George Moore

George Moore George Moore Nello spazio di pochi giorni le lettere inglesi lian sofferto tre gravi perdite: il 21 gennaio George Moore, il 28 George Saintsbury, il 31 John Galsworthy. Se la tarda età dei primi due (il Moore aveva ottantun anno, e il Saintsbury ottantasette) può attenuare alquanto il cordoglio, l'imprevedibile morte a soli sessantasei anni del popolare Galsworthy, poco dopo l'apoteosi del Premio Nobel, ha destato profonda impressione. Una congiuntura di questo genere rende assai poco invidiabile la sorte del cronista di letteratura inglese. Vedi il meschino, in margine alla pompa dei funerali, scartabellare dizionari biografici, digerire necrologi e memorie, e perfino dare un'occhiata alle opere dei grandi scomparsi. Mentre si perdono gli ultimi echi di una marcia funebre, il tapinello, anziché una prece, mormora : « Ma insomma, il Moore è nato nel 1852 o nel 1853?». Mentre gli amici dell'estinto, fortunati, non han che da allentare i cordoni della memoria per riempire colonne e colonne di ricordi personali e di aneddoti, lui, che non ha avuto la fortuna di conoscerlo, dovrebbe studiarselo come fosse una materia d'esame. Io candidamente confesso di non aver la pazienza di farmi una cultura d'occasione: se ieri non ricercavo i romanzi di Galsworthy, non li leggerò davvero oggi. Poco conosco di lui, e quel poco mi basta. Pur compiangendolo, il mio Galsworthy sarà satis larmcs. Del resto, tutti lo conoscete, tutti avete nella biblioteca almeno un volume della Forsyte Saga; perciò mi dispenso dal farci su un articolo, e, insieme coll'illustre critico accademico Saintsbury, lo destino a più sommaria commemorazione. Ma George Moore m'ha interessato di più, e George Moore è proprio l'autore che il pubblico italiano conoscerà meno. I suoi libri, fino a poco tempo fa, erano per la più parte accessibili solo in edizioni di lusso, a due ghinee, curiosa conseguenza di una riputazione di licenziosità creatagli dalle sue prime opere. Moore, come Max Beerbohm, è uno degli scampati dal naufragio del decadentismo della fine del secolo scorso. E' una di quelle figure che gli storici della letteratura, non sapendo come classificarle, definiscono « di transizione ». Meglio si definisce dicendo che è un irlandese pariginizzato. Creatura tanto ondeggiante e diversa, da essere incerta sulla sua .vocazione, sui suoi motivi, sulla lingua stessa da adoperare per esprimersi adeguatamente. Va a Parigi a studiare pittura, appena maggiorenne, e dedica il suo tempo, anziché all'arte, al culto delle magnetiche personalità : Manet, Zola, Mendès, Goncourt, eccetera. Li nomino a sfascio, come dovevano presentarsi alla fantasia del giovine irlandese timido, entusiasta, e animato dalle migliori intenzioni di perversità, quei grandi francesi del tardo Ottocento, gente un po' sinistra, ma piena d'idee e satura d'arte fino alla punta dei capelli. Mallarmé lo presenta a Manet, Manet lo persuade a mascherarsi da operaio e a prender parte al Bai de l'Assommoir, a Montmartre, dove incontra Turghenief; un altro giorno visita Verlaine nel suo fetido stambugio; un altro, incontra Zola nello studio di Manet, e per mezzo di Zola conosce Edmond de Goncourt. Su quest'ultimo nome occorre fermarsi, che il delicato fascino di 'Madame Gervaisais si ritrova in molte e molte pagine dell'irlandese. Ma questo è il Aloore migliore; il peggiore è una caricatura del Baudelaire più caduco. Nel 1877 pubblica una raccolta di versi dal titolo che la dice assai lunga : Flowers of Passion. Più lunga ancora la dice la co. pertina di tela nera, adorna d'un teschio e d'una lira spezzata. Immaginare la gioia dell'autore al vedersi salutato da un ingenuo critico puritano col nome di a bestiai Bara (bardo bestiale) e condannato, nella fantasia di quel moralista da strapazzo, alla pubblica fustigazione e a vedere H libro bruciato dal boia. Dopo tanto incoraggiamento, non saremo sorpresi che nel 1881 il Moore si cimentasse addirittura a scrivere nella lingua di Baudelaire {Pagati Poems) evocando gli amanti « mourant dans les lits clairs et les noirs sarcophages », celebrando une poitrìvaire, e cosi via, in un francese decisamente bastardo. Che il mimetismo lo guadagnò al segno di farlo esitare se dovesse diventare autore francese anziché inglese, e in francese scrisse la prima versione delle sue confessioni : Confession d'un jcune Anglais, dove ricorrono deliziosi involontari scambi di parole, del genere di quelli perpetrati dal direttore d'albergo di cui parla Proust in Sodome et Gomorrhe; per esempio attelages du libraire Smith ». dove attelages sta per étalages. Ma il destino di «poeta minore» '(molto minore, ahimè !) non era tale da soddisfare le ambizioni del Moore. Ed eccolo nel 1S85 apparire in veste di romanziere con A Mumme/s Wife, racconto realista sulla falsariga di Zola, con la debita dose di orrori. In A Drama in Musivi (1886) adotta la tecnica del simbolismo francese; in A Mere Accldcnt (1887) presenta in forma superficiale il primo personaggio inglese modellato sul Des Esseintes di Huysmans; in Mike Fletcher (1889) mostra di aver assorbito i germi della filosofia di Schopenhauer che eran come nell'aria (1 « incosciente » del Hartmann, discepolo di Schopenhauer, era già stato acclimatalo in Francia dal La f orgue) ; infine nella Confession in francese (18S9) dà dntopa«MepvnntptzZGQnMDcudienuDadt,.«e* milles ul: À.'..Juno di quei documenti tipici del de-cadentismo che forman la delizia de-gli eruditi, tanto i manierismi dell'e-poca vi si trovano fedelmente regi-strati. L'autore si scopre un'animaancipite: «Jamais auparavant l'amed'un homme n'avait été aussi em- brouilléc avec celle de la femme... » ; s'inebria al pensiero dei ludi gladiatorii dell'antica Roma, vuol vedere « couler le sang », anela a « remplir des clameurs des esclaves empoisonnés les heures languissantes ». Il lettore esclama : Mademoiselle de Maupint Ma chi può restar serio dinanzi a una confessione di questa fatta : « Te sttis effeminò, maladif, pervers. Mais avant tout pervers. Tout ce qui est pervers me fascine»? Quando si pensa che colui che ha scritto così viveva ancora ieri, si trema come dinanzi a un fenomeno di antichità venerabile. Moore fu questo, e fu poi tante altre cose ancora. 11 genio fu per lui, come ha notato spiritosamente un critico, frutto di lunga impazienza. Oggi Baudelaire, domani Zola, doman l'altro Huysmans, e Goncourt, più tardi Longo Sofista. Quando si cambia tante volte, si finisce per essere originali. George Moore è un artista della razza di D'Annunzio. Col romanzo Esther Walcrs (1S94) consegue lui successo popolare: è un racconto del tipo « odissea d'una donna », come avrebbero potuto idearlo i Goncourt: minuto realismo e un'assai grigia vicenda compassionevole. In Evelyn Innes (1898) dà un pendant inglese del Piacere di D'Annunzio, con ellenismo estetico alla Gautier (la pagina favorita di Sir Owen è quella di Mademoiselle de Matipin : « Je suis un homme des temps homériques... »), musica di Wagner (il Tristano), sfondi estetici e pseudo-misticismo. Decisamente mistico è il seguito, Sister Teresa (1901), dove assistiamo alla monacazione di Evelyn. Questa « ragazza slanciata dagli occhi mistici » aveva confessato i suoi peccati verso la fine del romanzo precedente; e il passo vai la pena d'essere riferito perchè tipico del gusto decadente al punto di rasentar l'umorismo : « Sì, mi pen« to dei miei peccati ; — disse, e poi, « accorgendosi che non