Crisi di cassetta e crisi dello spirito

Crisi di cassetta e crisi dello spirito Crisi di cassetta e crisi dello spirito pNonsolo IHIiiinhM dei forestieri, Me le attività del Nizzardo deperiscono: la città subisce i sintomi di un malessere che già si estende dal campo del suo equilibrio economico a quello del suo equilibrio eentimentale ■■ (Dal nostro IJO-vIsito)— NIZZA, marzo. Nemmeno i tripudi del Carnevale, con la loro puntualità burocratica, coi loro municipali fomenti all'industria della cartapesta e al commercio dm fiorì, sono riesciti quest'anno a strappare a Nizza una risata spontanea, uno di quegli scoppi di buonumore ingenuo e fecondo che rifanno il sangue e l'anima della gente. Il cielo, sulla città meravigliosa, sembra languire a dispetto del sole d'oro. I deputati sudano invano a battere in lungo e in largo il dipartimento per recare agli elettori il conforto della paróla ufficiale. 1 giornali umoristici si fanno acri. Parigi non provoca più l'entusiasmo di alcuno, ora che anche i funzionari della Repubblica sono passati all'opposizione. E il Governo ? Borghesi e popolani sulle due sponde del Paglione si cMedono ansiosi a che pensi il governo. E' duro, quando si è sempre trovato modo di cavarsi d'impiccio da sè, grazie ai forestieri, dover stringere conoscenza cól centralismo. La capitale, della cui lontananza negli anni della prosperità i nizzardi non si eramo mai dati per intesi, comincia, adesso che i bisogni li premono, a rivelarsi loro di accesso troppo difficile e di soccorso troppo relativo. Nel vuoto scavato dal marasma alberghiero, i più antichi problemi della vita economica locale risorgono, immutati, palesandola ormai vulnerabile, priva di vera autonomia, subordinata all'interesse e alla volontà altrui. Il porto, oggi ancora di poco più grande che non all'epoca sarda, attende sempre gli ampliamenti agognati dall'altro secolo. Sui sette miliardi e mezzo di franchi chiesti dal governo alle Camere per lavori pubblici di utilità nazionale, la somma destinata alla sua sistemazione non supera la dozzina di milioni, quando a Parigi di milioni se ne spendono due solo per potare i platani dei boulevards. E fosse almeno eerto che quella somma verrà! Ma come non dubitare anche di questo, quando tu vedi il dipartimento intero invocare da dieci anni l'installazione del telefono automatico interurbano, indispensabile all'attività quotidiana di una regione che da Mentane al Varo è pari a una sóla grande metropoli, e il governo, che pure lo ha già accordato ai comuni della Manica, lasciare senza risposta le lettere in cui l'on. Grinda formula per l'ennesima volta il modesto voto dei suoi elettori! Per uno strano concorso di circostanze, diresti che il passar degli anni lavori a rompere anziché a corroborare l'equilibrio economico di queste Provincie prossime alla frontiera italiana. 1 progressi dell'agricoltura algerina e tunisina si ripercuotono sempre più duramente sulla loro gestione rurale. Nel corso di tre o quattro lustri, l'ascensione dell'arachide ha inflitto un cólpo mortale al regno dell'ulivo, una delle poche ricchezze agricole del Nizzardo adusto e montuoso. Abbandonato dai pubblici poteri, impotente a difendersi da sè contro un rivale inferiore, sì, ma coltivato senza sforzo in terre dove la marno d'opera non costa pressoché nulla, condannato dal gusto timido di un paese che preferisce ormai la scialba castigatezza del surrogato al sapore intenso del prò dotto classico, l'albero di Minerva, simbolo augusto della civiltà mediterranea, è già sul punto di rinunziare alla lotta. Da Nizza a Tolone, die dite di migliaia di ulivi gonfi d'argento e di cicale cadono miseramente l'uno sull'altro, massacrati a colpi di scure, divelti a forza d'argani e di carvi d'acciajo dai seno di una terra che sembra opporsi disperata allo scempio. Fra poco, sentenziano gli umoristi, nell'intera Francia non rimarrà più altro ulivo se non quello levato in pugno, sui francobólli, da una Repubblica evidentemente in