L'Eremita di Tahiti

L'Eremita di Tahiti L'Eremita di Tahiti Tra gl'innumerevoli casi citati da Lucien Lévy-Bruhl a sostegno della sua costruzione della « mentalità primitiva », ce n'è uno particolarmente bello ed umano. Quello dell'eremita di Tahiti. Un europeo si trova a passare la notte nella grotta di un vecchio tahitiano che vive da eremita sulla montagna. Siccome ha freddo, l'ospite gli dà, per coprirsi un mantello, già lungamente portato da un altro indigeno, che se n'e spogliato per offrirlo in segno d'amicizia. Dopo un po' il vecchio pronunzia il nome del donatore: a sentirlo, il bianco soprassalta, getta via l'indumento, e si precipita a disinfettarsi come può : si tratta di un lebbroso marcio. « Come avete osato offrirmi un simile arnese? e come, voi stesso, avete il coraggio d'indossarlo sulla pelie nuda ? ». Il vecchio rispose benignamente: «Perchè v'inmiietate così? Nel darvi il mantello, ho voluto farvi un piacere, mica attaccarvi la malattia del suo proprietario. ]] poveretto m'ha regalato il mantello, ma la malattia se i'è tenuta lui. Quando ancora poteva camminare, egli usava venir qui ogni tanto a passare qualche giorno con me; io l'accoglievo benignamente, ed egli poteva andarsene col sentimento di aver trovato qualcuno che non aveva ribrezzo di lui. Nel donarmi il mantello, m'aveva detto di farlo bollire prima di metterlo addosso, ma, sapendo che il giovane era animato da buoni e affettuosi sentimenti verso di me, ho stimato proprio inutile prender questa pre cauzione. Del resto, ho portato anche altri indumenti lasciatimi dall'amico, e non m'è mai successo nulla. Certo se fossi stato crudele con lui, o gli avessi rubato qualcosa, egli avrebbe potuto, e forse voluto, attac carmi la lebbra. Non so se lo crede rete, ma io v'assicuro che la sola via per cui queste malattie si contagiano e la volontà del malato, il suo rancore per chi lo maltratta : le vostre disinfezioni per me sono prove che non capite i principii del contagio. Vedete per esempio Faatiraha, che era lebbroso : è rimasto venticinque anni con la moglie e i figli e, quando è morto, nessuno era contaminato : infatti era stato amato e curato dalla /.'miglia e non aveva alcuna ragione di risentimento. Mentre invece, la famiglia di Tafai, son tutti lebh "osi : perchè quando Tafai s'amxn;> ò. per la paura l'abbandonarono, sicc'v lui ebbe ragione d'essere irritato, e riuscì a contagiare i suoi per quanto si tenessero lontani. Il giovane del mantello è venuto qui decine e decine di volte, dormendo nel posto dove ora state voi, eppure io non ho preso il male; e nemmeno voi lo prenderete ». Di fatti poco spiegabili ce ne sono a dozzine, nel materiale documentario sulla vita dei primitivi e, badando alla stranezza, se ne potrebbero citare di più impressionanti di questo, e molto meno dolcemente umani : da certe pratiche di stregoneria, alle malattie mortali causate dalla semplice infrazione di un « tabù ». Quello che interessa qui, non è l'apparenza prodigiosa, quest'antisepsi mediante la carità umana: ben più prodigiosa inspiegabile e sintomatica è la convinzione che anima il fatto, e porta l'eremita ad agire senza curare in alcun modo, anzi ignorandole con la massima semplicità, quelle che per la mentalità scientifica sono le cause oggettive di un fenomeno. Per lui il fatto normale e naturale, confermato, notate bene, dall'esperienza, è che la lebbra si contagia attraverso i sentimenti : l'infezion3 microbica gli pare molto più assurda che improbabile, e anzi, positivista alla rovescia, sarebbe il vero « miracolo ». Giacché è evidente che il tahitiano, nella sua mente, disincarna, per così dire, la lebbra, facendone un'entità del tutto immateriale, quindi tale da non poter avere altre cause nè subire altre influenze che immateriali, come appunto le « disposizioni » dell'animo ; e allora non c'è niente di strano che quelle che per noi sono le cause positive siano prive di qualunque efficacia ai suoi occhi. Ed è" qui, nell'uomo e nella sua mente, il prodigio, se prodigiosa