I giganti ed i pigmei

I giganti ed i pigmei I giganti ed i pigmei ■r L'arbitro non arresti) il conibattimento temendo di contrariare la folla, che non e'era accorta ca- fere giunto lo rtchaai in limite delle Bile forze « la ' folla, che seguitò a* rumoreggiare anche quando il tedesco fu caduto, immaginando una «combine.?. (Dai giornali). E adesso, Ernie Schaaf, va pure soddisfatto al tuo riposo, che non durerà più un minuto ma un'eternità, nel tuo angolo di paradiso. E presumibile sia una pace ancora più grande, sotterra e su nel cielo, per chi muore da prode. Va, povero Ernie Schaaf, che prode fosti veramente, al tuo riposo definitivo. I rounds sono finiti. Nessuno più conta nè i minuti nè i secondi. Non più pugni e non oiù strepito. L'avversario di ieri ti manda i suoi fiori e il suo dolore. Anche la folla ti rimpiange. Ieri ti voleva morto. Gridò, protestò sino a che le parve che tu non fossi percosso abbastanza, e ca_ (luto a buon diritto. Ora che sa, nè può dubitarne, che fu fosti colpito seriamente, e che non solo cadesti da vero, ma per non rialzarti mai più, essa s'inchina al tuo cippo non meno di colui che avesti, calamitoso ma leale, di fronte. Tu sai, Schaaf — e lo sai perchè ora, non più groggy, sei nell'eterna sapienza — che fra tutte queste lagrime sparse sulla tua fossa le più sincere, le più commosse, le più degne, sono ancora quelle dell'uomo che ti colpì. Va, Ernie Schaaf, al tuo riposo t al tuo premio definitivo. L'Arbitro che ora t'accoglie, e che ha arrestato il combattimento in vece dell'altro arbitro che non si decise, temendo di spiacere a qualcuno del pubblico, sa il tuo coraggio e la tua fede. Certo egli ti destina la beatitudine serbata a tutti i valorosi, a tutti gli atleti che caddero soffrendo. Ecco, gli angeli ti degano i guantoni di quattro oncie, dal bendaggio che si volle durissimo ; e tu metti in croce sul petto le tue mani piagate; e continua a te intorno, assai più vasto e più dolce, quel concerto che si dice ascoltino tutti i pugili « addormentati » allora che crollarono per il conto totale. « Uno, due, tre, quattro... ». No. Ecco. Gli angeli contano fino a un milione ; ma non ci sono più giudici nè gong; e non c'è pubblico intorno che urla e che ghigna : e tu continui a sognare. Va, Ernie Schaaf ; va, grande fanciullo d'occhi celesti, che prima di partire per l'ultimo combattimento raccomandasti alla mamma la cura d'un lucherino. Conosco il cimitero del Bronx dove ormai ti avranno portato. Ci sono faggi e cipressi. Dai boschetti dell'Hudson faranno presto a giungervi, col Marzo, altri lucherini cantanti, fratelli di quel tuo che custodivi. Il tuo buon cuore tedesco tornerà ad intenerirsi : e uccelli a frotte voleranno sulle rose di cui Primo Camera volle fasciato il tumulo, dopo aver coperto la bara. Puoi sorridere a questi fiori come a quei canti. Il nemico fu leale. La morte ha folgorato il suo petto insieme al tuo. 11 tuo avversario piange oggi insieme a tua madre : e sono essi soli, forse, ad averne il mesto diritto. Primo Camera non ha voluto seguire il tuo carro funebre. Era troppo commosso : e temeva che si vedesse. Anche questo pudore deve piacerti, Ernie. E' delicato ed è fiero. La folta non aveva voluto che egli mostrasse pietà sul ring verso di te. Emise grida dileggiose, invece, quando le^parve che tu tìngessi il patimen- to e'il tuo avversario la crudeltà. iugllNnmdcbnnsggildsldtSoucpugmsclqcrnt1plddccPerchè c'è sempre, tra la canaglia e non soltanto tra quella che popola le palestre, chi dubita della forza nostra, per tremenda che sia ; c chi dubita del nostro dolore, per male che ci faccia. A questa_ folla che gli comandò d'essere disumano, Primo Camera non ha voluto mostrare la propria umanità: e ha fatto benissimo. Per il rivale atterrato in pubblico egli piangerà solo in segreto: e sarà verso il nemico di ieri, fratello di sempre, l'atto migliore di comunione. Gli altri — coloro che volevano Schaaf morto : e l'ebbero, finalmente — sono esclusi da. questo rito. Niente hanno a fare gli altri, i gnomi, mentre i colossi lottatori si riconciliano. Eppure, Ernie, Primo avrebbe dovuto essere il solo a seguire il tuo fe retro. Ciò sarebbe stato belle, come,in un canto antico. Era costume fra | i guerrieri di Ossian che il soccombente in tenzone fraterna fosse sepol- ji te, ed onorato, dal suo uccisore stesso, | che prima d'inumarne la salma do veva innalzarla tre volte sul suo prò prio scudo. Anziché su un usbergo di ferro, ti leva il tuo emulo su un ì cuscino di