ritardo sull'attualità. ;- L'ulivo, la vigna, i fiori E, accanto alla tragedia deWuVuoo, ìl dramma della vigna. Contro l'invasione dei vini algerini e tunisini, più ricchi d'alcool e meno cari, son già anni che i viticultari delle terre a oriente e a occidente del Varo chiedono ajuto, nominando commissioni su commissioni per scuotere l'inerzia di Parigi. Ogni mese, oso dire, sotto gli auspici di un Comitato parlamentare nel quale figurano al completo i deputati dell'intero Mezzogiorno, centinaia di delegati dei comuni, delle cooperative vinicole e dei sindacati di vignaiuoli della costa votano ordini del giorno patetici: « ...Gettano ai poteri pubblici il grido d'allarme di una viticoltura secolare condannata a sparire per colpa della disastrosa concorrenza della produzione coloniale, che, immune dai pesi fiscali imposti a quella metropolitana, distrugge coi propri eccessi l'equilibrio di questo ramo dell'attività nazionale; richiamano l'attenzione del governo sui diritti di una viticoltura che non vuol morire; invitano i rappresentanti eletti delle regioni interessate — sindaci, consiglieri comunali e provinciali, deputati — a dimettersi in massa dalle cariche occupate, se i poteri pubblici continueranno a non porgere ascolto alle loro giuste rivendicazicmi »... Ma che può fare il governo in difesa di questa brava gente, quando Algeria e Tunisia già lo accusano di trattarle quali territori stranieri, di contingentare i loro vini come vini taliani o spagnoli, di tarpare a forza di tariffe inique lo slancio dei loro affari con la stessa Francia? Né questo è tutto. Dopo i vignaiuoli, ecco i floricultori delle Alpi Marittime reclamare, in nome di un'industria interessante nove mila ditte e più di cinquanta mila lavoratori e di una esportazione caduta in pochi anni dal sessanta per cento del prodotto a poco meno che nulla, una politica di protezione contro la concorrenza italiana e olandese. Dimmi tu se, con tante gatte da pelare, Parigi può trovar tempo di occuparsi anche dei fiori di Nizza! Memori ed emuli di Alfonso Karr, nume tutelare dei giardinieri della Costa Azzurra, i deputati della medesima hanno formato alla Camera un «gruppo floreale » per venire in aiuto del dipartimento creando, in attesa di meglio, un Palazzo dei Fiori nella capitale, quasi nella segreta speranza che né vivi né morti vorranno più mancare, laggiù, di rose, di violette, di giacinti, l'anima profumata di Nizza. Ma sono progetti che stentano a diventare realtà, e che del resto, ancorché attuati, non risolverebbero nulla. Per trarre d'impiccio la Riviera ci vuol 'altro che un bazar di fiori a Parigi! ì Una fierezza che dilegua Insomma, da quando i forestieri hanno preso a- scarseggiare nei loro alberghi, i nizzardi si urtano alla difficoltà di ristabilire il turbato equilibrio della loro vita economica facendo appello a un capitale produttivo che, con loro ingrata sorpresa, non rappresenta più nello Stato l'articolo unico e privilegiato di cinquanta anni fa. Si fece tanto strillare, nel 1854, allorché il Piemonte abolì «lporto franco per non inceppare la fortuna dell'acquistato porto di Genova! Quél sagrificio volontario degli interessi di Nizza apparve, e forse fu, una ingiustizia, oltre che un atto impolitico, destinato a permettere alla Francia di insegnare ai nizzardi che l'Italia, prima dì ogni intervento di Napoleone III, li aveva bell'e immolati al sacro egoismo della vicina metropoli ligure. Eppure coinè ebbe a riconoscere, a suo tempo, uno dei presidenti della stessa Camera di Commercio di Nizza, il Beri, dall'abolizione delle proprie franchigie marittime « Nizza noti fu rovinata né diventò per questo l'Arabia Petrea degli stati sardi ». Economicamente, la situazione della Contea rimase all'incirca quella di prima. In ogni caso, se Torino abolì il porto franco, Parigi lo ha forse ristabilitot L'Italia aveva Genova da sistemare, la Francia aveva Marsiglia da difendere. Pari e patta. Ma la parità cessa quando alla concorrenza, prevista