terrazzieri, volti arsi e screpolati dal sole e dai riverberi, atteggiati alla semplice schietta bontà della gente del popolo. Le stoffe stracciate dal piombo sono stoffe di rudi casacche popolane, di vecchie giacche grigio-verdi, logore e fruste, in cui il sangue ha cancellato macchie bianche di polvere o di calcina. E quando passa il funerale di un caduto fascista, ecco, tra l'ondeggiante selva di gagliardetti, il gruppo dolorante ma fiero dei parenti: madri con il capo avvolto in un povero scialle, vedove recanti in braccio l'orfano ignaro, gente che al fascismo ha dato un'adesione ideale e istintiva, inon retorica, non calcolata, non interessata. Da Giorgio Pagnoni, contadino, | ucciso a Castello Estense, a Giovanni Fùntanare'.li, tipografo, caduto a Cremona durante le giornate di ottobre; da Umberto Ferrari, contadino, padre di dieci figli, che a Revere trenta sovversivi aggrediscono e la-, sciano per terra con il cranio e le|mani fracassate da colpi di bastone ! e di rivoltella, a Primo Martini, « liz- datore» carrarese immolatosi per di-Ifendere la causa dell'ordine e del la-\voro nel porto di Genova; da Alfre- do Musi, operaio, colpito alla testa da un colpo di ascia e poi gettato\nella vasca del borace bollente, inP<?Pp,i7ÌonP di ima nefanda sentenza !esecuzione di una netanda sentenza | spszilmrMalcdccqsdsddel tribunale rosso, a Giuseppe Ric- tci, contadino, freddato con un colpo ì di furile sulla piazza di Vitorchiano ; '.*1*- Fausto Lunardmi, altro contadi\no fascista, caduto nell imboscata di e!Ponte Mella nel maggio del '21, aglia operai Barnaba e Ravaglia, trucida-!-j ti a rivoltellate e a sassate a Castel!e San Pietro nel novembre dello stesso ; anno; dal bracciante Accorsi, assas-:pinato nel luglio '21 a Sant'Agostino; j presso Ferrara, a Giorgio Morelli, 0- j peraio carrarese ucciso l'S gennaio Ì1022 dai cosiddetti arditi del popolo; . , . , . .... dal meccanico Amedeo Majani, mas- sacrato e seviziato a Sarzana, al con¬ tedino Bavaresi, proditoriamente at terrato a colpi di zappa ad Alfinello, presso Brescia, il 27 agosto del -dai primi albori al pieno meriggio della rivoluzione — di cui non abbia- mo ricordato che alcuni caduti, caso — il martirologio fascista * martirologio popolare, ed è da quelvermiglio sangue di .popolo che sor- Z i.' • i: i 4.4.- j • o- gono bagnati i gagliardetti dei Sin- dacati fascisti, e il fascismo trae la spinta irresistibile a trasformarsi, da puro movimento militare e politico, in organizzazione anche sindacale. I Sindacati fascisti Già sullo scorcio del '20 e sui pri!mi del '21 si costituiscono « Cameredel Lavoro» italiane a Trieste e aCremona. La Confederazione italia- na dei Sindacati Economici, movi-r^ento sindacale a base nazionale, diretto fin dagli inizi da un organizzatore di salda tempra, Edmondo Rossoni, acquista sempre nuovi proseliti. A meno di un anno di distanza dalla prima apparizione di un Sindacato fascista, quello di Bosco S. Bartolomeo, nel Ferrarese, il 17 gennaio 1922 si tiene a Bologna un convegno provinciale per la costitu-Izione della Federazione dei Sindacati1Nazionali. Gli iscritti ai Sindacati ! sono già 250 mila. Un giornale ita- aliano commenta l'adunata con le se- ;guenti paroie di Dino Grandi: <Il- fascismo, conciliando finalmente nel-mll'Idea-Nazione il principio assco.5r.U- vo e sindacale, che è la forza irresi- , |"°l trascurarli.?... Largo a queste ! Prime avanguardie di lavoratori fa c[le a Rovigo a Ferrara, a SoIto*"10, h(lnn° dimostrato quanta di\Pacit" dl sacrf™ nfe loro ani~ «e- Lar9° «*"«*" l'aristocrazia del tow>ro perche essa deve preparare i \™om e ar.andl dfstim Pa: *™»- K°*som rincalza: « H Fasci- !smo e- oltre che la Mlllzia nazionale, | fa mlìzia_ audace ed invinci- stibile del mondo contemporaneo, si prepara a diventare l'anima e la coscienza della nuova democrazia nazionale italiana ». Sette giorni dopo, pure a Bologna, in una riunione presieduta da Achille Starace, dopo un discorso di Edmondo Rossoni, si creano le Corporazioni Nazionali. Su proposta di Michele Bianchi, si approvano tra le altre le seguenti dichiarazioni: «... Il lavoro costituisce il sovrano i.tolo che legittima la piena ed