rose : ma il suo animo è lo ] stesso, la sua dignità è la stessa, uguale la purità del suo compianto, i Sì : questa marcia funebre è bella co-1 me in un'eutanasia della leggenda, i Penso ai funerali omerici, ai nibelun- igici. Sento il vento stormire tra le tronde, mentre passa la bara del-ll'atleta, come nell'orchestrale wa _ jIsgneriano del Gotterddmmerung. Già fremono i faggi e cantano gli uccelli presagio di primavera, là nel camposantino del Bronx. Il gigante super- stite segue il gigante caduto. Gli im-ipavidi s'onorano, cosi, nella vita e :nella morte. La folla — dico, la fol-iHi strepitante dei pigmei — non ha ja che fare nel corteo. pQuesta folla era intorno al ring di Madison Square: debole ma curiosa jdi forza, vile ma assetata di corag- !gio. Conosco questa gente. E' la mi-1noranza intrusa, però rumorosa e di- ispotica, d'ogni raduno agonistico. La 'conosco. L'ho guardata cento volte in faccia con tutto il mio disprezzo. E' la piccola gente che frequenta gli atleti per acclamarli, in apparenza: ma, in fondo al cuore, per dubitarne e vendicarsene, per deriderli ed avvilirli. tSono i nani affascinati dalle jalte stature: a cui mandano sorrisi e saluti, sbucando da sotto i funghi, con goffa umiltà, ma a cui in segre- jta fanno le fiche. Sono gli immondi é i che frequentano i serragli, per dire in" mgnue e a , l , u _ è o a , o o i e a e t o o o i a o a e i , ; e l i e , i a e e e. i o a o a i e o i. 1 a d ee o. i e. - à. iCa "pericolosa" Leggo "che fral conve sottovoce al vicino che ai leoni fu data la morfina; le sale di boxe, per dire d'ogni incontro non somigliante a un assassinio che è una « torta », f una commedia, una combina. Poi, il|vgiorno dopo, il domatore finisce nel- jdle fauci d'una belva; il pugile prende) sla via dell'ospedale e del cimitero, i tNon importa. I pigmei non disarma- ino anche se le vittime, fra i colossi, si ! moltiplicano. Essi hanno bisogno di.mdiffamare il forte, perchè hanno ne-j icessità d'odiarlo. Dubitano della sua : lbravura e del suo ardimento, perchè)snon possono credere nè alla bravurajtnè all'ardimento. Se ci credessero, j lsarebbero troppo avviliti per sè, corpi grami ed anime tremanti. Non bisogna credere al gnomo che ballonzola intorno al gigante. E' Tersitc nell'ombra d'Achille; è Loge sui passi del figlio della foresta. Ci sta per sospettarlo, per raggirarlo, per deriderlo, per fargli male. Non bisogna credere ai gnomi che battono le mani, in-1 tomo al quadrato di luce dove Ernie j Schaaf e Primo Camera si battono, onestamente spietati, per un onore ed un dovere. Essi sono lontani da tutto ciò. Essi ignorano questo alfabeto di prodi. Essi frequentano, in pubblico, una riunione di boxe, così come sfogherebbero, in casa propria, un volume di foucttage. Sono, come tutti i sadici, degli impotenti. Malvagi, perchè inani, la loro ferocia diventa la loro rivincita. E vogliono i guanti di quattro oncie, il bendaggio duro, i combattimenti di venti rounds. Vorrebbero, se ancora potessero, i pugni nudi, la lotta illimitata, Yout obbliga; torio, la nessuna esclusione di colpi. 11 loro intimo anelito, non è di competizione ma di strage. Nel più nobile fra gli sports spiano l'eventualità della più ignobile fra le risse. Non si destano che alla prima ferita. Allora, come le jene, veduto il sangue cominciano a gridare. Sono, costoro, ì soli che sempre si vedano schiamazzare a convegni del genere. Essi, e le donne. A gran voce, apostrofano gli atleti : sottovoce, al vicino, fanno sapere che è tutta una commedia ! Eh, eh : chi ci crede? Ai leoni s'inietta la morfina; i pugili, è noto, si mettono d'accordo tra di loro. Urlano, allora i nanerottoli. Un po' urlano un po' ghignano. Non si può immaginare, veramente, orgia più efferato di questo festino di furbi. Chi ci crede? Chi ci può credere? E intanto sul volto dei colossi, i gnometti eccitati spiano i colpi, i pallori, gli strazii. gli schianti. Non è vero. Non può essere vero. Non è presumibile che degli esseri umani rischino tanto, soffrano così. Torta ! Combine! E allora, magari, c'è un arbitro che sente in pericolo uno dei lottatori ; che lo vede mancare, morire : e però non ardisce interrompere il sacrificio, perchè quell'urlante piccola gente non è ancora certa che esso sia compiuto. E avanti, allora, sino al macello e al delitto. Torta! Torta! Combine! Combine! E il combattente leale è allora costretto a infierire sul mento e sul cranio dell'altro combattente che, con pari lealtà, non vuol cedere sin che un respiro gli resti. E