e inevitabile, contro il porto di Nizza, la Francia aggiunge, sia pur senza volerlo, per una fatalità di cose peggiore di ogni mala intenzione, quella contro l'ulivo, contro la vigna, contro i fiori e perfino centro il sole di Nizza. Si può rassegnarsi, a rigore, a veder perire uno dei cespiti della propria ricchezza: ma come adattarsi senza proteste a sagrificarli tutti, l'uno dopo l'altro, agli interessi imperiali di uno stato vertiginosamente ingrandito, dove la regione, perduta ogni autorità propria e schiacciata dal peso delle nuove clientele della Repubblica, non giunge nemmeno più a far sentire la pro¬ pria voce r Nizza subisce così, silenziosamente, i primi sintomi di un malessere multiforme e confuso, del quale stenta forse tuttora, per lealismo o per timidezza, a pigliar coscienza, ma che già si estende dal campo del suo equilibrio economico a quello del suo equilibrio sentimentale. Senza voler esagerare — che sarebbe da sciocchi — la portata pratica e immediata di fatti tuttora crepuscolari e mal definiti, mi sembra che al suo baldanzoso ottimismo venga sottentrando il dubbio, o il rammarico, di avere ecceduto nel senso dell'adattamento e della facilità. Guardandosi intorno, i nizzardi si scoprono meno fieri di una volta della sontuosa capitale creata sulle rive modeste del Paglione. Non è tutto oro quello che brilla, e le fortune troppo rapide non vanno mai disgiunte da un certo sperpero di riserve morali. La città si è sviluppata alla superficie piuttosto che al fondo, e i tempi difficili che le vengono incontro dopo gli anni della sarabanda mondiale la trovano bizzarramente accessibile a esitazioni e nostalgie, quasi desiderosa _ di riattaccarsi alla propria storia, di ritrovare sè stessa dopo a lunga dispersione interiore. Un poeta e i bottegai Nulla dispone tanto i popoli agli esami di coscienza quanto ì periodi di disorientamento e di incertezza generali. Strappi insoliti e inesplicabili si producono nel denso tessuto di soddisfazione materiale disteso come un oppiaceo da mezzo secolo di benessere sulla sensibilità sussultante della generazione che ebbe due patrie. « Ah, la nostra bella Nizza! ». Quando le massaie della via Pastorelli o della via Gioffredo si accordano nel riconoscere che la loro bella Nizza < non è più quella », tu puoi sempre, beninteso, presumere che il loro rimpianto vada soprattutto al prezzo della bistecca. Ma a Aizza non sono soltanto le massaie ad avere du vague à l'àme, come dicono i francesi, e allorché la stessa constatazione accorata sfugge al labbro dei poeti convien pur concluderne che il rammarico abbia ragioni meno profane ed empiriche. Secondo l'uno di costoro, se il nizzardo bennato soffre oggi di questi ascuri ripiegamenti dell'anima, di queste indefinibili ìiausee sentimentali, è propria/mente perchè Aizza, rompendola cól proprio passato, ha cessato d'essere sè medesima. I francesi esaltino pure i progressi strepitosi della capitale del turismo: i figli di Babazuc, per poco che non siano del tutto immemori, crollano il capo e sospirano, nel loro linguaggio armonioso die per noi italiani non ha bisogno d'interpreti : Eres gentile, eres bella De la tiu beuta natureUa, Sensa pudira, sensa canmin Nun curies paa lu camln: Eres sinopia, eres maestà, Nun avle3 pas cn la testa Lu plesl, lu bai... e lu resta! Versi di un poeta di cinquant'anni fa? No: versi di E. Regie, poeta vivente. Versi del 1928, degli anni in cui gli affari andavano a gonfie véle, versi della prosperità. Giacché a petto delle loro nostalgie delicate, i malanni economici sembrano lasciare indifferenti i poeti nizzardi. In uno scatto di rivolta contro l'eterno panciafichismo dei bottegai, un altro Regis, Giovannni, — a Nizza gli intellettuali sono tutti un po' parenti fra loro — esclama sdegnoso: La vida sensa poesia, Sensa amur, sensa fantesia E che n'ha che rargen per but Es vtueia cuma la butiha Che gites our'avès beugut! Bella lezione, per certi nizzardi. Esistono dunque anche nella superba città del Negresco e del Ruhl, quella che dice ai }orestieri:\ « Quando non si hanno quattrini da spendere non si viene a Nizza! », dei mattacchioni capaci di volgere con rimpianto il pensiero alla « paisà- !J^L*"^5L*if^-^?