Diario romano: "Le Venete,,

Diario romano: "Le Venete,, Diario romano: "Le Venete,, ROMA, gennaio. CD, A.). Stamane, passando per la ria di Campo Marzio, mi sono trovato dinnanzi a una grande apertura che la inondava di luce. Lo spettacolo era eccezionale perchè quella ria stretta e tortuosa, fiancheggiata da case e da palazzotti di cinque piani sembrava eternamente esclusa dalla gloria del sole. Via schiettamente romana e di altri risccFgPcSle ^ \ai padre"in figlio "ben"amministrate e U[ reddito sicuro. Nè, fino ad oggi, si I era molto trasformata. Solo, verso la (via degli Uffici del Vicario, gli edifici [ad erano trasformati da quando l'ammi- delie mercerie e delle forniture per sarte e modiste. Non c'era donnetta a Roma che non fosse certa di trovare in Campo Marzio quanto le occorreva per le sue acconciature e per quelle delle sue figliole. Ed erano botteghe ben fornite, condotte da generazioni di « mer-1 cantini » — cosi i romani chiamavano I tempi, senza marciapiedi, senza grande! papparenza di lusso, ma piena di botte-1g Igne in cui si annidava il commercio ! ri | jigjj^ mercerie e delle forniture per sar-1 dNSiTli mereiai che se le tramandavano e e l a — d e l nistrazione di Montecitorio aveva acqui. s; aeH«?lstato dai monaci della Missione il loro unconvento per trasportarvi i suoi uffici ! le quelli della tipografia del Parlamen-1 lto Ma oggi è tutto un lato che va giù, vper l'ultima sistemazione di quella piaz- c*T <m P=rlnmpr,to che da anni asnetta- /Zdi vedere^^b^^^^1^va di vedere scomparire 1 ruderi inde *corcai onde era disonorata. E dunque!,Edndottddcmbltnne— o O. ». i. i a— n — ri eeni a, dmvupcnnmdmu«pnun baon principio che — dobbiamo sperare — sarà presto seguito dall'abbattimento di quel palazzo tabù contro il quale nessun Presidente della Camera e nessun ministro è stato mai tanto potente da far sloggiare gli inquilini che vi si avvincono con la disperazione di naufraghi sulla zattera che deve, salvarli. Quando quest'ultima casa verrà demolita, il lato orientale di via Campo Marzio sarà trasformato interamente e la strada, aspettando i nuovi e più radicali tagli preveduti dal piano regolatore, avrà perduto il suo carattere primitivo. Intanto, con le demolizioni odierne scompare anche l'ultima traccia di quella trattoria delle «Venete» che fu — negli anni immediatamente dopo il '70, il ritrovo dei deputati vitaioli, dei giornalisti « arrivati » o che volevano arrivare e dei pochi scrittori che si aggiravano nella loro orbita. E fu veramente il ritrovo caratteristico di quel tempo in cui non era ancora nato Axagno e in cui le scomparse trattorie di Spielmann, dl Morteo e del Caffè di Roma erano riservate a una clientela più mondana. Le tre sorelle Ma a parte questo, le « Venete » ebbero il loro carattere particolare e fra il '70 e il '900 furono una vera e propria istituzione romana. Erano state fondate da tre sorelle venute da Venezia con là capitale di cui la maggiore — la « Sora Marieta » — dirigeva e amministrava l'azienda comune, mentre le altre duù ne curavano il buon andamento. I locali erano al primo piano di quel palazzo del Campo Marzio che aggi è stato abbattuto e siccome um dislivello del suolo aveva rialzato il cortile, durante l'estate si trasformava in giardino dove all'ombra di due o tre alberi intisichiti e fra il verde di molte piante rampicanti, si ponevano le tavole iliuminate dalla luce che allora pareva fulgidissima dei becchi a gas. Ed è intorno a quelle tavole che durante molti anni si sono seduti gli astri maggiori e minori dell'olimpo parlamentare e del nascente giornalismo romano. Uomini d'ogni parte e d'ogni regione: il duca di San Domato con quel suo cappello da cocchiere d'operetta francese e un gilè bianco o quasi che abbracciava abbondantemente il ventre rotondo e Ferdinando Martini che l'arguzia toscana temprava con la squisita eleganza della sua educazione d'uomo di mondo. Il principe Sciamra che incominciava allora a lanciarsi in quelle cento speculazioni « stile moderno » che lo dovevano condurre alla rovina e don Baldassarre Odescaichi, Grande di Spagna, magnate d'Ungheria, principe del Santo Romano Impero, e nel tempo stesso — con grande scandalo della società romana — deputato di estrema sinistra e, quel che è peggio, amico personale di Garibaldi. Accanto al ministro Grimaldi accompagnato sempre da quel suo figliuolo che aveva l'ingenua pretesa di lanciare le mode — ma non so con quanto buon successo — si poteva vedere il prefetto Mlnervini che passava i due terzi del suo tempo a Roma lontano dalla sua sede e a Roma lo si poteva trovar sempre ne'la terribile compagnia dl quei radicali-repubblioani, i sovversivi di allora, che poi si sarebbe trovati di fronte, dal- | l'altra parte, nelle òUmostrazioni e contro i quali avrebbe dovuto far suonare 1 tre squilli. Ma la tavola più brillante era quella del Capitan Fracassa che ultcsedctrii!doveva col tempo cambiarsi nel Po» (Chisciotte, tavola presieduta da Luigi ,Arnaldo Vassallo che fu il grande pa- trocinatore delle «Venete.