si può chiamare una così intima e spontanea naturalezza. Le opere di Lévy-Bruhl sulla mentalità primitiva mirano appunto a stabilire, attraverso una straordinaria documentazione, degna d'ispirare un nuovo Montaigne, che la vita di quello che si usava chiamare il selvaggio è tutta organizzata su leggi che, se si dovesse rigorosamente fermarsi a ciò che è ragionevole e certo secondo i nostri schemi mentali, alla logica utile per il nostro particolare sistema di vita, si dovrebbero definire o prodigiose o assurde : qualifiche che hanno la comoda funzione di eliminare tutto ciò che non trova il posto pronto nelle nostre caselle, e non pensarci più. Se si trattasse di pretese teoriche, avremmo magari il diritto di farlo ; ma siamo di fronte a quel che v'è di più naturale e inconfutabile, a rapporti semplicemente vissuti. 11 barbaro non conosce la natura — dice Lévy-Bruhl — ma la vive: il che vuol dire che la sua mentalità fa tutt'uno con la sua azione e con quella del gruppo, da cui egli come individuo non sa distinguersi. Ma, e questo sembra l'essenziale, la sua azione non ha una ragione particolare di essere quella che è, è una direzione qualunque, senz'altro motivo che la pura spontaneità. Gli uccelli possono far cessare l'inondazione, l'uomo ferito in battaglia non muore della ferita, ma di un sortilegio, l'arrivo del missionario fa sparire la selvaggina : quale la ragione di queste e di migliaia d'altre credenze? Tutto può avvenire per tutte le possibili cause, e tra di esse l'arbitrio emotivo del selvaggio sceglie quelle di cui sarà schiavo. Lo spirito del primitivo si può rappresentare come in preda ad una smisurata e sacra emozione, coinvolto nella na- tura come in un enorme avvenimen-jto che non si pensa nemmeno a valu-jlare: di fronte alla sproporzionatajnecessità di trovare una direzione nei caos, l'occasionale e il fortuito, l'asioHC per l'astone, saranno 1 cri- teri decisivi dell'ordine c dei nippor-j ti fra le cose. La scelta non è fatta11dall'individuo, ma dal momento e dar caso, e l'abitudine passiva, l'inerte proseguimento del primo moto, la consolidano in legge. Si diceva una volta che il mondo del primitivo è retto dall'obbedienza agl'istinti e che gl'istinti insegnano all'uomo una via certa, chiara e na- turale: si voleva dire che il barbaro si tiene al sodo del suo utile e piacere, alla pratica, e così non sbaglia mai, come invece noialtri civili, che complichiamo la vita, e finiamo per perder la bussola. I poeti e i filosofi parlarono di ritorno alla natura, prima, e poi di ritorno alla solida realtà degl'istinti. Ora, le indagini di LévyBruhl ci apprendono che se c'è strumento di cui il primitivo sia sprovvisto è proprio la bussola (del resto non solo in senso figurato, ma anche materiale : giacché non gl'importano i punti cardinali, ma le qualità inerenti alle regioni dello spazio, gl'influssi che pensa ne vengano alla sua vita). La famosa bussola degli istinti primordiali non esiste, ed anzi, come per esempio il Dostojevskij della Voce sotterranea vedeva, l'uomo è per natura un essere senza bussola, una forza capace di tutto, anche della propria distruzione. Il che non è scetticismo, ma tanto più pregio aggiunto alle forme morali e intellettuali che l'uomo riesce a trarre dal- II([' l'incerto. Il primitivo naturalmente] obbedisce ai cosidetti istinti naturali, j ma il fatto è che questi non determi-1 nano affatto l'ordine del suo mondo, anzi vi sono soggetti, né ricevono li miti e modalità, dissolti anch'essi nel l'atmosfera d'influenze mistiche e di j magie cne avvolge tutta la sua vita, 1XI che ha una certa importanza, se si r pensa che tutte le forme di positivi-! smo, e di materialismo derivano da |una simile premessa. E non solo po sitivismo e materialismo in tutti 1 loro aspetti d'idolatria del fatto economico, della tecnica, del successo ecc. sono messi gravemente in que- stio*ne daIla scopcrla della mentalità che affidandoas., s. ha la ita, 1 unico ordine certo, _c primitiva; ma anche le molte forme poetiche o