un morto c'è, finalmente; e i gnomi si placano; e se Dio vuole, Ernie Schaaf, non ti chiamano più intorno che gli uccellini del Bronx. là dove finalmente si riposa. Va, mio buon fanciullo tedesco che hai voluto tener fede al vecchio patto agonistico di vincere o morire. Forse la plebe di Madison Square non doveva prenderlo, come te, così in parola quell'impegno retorico. La morte non è strettamente necessaria alla celebrazione del pugilato, più che z«lunanon sia di qualunque "altra"ginnasti- \a a e o a e o ueo i si nuti di Madison Square alcuno segui_ tò a ghignare, anche quando tu fosti caduto per non rialzarti più. Crede vano, ancora, alla simulazione. E Far? !bitro stesso, forse, contò i secondilcon dispetto. Quando i secondi arri- !varono a dieci, e tu rimanesti là con '.le tue braccia in croce, ancora si le- varono voci d'ironia. E quando il me- dico, ebbe a dichiararti in pericolo di ;vita, ancora ci fu chi disse e scrisse I— perchè ci sono anche i pigmei chelscrivono — che tu eri d'accordo colimedico, per dare loro qualche i\\u-'.sione; come forse, adesso che sei spi-jrato, pensano che tu sia d'accordo con Dio, per dare loro qualche ri morso. Avevi il cranio spaccato, e non credevano; l'anima demente, e non credevano. Vaneggiavi chiamando una mamma e un lucherino, e non e,crede „„„ credevano, non ere- a | H„„nnri „„inot, A<Jm ;^roA„ - devano. Razza malnata degli incredu- jli, schifosissimo seme dei furbi: che i tu sia maledetto in eterno, anche foso, | se verQ che taIvoIta su questa terra o n ì o ] uo, i o-1 a, i credevano , pigme. non credevano. n- iMa I0[.se- 'j1 W?* ,oro 'ncredtd.ta e «3 '"Volontaria reverenza. Perl-lche torse ,n vo1'tant0 P1U a,tI * sta" a _ jdei pugili si mettano d'accordo fra di 'oro, o che alle belve dei serragli si Iinietti la morfina! Combattevi, povero fanciullo, avendo perduto la coscienza; già morto combattevi, restando ritto, come quei paladini di cui parlano le favole : e gli astuti non à li or- tura; in voi, segretamente, essi supponevano un'immortalità. Ora ti dico se mi ascolti, o Ernie Schaaf, che Primo Camera c il solo, dopo tua madre, che abbia diritto di m-i portare una rosa al tuo sepolcro. Re e : stino i gnomi nelle loro caverne, e l-inon fingano lagrime tardive: essi, a j abituati a stillare il riso della loro perfidia contro ogni gigantesche pas- di si; Ma il dolore di Camera è da erea jdere. Perchè è d'un forte. Perchè è g- ! d'un buono. Perchè egli stesso è rii-1 masto percosso dal pugno che ti ha i- i finito. La folla che voleva la strage, a ' ~ e o. li a: e ve l'arbitro che non ha fermato il combattimento in obbedienza a quella folla, hanno fatto due vittime : te, e il tuo avversario medesimo. Non tolleravano i nani d'aver di fronte due colossi. La potenza pugilistica di Primo Camera non soe j pravviverà forse al ricordo, alla pe e ma dej malo evento; mentre gli soi, | pravviverà la protervia dei suoi tane- j ti nemici — che a Camera non sandi é no perdonare mai, nè quando perde ne quando vince, né quando rispar-: mia nè quando annienta —■ per far- i gli impossibile la vita, più di quanto; non abbiano-saputo finora. Ancora! una volta. Ernie Schaaf, il tuo av f |versano è con te. nell'eguaglianza! jdolorosa della sorte, dopo d'esserlo! ) stato in quella'emergente della sta-; tura. E forse, dei due, il più fortu-. inato ancora sei tu. che la catastrofe ! ha fermato in un momento di dram-I .matica grandezza; tu, la cui statua! j in bronzo già pareva mirabile, al-j : l'ingresso di Madison Square, nelle j )sue strutture perfette, ed ora parrà; jtanto piti espressiva e più bella per; j la tragedia che la riconsacra, innal 1 j zandola alle proporzioni di quel « gladiatore morente » che in terra i latina si conserva. Ti salutiamo, Ef~! uie. Prima che i lucherini tornino aii neri faggi dell'Hudson, e tu non ascolti che loro, ti salutiamo, grande j fanciullo d'occhi turchini, caduto per la gloria terribile di un primato, per la gioia gigantésca di un dovere : gloria ed allegrezza che i gnomi mai non capiranno; ma per cui, dietro la tua giovine salma, per quanto il mondo è sensibile e grande, oggi hanno echeggiate le squille, tutte le squille,! dei funerali di Sigfrido. MARCO RAMPERTl. Per aderire al desiderio di molti nostri abbonati, i quali non ricevono il giornale del lunedì, e di molti nostri lettori che ce ne hanno fatta richiesta, la pagina cinematografica de La Stampa dalla prossima settimana sarà pubblicata il l I Martedì

Luoghi citati: Madison, Madison Square