utile cittadinanza dell'uomo nel consesso sociale... L'organizzazione sindacale, c . cioè lo strumento di difesa e di conquista del lavoro contro tutte le farr 3 di parassitismo, deve tendere a sviluppare negli organizzati il senso della consapevole inserzione dell'attività sindacale, netta complicata rete delle relazioni sociali, diffondendo la connizione che óltre la classe vi sono una Patria ed una Società ». Le Corporazioni nazionali create nell'adunanza sono quelle del lavoro industriale, del lavoro agricolo, del commercio, delle classi medie e intellettuali (professionisti e artisti), della gente di mare. Siamo' già alla concezione che, sviluppata, porterà alla legge del 3 aprile 1926. Si conclude con la deliberazione di solennizzare nel giorno 21 aprile, Natale di Roma, la festa italiana del Lavoro. La proposta è presentata da un umile lavoratore napoletano, che sarà poi deputato: Felicella. Nel luglio '22,'a Milano, al Congresso delle Corporazioni fasciste, i lavoratori rappresentati sono già mezzo milione. Mussolini, che parla per primo, proclama: « Ci sono diciotto o venti milioni di lavoratori del braccio e dello spirito. Possiamo tbile dei lavoratori ». Ottobre '22 Settembre e ottobre del '22. Il mc- lvimento precipita verso il suo sboc!co fatale, verso l'epilogo ìneluttabi!le. Preoccupazioni politiche, mihta ; ri, strategiche e tattiche sorgono in :primo piano, eppure il popolo, le sor;ti del popolo, l'avvenire delle classi j lavoratrici sono presenti nella men- te e nel cuore di Mussolini. Rileggia- ino il discorso di Udine: « Gli industriali stessi e i datori di lavoro, la borghesia per dirla in una parola, la borghesia deve rendersi conto che nella Nazione c'è anchp il popolo, una massa che lavora, e non si può pensare a grandezza di Nazione se questa massa che lavora è inquieta, toziosa, e che il compito del Fascismo è di farne un tutto organico con la Nazione ». Cremona: « Solo da canaglie c da criminali noi possiamo essere tacciati di nemici delle classi lavoratrici; noi che siamo figli di popolo; noi che abbiamo conosciuto la rude fatica delle braccia; noi che abbiamo sempre vissuto fra la gente del lavoro...». Napoli: «Le masse :abnriosc esistono nella Nazione. Sono gran parte della Nazione, sono necessarie alla vita della Nazione ed in \pace ed in guerra. Respingerle non si può e non si deve. Educarle si può le si deve; proteggere i loro giusti inj teressi si può e si deve ». E' l'ultimo discorso pronunciato ida Mussolini prima della conquista 'del potere. Poi c'è la marcia su Roma. La mostra si arresta qui. Il resto è noto. La visita è compiuta. La ^ rivoluzione fascista movimento di popolo: ecco la prima, potente imI pressione che ne abbiamo riportata, i Movimento di popolo nella impronta schiettamente popolare che Mussoli- - ni, figlio di popolo, gli ha impressa fin dalle origini ; nella adesione spon- litan^a e ^volgente delle classi più , u™h : ne^ contributo di sangue che al'° squadrismo hanno dato ì lavo jratori dej campi e deUe offldne; nel. a la energica azione che i sindacati fa, scisti hanno svolto, fin dal loro sor¬ gere, contro i datori di lavoro grettamente sordi alla voce dei tempi nuovi; nella risoluta presa di posizione programmatica a favore delle grandi riforme sociali. Lo straniero che oggi vede Musso- e'lini, dopo dieci anni di dura fatica a;di Governo, acclamato da immense - ! moltitudini, e dalle piazze gremite -lode salire a lui, sulle ali di un anelio n o 7 to appassionato, il grido che soverchia ogni canto, ogni parola, ogni musica: «Du-ce! Du-ce! »; lo straniero che si meraviglia della freschezza miracolosa di un Regime ultradccennale che affonda sempre più le radici nella linfa del consenso popolare; lo straniero che vede tutto questo, e se ne sorprendo, venga al- n, la" Mostra "della RT^uzTone.L'Iteha -|nuova va compresa e giudicata alla ijluce degli eventi in cui si formò, tra i prove ardue e cruenti. Lo Stato cor- porativo non è un'improvvisazione. - Un filo ideale lega la storia di questi l|ultimi diciotto anni. Dalmine è del -,193 9; otto anni dopo, il 21 aprile del -ii927, nasceva la Corta del Lavoro. ose e n .. a n ne, ele r- ! ■.sl