intellettuali «li richiamo alla Natura con la maiuscola, come a qualcosa vera veri I insomma il divino, o quel « grimal Ideilo per tutte le porte» di cui Tuo imo non si stancherà mai d'andare in cerca. Dopo tanto romanticismo del[la. natura, ora madre ora matrigna, dopo i recentissimi primitivismi, le (scienze fisiche e morali ci mostrano [una natura ne madre né matrigna, 'quanto mai indifferente all'uomo, ipiuttosto problematica, per non dire ! insensata e molto poco probabile domicilio del Dio della certezza. Le sue porte poi forse si aprono a qualche parola magica, ma di sicuro a nessun grimaldello. Se un'indicazione possiamo avere dal caso dell'eremita di Tahiti è nel senso che il mistero naturale si chiarisce soltanto per le spontanee certezze umane, sinceramente vissute. NICOLA CHIAROMONTE. Dar della testa nel muro Si possono combatterò 1b religioni o la religione, combattere! cioè la tendenza mistica dello spirito umano, allo scopo di avviarlo verso ima concezione tutta concreta della vita ; ma combattere « una » religione è ini- presa da pazzi, è come dar della te sta nel muro; che il corpo etico e me tafisico di una religione è assoluta mente inattaccabile ; figurarsi poi quando si tratta della religione cattolica, della Chiesa di Roma, sempre in progresso di conquista, fondata su verità indiscutibili, organizzata con illuminata sapienza, fertile potente c serena. Soltanto nelle zucche massoniche della Jugoslavia poteva matu■ rarsi un progetto di tal fatta, e sol ^ potevano partorire L0VR comandarne ano partorire quei 'nove comandamenti nei quali è contenuto il programma di guerra contro la Cattedra di San Pietro. Il primo di quei comandamenti impone che con la Santa Sede non si devono pattuire concordati; ora, per concludere un concordato, bisogna essere almeno in due e, che noi si sappia, la Santa Sede non ha mai pensato ad accordarsi coi massoni iugoslavi. Il secondo dice che la chiesa cattolica jugoslava deve separarsi da Roma, uno scisma, insomma, e costituirsi in chiesa nazionale ; chiesa politica, vuol dire, legata a quei tini che tutti conosciamo. Qui sentiamo odore di eresia, e qualcuno di quei focherelli che si accendevano qualche secolo fa sulle pubbliche piazze troverebbe il suo proficuo impiego. Al terzo si legge che i beni della chiesa debbono essere confiscati nell'inte¬ resse sociale ; questo interesse sociale consisterebbe tutto, naturalmente, nel pagamento dello forniture di armi. Nel quarto si consiglia di punire come reato la raccolta dell'Obolo di San Pietro : il che ci sembra strano perchè quella gente che ha sempre vissuto e vive di oboli, dovrebbe per l'obolo avere grande rispetto, specialmente quando viene raccolto per un santo fine. 11 quinto, poi, vuole che il celibato dei sacerdoti sia abolito nell'interesse della pubblica morale; come se a tutelare la pubblica morale non bastasse l'opera dei sacerdoti stessi e la vigilanza delle superiori gerarchie. Nel sesto si vogliono vietare le tasse por lo dispense ; perchè quando si tratta di danaro tutto deve confluire alle !Logge. Col settimo si vuole introdurre il matrimonio civile obbligatorio; come se il matrimonio, come fatto sociale, non sia sempre un istituto civile e come tale da esser riconosciuto, ove lo voglia, dallo Stato. Nell'ottavo è detto che tutte le religioni cristiane debbono unirsi in una sola; il che ci sembra un po' avventato se si conosce la dolorosa storia delle scissioni e delle riforme. E infine nel nono si consiglia di abolire nei libri religiosi tutte lo frasi ostili ad altre confessioni; Buddha e Allah sotto braccio per la concordia religiosa in Jugoslavia. Ma Buddha, lo possiamo giurare, non scioglierà le sue mani intrecciate sull'opulenta pancia, per far piacere ai Jugoslavi, ed Allah è troppo occupato in questo momento alla ricostruzione della Turchia, e non risponderà al buffo invito di Belgrado, anche perchè gli han di recente cambiato il nome. eh.

Persone citate: Bruhl, Lucien Lévy-bruhl

Luoghi citati: Belgrado, Jugoslavia, Roma, Turchia