poteva la« sciare il sacerdote sotto l'impres« sione che essa aveva vissuto con « Owen la moderata vita sessuale « che essa credeva consueta tra ma« rito e moglie, aggiunse : — Ma Lei « deve mettersi in mente che la mia « vita è stata molto dissoluta ; vi son « pochi... non vi è nessun eccesso di « cui io non mi sia resa colpevole ! « — Avete detto abbastanza su cooc desto punto, — rispose il sacerdote « dandole gran sollievo ». Quando un autore della tempra di Moore comincia a bazzicare col misticismo, Dio sa dove si ferma. In Sister Teresa aveva tenuto dinanzi En route di Huysmans, in The Brook Kerith (1916) andò oltre Renan nell'umanizzare Cristo. Costì Egli non muore sulla croce, ma ne vien tolto vivo da Giuseppe d'Arimatea e ritorna al monastero degli Esseni, dove passa il resto dei suoi giorni pascolando le pecore sulle montagne, avendo abbandonato la sua missione. Già il Wilde aveva meditato un dramma su questo soggetto', ma il Moore seppe far dimenticare il troppo ardito tema circonfondendo gli episodi in una maliosa atmosfera pastorale, tra le cadenze d'una prosa soave che ricorda quella di Louis Mcnard nella Legende de Saint Hilarion. The Brook Kerith è pieno di pagine da antologia; lo stesso può dirsi dei romanzi seguenti, Hcloise and Abclard (1921), Aphroditc in Aulis (1931): in codesti romanzi la vicenda ha il ritmo pacato di Dafni e Cloe e dell'Arcadia, e non vi è ragione alcuna per cui debba a un certo momento cessare. Son romanzi che van letti una pagina per sera, col sistema che il mio caro maestro E. G. Parodi aveva adottato nei riguardi della Beata Riva di Angelo Conti : se la teneva sul comodino e ne leggeva prima d'addormentarsi. Quando morì, i' libro non era ancora finito di leggere. Aphroditc in Aulis, l'ultimo romanzo, fu riscritto parecchie volte di sana pianta, ed è come un favo carico di miele, tanto l'autore ha distillato in ogni pagina il succo dei fiori alessandrini. Nel suo genere, è un capolavoro. Va, tuttavia, preso in dosi omeopatiche. Ala v'è un altro aspetto di George Moore che lo renderà forse più interessante ai posteri : lo scrittore autobiografico, autore d'innumerevoli indiscrezioni, esatte e inesatte, sul conto d'amici. Dopo le giovanili confessioni di cui ho toccato sopra, i Memoirs of my Dead Life (1906), dal titolo ispirato dal Journal dei Goncourt (« Un joli titre pour des souvenirs publiés de son vivant : Souvenirs de ma vie morte »), e il volume dove fa giustizia sommaria di tutti i suoi amici irlandesi : Mail and f'arezvell (in tre parti : Ave, 19II, Salve, 1912, Vale, 1014). Si può im-l maginare quanta trepidazione la sua Zepresenza suscitasse in società: a poco serviva sorvegliare le proprie parole, poiché si poteva star certi che in una delle sue Conversations in Ebury Street il Moore avrebbe attribuito alle persone incontrate le opinioni che più gli sarebbe piaciuto di ricordare o d'inventare. Anche qui, l'esempio dei Goncourt. Ma il Moore ha avuto più coraggio o più faccia tosta, che non ha atteso anni prima di spiattellare al prossimo quello che egli ne pensava. Dei Goncourt, poi, non possedeva affatto la grettezza tzafpssnstmborghese; la sua malizia era di pa.-\tctura aristocratica, audace, tutt'altro che pedantesca (di fatto, spesso non coglieva affatto nel segno), e sempre condita d'esuberanza irlandese. Per tanti aneddoti che egli raccontò degli altri, si potrà riferir qui ciò che disse di lui una dama irlandese: « Alcuni uomini baciano e lo dicono;! « altri baciano, e non lo dicono ; « George lo dice, ma non bacia ». Questo terribile e sacrilego innamomorato del perverso e dell'anormale, era, in fondo, un gran fanciullone. MARIO PRAZ. espplappdzegg

Luoghi citati: Francia, Mere Accldcnt, Parigi, Roma