-) e ai cui «lisi icoi piselli» e alle cui bistecche alla (I salsa d'alici doveva dedicare esalta- rioni in prosa e in versi. Intorno a luisi raggruppavano i suoi redattori e i 'clienti del giornale. C'erano come uni- j co elemento femminile Olga Ozzani — jFebea — e Matilde Serao; c'erano Lui- j gi Lodi, Giuseppe Turco, Emilio [Paelli, Luigi Bertelli — Vamba — e qcome complemento letterario Edoardo i Scarfoglio, Cesare Pascarella, Gabrie- le d'Annunzio alle loro prime armi. E'1 I ! poi gli dei minori e tutti coloro che dal '1giornalismo aspettavano un po' di glo- ! ria, e artisti drammatici di primo or- !1 dine come Cesare Rossi ca Ermete Novelli senza contare Eleonora KSe 12S232K: più SSfì tiTST marcata e ',Ma le «Venete» ebbero in quegli anni |La (( Lega dell'ortografia » sche nate fra il Fanftilla e il Fracassa ; ^—.» „„„-. 4, i_J._/!anche un'altra - prerogativa, quella di ' essere la sede della Lcrja deU'artogra- iHa, una di quelle associazioni burle- «»rfnii t«>H^hA . ?;£°S Jr °ndenzf i ?. ?vofl^l letterarie che però Lla sera fraternizzavano cosi serena- unente con grande stupore dei buoni : ! lettori romani che poche ore prima, ^1 leggendo i loro articoli furibondi, ave- vano creduto a chi sa quali odi! irrc- ^ conciliabili. Questa Lena deU'ortogra- /*» 11011 aveva nessuno scopo, se non 1^0^^^^^^^0^^ * !,," f 7 .. .. | Era formata da giornalisti, da artisti, I da uomini politici e da letterati e i inuovi adepti venivano scelti a seconda dei loro meriti e della loro notorietà in jogmeampo. Non vi era presidente ma ;tore del Fanfulla che aveva per segre^ tario il Marini che con lo pseudonimo di Wucio Spadaro scriveva oronache dilettosissime sul Capitan Fracassa: cos\ che le due correnti erano egualmente rappresentate. E gli altri membri? Tutti coloro che apparivano sull'orizzonte mondano, artistico o politico della Capitale. E siccome ogni nuova nomina era pretesto a un ban^ nivano con grande frequenza. L nuov eletti non avevano nessun obbligo, pasto ua discorso 1 di «quindici parole senza senso comune ». Ma spesso i nuovi eletti dovevano subire le beffe degli anziani. Cosi una sera in cui si doveva accogliere il poeta Eugenio Cave, ricco agente dì cambio — credo — e autore di un innocuo volume di versi, si vide entrare nella sala del banchetto una strana comitiva di tre personaggi: una donna e due uomini. La donna — era Gandolin magnificamente truccato — portava uno stendardino dove era dipinta la « dolorosa istoria di un giovine poeta che salvò da certa morte una nobile donzella ». E il giovine poeta era proprio il Cave che appunto in quei giorni aveva fermato un cavallo in fuga che trascinava una signorina straniera invocante aiuto. Gli altri due perso- a a , l o a a o e a i e a a e - | uomo di spirito, si divertiva per conto e e e un Custode deUe Tradizioni che per |lungo tempo fu Bino Avanzini diret. {tore del Fanfulla che aveva rmr «poto. Iv tt l" ~ : Ichetto, queste riunioni conviviali awe- i|salvo quello di pagare la propria quota ^e di fare alla fine del pasto ua decorso ,lnaggi erano Vamba che suonava il vie lino e Pasca/retta che accompagnava»! due cantastorie con la chitarra. Mi ri- cordo ancora due versi, di quella can- tilena, dove si narrava come la signo- rina salvata aveva voluto gratificare con cento lire il suo salvatore e che questi rifiutandole sdegnosamente ave- v7Hottr7 u».un«ne ave va aetto. Son giovine poeta io faccio per piacer! Molti anni dopo, in una delle nostreperegrinazioni nella campagna romanaPascarella ed io ritrovammo attaccatoa un muro di un'osteria sperduta nel-l'agro, lo stendardino con la storia di Eu^enio Cave' 0 .... L Ultima tornata J „ T , „. to^^^^^o^^tograjm avvenne neumvemu aei j-»»»Tutte oueste cose mi sono ritornateTutte queste cosejm sono ritornate.EOurwK* avvenne ucuiuvcruu uci — mi nare — e fu per il ricevimento — mi pare t. iu per 11 ricevimento di quattro nuovi membri: Aristide Sartorio, Guido Boggianl, Ugo Ojetti e 11 sottoscritto. Guido Boggiani. che era reduce dal suo viaggio nell'Amazonia e preparava quella sua nuova esplorazione dove avrebbe lasciato tragicamente la vita, fece il suo discorso de reception in linguaggio dei Chamacoros, sicuro che più senza senso comune di cosi non avrebbe potuto trovarsene un altro in tutte le parti del mondo. .... . in mente vedendo stamane u grande squarcio che empiva di sole la vec-chia strada romana. Rimpianto del chia strada romana. Rimpianto del tempo passato? Non direi: «-.«^zione mvece che quel tempo non po-trebbe ritornare mai più e che la Ro-ima di allora era veramente una pic-cola città dl provincia, dove qualche !— ii spirito si divertiva per conto quel suo divertiLnto innalza-.... .... j >_ iiui-i uuu » v. * vinniiiu lumina- a fatto di cronaca nazionale. Non lamVntìalno~"dunaue""t^ plccone fa sparire anche le ultime» (Lece dl quefla vita e contenOamocii ,di registrarne gli episodi cosi come- un diarista del settecento avrebbe po-si i tuto fare per le burle a Sperandlo Dia- a (coni o per riunioni serali al Caffè- Greco.

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