^*?. centesca senza pretese ne arie, ancora tutta fragrante di garbo e di bonarietà piemontesi? Convien dire che ne esistano, se l'uno di loro, lodando su una rivista di storia patria le belle Cansun Nicardi di Eugenio Emanuel, principe dei poeti locali, vissuto dall'Annessione in poi e morto in Italia come tanti altri inconciliabili e fra questi la Saffo della Contea, Agata Sofia Sassernò, sente bisogno di dirne, con un gemito di cordoglio mal represso : « C'est tout notre pays qui ressuscite, notre pays si beau, autrefois, aujourd'hui défiguré, enlaidi, sali, envahi, où l'on parie tous les idiomes, sauf le nòtre »... Altro che la bistecca delle massaie! Nelle nostalgie dei nizzardi, nostalgie di cui solo, per ora, può rendersi conto chi sappia curvarsi con intelletto d'amore sull'anima smagata, svagata, ritrosa di un popolo educato da lunghi decennii a sorvolare prudentemente sui propri pensieri più intimi, il fattore dominante non è, ad onta di tutto, la crisi della cassetta : è una crisi dello spirito. Il malessere di Nizza non è tanto scontentezza di albergatori, di bottegai, di agricoltori i cui affari lasciano a desiderare, quanto confusione, turbamento, solitudine mo.rale di borghesi e di cittadini. Le difficoltà materiali sono il mero pretesto clinico al dichiararsi di un latente- stato febbrile che in realtà non ha nulla di materiale e le cui origini dovrebbero andar cercate mólto più sotto del portafogli, e anche della camicia. Il malessere di Nizza non sarebbe, per avventura, quello di una città formata da secoli di severità piemontese e sbalestrata dai suoi destini in una esistenza che l'iìidole più frìvola e più corriva della nazione francese, l'inevitabile disordine sociale e psicologico accompagnante l'esistenza dei grandi centri internazionali, le inclinazioni insegnate e alimentate dalla necessità di industrializzare questo disordine hanno finora solo a prezzo di dolorose mutilazioni permesso di conciliare col temperamento nativo? CONCETTO PETTINATO. Affreschi del '300 scoperti a Perugia Perugia, 30 notte. In questi giorni, In seguito anche a studi effettuati dalla Sovrintendenza ai monumenti per l'Umbria, sono stati scoperti nella chiesa di S. Domunico pregevolissimi affreschi che risalgono al 1365 e al 1370, e che si ritengono di scuola giottesca e toscana. Tale scoperta è di notevole importanza e viene ad arricchire il patrimonio artistico della nostra città. La chiesa di S. Domenico, costruita dal Pisani nel 1300, completamente priva di ogni interesse se si toglie la grandiosità dell'architettura, l'originalità del campanile e il meraviglioso finestrone dal vetri dipinti in modo impareggiabile, viene cosi oggi ad acquistare un notevolissimo valore. Scoperte archeologiche a Taranto Taranto, 30 notte. E' stata rinvenuta in una camera sepolcrale, che si ritiene risalga al terzo secolo a. C, una cripta con tre letti funerari ed altrettanti relativi scheletri coperti di ricche collane ed orecchini di preziosa fattura, ed altri ornamenti d'oro. Questa preziosa scoperta archeologica, fatta durante gli scavi di fognatura di via Gorizia, ha dato modo di far rinvenire ancora numerosi vasi di nlabastro e di terracotta, un tavolo rotondo di marmo ed altri oggetti di bronzo, Il tutto ritenuto di prezioso valoro artistico ed archeologico. Della scoperta è stata Informata la R. Sovraintendehzà dei Monumenti e Scavi che ha preso In consegna ogni cosa. Prezrasi oggetti su due treni speciali portati al sicuro a Sciangai Parigi, 30 notte. Un telegramma da Pechino annunzia che una terza spedizione di quattro mila casse contenenti tesori artistici del palazzo imperiale è stata effettuata stamane con due treni speciali e diretta a Sciangai. Tra gli oggetti spediti si ÌS^^^^vSS^SX palazzo d'estate ».